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    Piantedosi avverte: “Interesse di tutti contrastare i rave illegali”

    “Credo sia interesse di tutti contrastare i rave illegali. Trovo invece offensivo attribuirci la volontà di intervenire in altri contesti, in cui si esercitano diritti costituzionalmente garantiti a cui la norma chiaramente non fa alcun riferimento”. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, intervistato dal Corriere della Sera, precisa l’obiettivo della norma sui rave party: “allinearci alla legislazione degli altri Paesi europei anche ai fini di dissuadere l’organizzazione di tali eventi che mettono in pericolo soprattutto gli stessi partecipanti – ricordo che a Modena si ballava in un capannone pericolante e si rischiava una strage – e finiscono per tenere in scacco intere zone, pregiudicando attività commerciali e viabilità”.
    “In ogni caso la conversione dei decreti si fa in Parlamento, non sui social – aggiunge -. In quella sede ogni proposta sarà esaminata dal governo”. Quando gli si fa notare che la manifestazione di Predappio non è stata fermata, replica che “si tratta di una manifestazione, una pagliacciata, che deploro nella maniera più assoluta. Si svolge da anni, senza incidenti e sotto il controllo delle Forze di polizia” e “posso assicurare” che “segnaleranno all’autorità giudiziaria tutti gli eventuali comportamenti in violazione delle disposizioni vigenti”.
    Alla Sapienza “le forze di polizia sono intervenute per evitare il contatto rischioso tra gli organizzatori del convegno e i manifestanti”. Mentre intervenire allo stadio di Milano, quando gli ultras hanno sgomberato la curva, avrebbe potuto creare pericolo. Piantedosi risponde poi sulle ong e l’immigrazione: “Abbiamo agito sin da subito per dare un segnale immediato agli Stati di bandiera: non possiamo farci carico dei migranti raccolti in mare da navi straniere che operano sistematicamente senza alcun preventivo coordinamento delle autorità. Al momento questi eventi rappresentano il 16% delle persone sbarcate in Italia”   

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    Danimarca: vittoria della coalizione di centrosinistra

    Con il conteggio pressoché ultimato in Danimarca – oltre il 98% dei voti scrutinato – il blocco di centro sinistra, con a capo l’attuale premier socialdemocratica Mette Fredriksen ha vinto le elezioni con 86 seggi, mentre il blocco di centro ne ha 73. I Moderati, il nuovo partito centrista dell’ex primo ministro conservatore Lars L›kke Rasmusse farà il suo esordio in parlamento con 16 seggi: Rasmusse avrà dunque un ruolo fondamentale nel prestare supporto, diretto o indiretto ad uno dei due blocchi per consentire la nascita del nuovo esecutivo. Il parlamento danese ha un totale di 179 seggi.
    I Democratici Danesi è un altro partito che farà il suo esordio in parlamento con 14 seggi. Il partito Liberale Radicale, uno dei principali promotori del voto anticipato, ha perso oltre la metà dei seggi, mentre Alleanza Liberale, di centrodestra, ne ha guadagnati 10. Tra i partiti più grandi della legislatura precedente, i Socialdemocratici hanno guadagnato un seggio, mentre il partito di centrodestra ‘Venstre’ ha perso ben 19 seggi.
    A seguito dei risultati definitivi dunque sarà dato un mandato esplorativo al leader del blocco con il maggior numero di poltrone che poi dovrà avviare i negoziati per formare un governo, che ha bisogno del sostegno di 90 deputati per poter governare.    

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    Proroga dei navigator, il ministero del Lavoro dice no 

    Il governo guidato da Giorgia Meloni ha un nuovo nodo non da poco da sciogliere: quello sulla sorte dei circa 1.500 navigator incaricati di assistere i beneficiari del Reddito di Cittadinanza nella ricerca di un’occupazione o di un’opportunità formativa. Il loro incarico è scaduto il 31 ottobre e si pone adesso il problema di come continuare a utilizzare queste figure professionali almeno fino alla fine dell’anno.
    Un problema per il nuovo esecutivo, con il centrodestra che ha fatto della battaglia contro il reddito di cittadinanza un vessillo della propria campagna elettorale. E mentre circolano le voci su una possibile proroga, voci che animano anche il dibattito politico, dal ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone si spiega in un comunicato che “la proroga dei navigator non è tecnicamente possibile”. Servirebbe, si sottolinea, una norma ad hoc che al momento non sarebbe in cantiere né allo studio del dicastero. Piuttosto si sarebbe avviata “una mera attività ricognitiva tra le Regioni”.
    “Ma se il governo non ha mai avuto intenzione di prorogarli – si chiede dal Terzo Polo Luigi Marattin – perché si è chiesto con una lettera se c’é bisogno di prorogare i navigator e di comunicare già la stima dei costi?”. Il deputato di Italia Viva fa riferimento a un documento che pubblica su Twitter e inviato dal direttore generale del ministero del Lavoro alle regioni interessate e datato fine ottobre. Ma il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida taglia corto: bene il ministero del Lavoro, “un altro impegno mantenuto dal governo Meloni, i contratti non saranno prorogati”. Anche se il problema del destino di questi lavoratori rimane, tanto che il ministero era stato sollecitato sulla questione anche dai sindacati con una lettera del 24 ottobre in cui si chiedeva al nuovo governo un incontro urgente.

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    Il ministero: una proroga dei navigator non è possibile

    La proroga dei contratti degli ex navigator non è tecnicamente possibile. Lo afferma in una nota il ministero del lavoro. “In relazione alle notizie di stampa circolate in queste ore relative alla proroga degli ex navigator, scaduti lo scorso 31 ottobre – si legge nel comunicato – si precisa che detti contratti non sono prorogabili. Sul tema e nell’ambito delle attività di coordinamento, è stata invece avviata una mera attività ricognitiva tra le Regioni. Eventuali ulteriori utilizzi degli ex navigator – prosegue la nota – richiederebbero l’approvazione di una apposita norma, non allo studio del Ministero”.

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    Meloni: 'Mai temuto di non riuscire a formare un governo'

    “Non ho mai temuto davvero di non riuscire a fare un governo anche se ho preso in considerazione l’ipotesi di presentarmi in Parlamento senza un accordo preventivo con tutti gli alleati, quando alcune proposte mi sono sembrate irricevibili”. Così la premier Giorgia Meloni in un passaggio dell’ultimo libro di Bruno Vespa .
    “Nonostante – prosegue – io fossi andata incontro a tutti senza sfogliare il manuale Cencelli, perché i numeri avrebbero detto altro. Ma a me interessava formare una squadra che funzionasse, un governo inattaccabile, serio, adeguato, ben calibrato. E credo di esserci riuscita”.
    “Con Salvini si è stabilito un rapporto nuovo e diverso – ha detto la premier -. Ha capito quel che si poteva e quel che non si poteva fare e mi ha aiutato a cercare soluzioni. In certe situazioni lui mi ha chiesto di aiutarlo, in altre io l’ho chiesto a lui. Franchezza reciproca senza polemiche. Un mediatore? Be’, il fatto di non schierarsi aprioristicamente con Berlusconi mi ha aiutato molto”.
    Per quanto riguarda Silvio Berlusconi, Meloni afferma che “con lui c’è stata qualche incomprensione in più, figlia del passaggio di testimone. Quando si vivono certi momenti epocali, è fatale che ci siano delle scosse.Non so quanto sia stato ben consigliato all’inizio, ma devo riconoscergli la lucidità di capire quali fossero alla fine le priorità per non deludere chi aveva creduto in noi e nel ritorno dopo undici anni a un governo politico di centrodestra. Il suo discorso sulla fiducia pronunciato al Senato è stato bello e importante, e sono stata contenta di applaudirlo”.
    E parlando del suo inconrtro con il presidente francese Macron, la premier spiega di aver illustrato “la nostra decisione di difendere il marchio made in Italy. Ho contestato l’atteggiamento predatorio che la Francia ha manifestato in qualche occasione, ho trovato una perfetta comunità d’intenti nella difesa della sovranità alimentare alla quale anche la Francia tiene molto. Abbiamo parlato di Libia, immigrazione, infrastrutture. Ma la lealtà e la franchezza potranno portare soltanto vantaggi ai nostri rapporti. L’ho trovato assolutamente d’accordo su questa linea”.

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    Zelensky incontra commissaria Ue: danni gravi al 40% delle reti energetiche

    La Russia ha gravemente danneggiato circa il 40% delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina. Lo ha detto il presidente Volodymyr Zelensky incontrando oggi a Kiev la commissaria Ue per gli affari energetici Kadri Simson.    Lo riporta il Guardian, aggiungendo che si è discusso di come l’Ucraina sia stata costretta a interrompere l’esportazione di elettricità in Europa “a causa degli attacchi con missili e droni kamikaze da parte della Federazione russa”.    “Sono sicuro che ripristineremo tutto e, in un momento più tranquillo, quando la situazione nel nostro sistema energetico si sarà stabilizzata, continueremo a esportare elettricità in Europa”, ha affermato Zelensky, spiegando a Simson che le forze russe hanno “seriamente danneggiato” circa il 40% delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina, in particolare centrali termiche, centrali termoelettriche e centrali idroelettriche.    “Oltre il 30% dell’infrastruttura energetica in Ucraina è stata colpita dagli attacchi mirati della Russia e per riparare o sostituire l’Ucraina ha bisogno di strumenti specifici”, ha scritto su Twitter la commissaria europea. “Assicurando al presidente Zelensky che stiamo contattando i partner per aiutare con il supporto dedicato necessario”.

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    Scontro sulla stretta sui rave. Allarme delle opposizioni. Il Viminale: “La norma non lede diritti”

    Botta e risposta tra il segretario del Pd, Enrico Letta, ed il vicepremier, Matteo Salvini, sulla norma per i rave voluta dal governo dopo il caso di Modena. E sul tema intervengono anche gli avvocati penalisti.
    Letta: “Il governo ritiri la norma sui rave “. “Il Governo ritiri il primo comma dell’art434bis di riforma del Codice Penale. È un gravissimo errore. I rave non c’entrano nulla con una norma simile. È la libertà dei cittadini che così viene messa in discussione.  #NoArt434bis”. Lo scrive su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta.
    Salvini a Letta: “Indietro non si torna”. “Un Pd ormai in confusione totale difende illegalità e #raveparty abusivi, chiedendo al governo di cambiare idea. No! Indietro non si torna, le leggi finalmente si rispettano”: lo twitta il vicepremier Matteo Salvini replicando al tweet in cui il segretario del Pd Enrico Letta chiede all’esecutivo di ritirare la norma sui rave party.
    “La norma anti-rave illegali interessa una fattispecie tassativa che riguarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da configurare un pericolo per la salute e l’incolumità pubbliche”. E’ quanto fanno sapere fonti del Viminale. Una norma, precisano sempre dal ministero dell’Interno, “che non lede in alcun modo il diritto di espressione e la libertà di manifestazione sanciti dalla Costituzione e difesi dalle Istituzioni”.
    Avvocati penalisti: “Con nuovo reato intercettazioni possibili”. “La norma che vieta i rave stabilisce sanzioni anche per i partecipanti, nei confronti dei quali la pena è ‘diminuita’. Ciò vuol dire che il giudice, al termine del processo, deve applicare una diminuzione che può arrivare fino ad un terzo della pena edittale che nei confronti degli organizzatori può andare dai tre ai sei anni. Non comprendo, quindi, perché il premier Meloni abbia voluto rivendicare di non avere dato il via libera alle intercettazioni dal momento che questo reato prevede pene superiori ai cinque anni”. Lo afferma il presidente delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza.

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    Due miliardari russi rinunciano alla nazionalità

    Il miliardario Oleg Trinkov, banchiere e imprenditore nato in Russia, fondatore della nota Tinkoff Bank, ha deciso di rinunciare alla nazionalità russa in segno di protesta contro la guerra in Ucraina. Lo ha comunicato lui stesso via Instagram, in quella che sembra anche un’esortazione ad altri facoltosi businessman a fare lo stesso.
    Prima di lui la stessa decisione era stata presa dal 38enne Nikolay Storonsky, co-fondatore e Ceo della start-up di base a Londra Revolut Ltd, almeno stando a quanto riferito dal Daily Telegraph.
    La reazione del Cremlino, attraverso il portavoce Dmitry Peskov, il quale ad una domanda sulla decisione dei due uomini d’affari ha risposto che si tratta di “un loro diritto”, aggiungendo anche che pressoché nulla delle loro attività finanziarie rimane sul territorio russo. “Non sono praticamente più coinvolti in affari nel nostro Paese”, ha detto, come riferisce Interfax.