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    Riforme, Meloni: ‘Stabilità prioritaria’. Schlein: ‘No al premierato’

    “L’elezione diretta del premier assicura stabilità al governo: è questa la più potente riforma economica che possiamo realizzare. E’ una nostra priorità e formuleremo una nostra proposta. Spero in una condivisione ampia, che vada oltre la maggioranza ma non a costo di venir meno all’impegno assunto con i cittadini”. Giorgia Meloni tiene fede alle sue promesse in campagna elettorale e va avanti. Ma il Pd e il M5s non ci stanno a un radicale stravolgimento dell’architettura istituzionale, al passaggio da una Repubblica parlamentare a una presidenziale. E in uno stato di incertezza sull’esito delle trattative con l’opposizione spunta anche l’ipotesi di una commissione ad hoc. Per la leader dem Elly Schlein, quella delle riforme “non è una priorità del Paese”. Bene rafforzare la rappresentanza e la stabilità magari riformando la legge elettorale, senza liste bloccate, con la sfiducia costruttiva, ma non a scapito dei “pesi e dei contrappesi”, del parlamento e soprattutto ai danni del presidente della Repubblica. “Non siamo per ridimensionare il ruolo del presidente della repubblica verso un modello di un uomo o un donna sola al comando”, ha detto la segretaria del Pd. 

    Agenzia ANSA

    Tante proposte e nessun risultato. Spunta il totonomi (ANSA)

    Anche Giuseppe Conte è d’accordo sulla necessità di dover rafforzare i poteri del premier ma “in un quadro equilibrato, che non mortifichi il modello parlamentare”. E soprattutto insiste sul mantenimento della funzione “chiave”. del Presidente della Repubblica “di garante della coesione nazionale”.
     Per Benedetto della Vedova, di +Europa, l’elezione diretta provocherebbe addirittura “un conflitto istituzionale” con il Colle. Secondo Nicola Fratoianni (Si), la Costituzione “va attuata, non cambiata”. Un’ apertura viene da Azione, con l’idea del “Sindaco d’Italia”, ma anche Carlo Calenda avverte: “Nessuno tocchi le funzioni del presidente della Repubblica”. Quindi ritiene “necessario” parlare con le altre opposizioni. Su questo punto è dello stesso avviso Maria Elena Boschi: “Noi di Italia Viva riteniamo che non ci sia la necessità di un coordinamento con le opposizioni, tantomeno con i 5 stelle”. 

    Agenzia ANSA

    La maggioranza sembra determinata a procedere sulla strada delle riforme cercando un consenso ampio ma anche con la forza di affrontare un eventuale referendum che si terrebbe qualora non venisse ottenuta la maggioranza dei due terzi nella seconda delle vo… (ANSA)

    E’ questo in sintesi l’esito dei colloqui che la premier ha avuto, insieme a una folta delegazione del governo, con tutti i massimi vertici delle forze di opposizione, nel corso di questa lunga e attesissima sessione di consultazioni. Un formato, quello dei faccia a faccia nella biblioteca del presidente a Montecitorio, che ricorda quello usato negli incontri per la formazione di un nuovo governo. Va bene il confronto, tuttavia, per l’ìnquilina di palazzo Chigi, è chiaro che indietro non si torna. 

    Agenzia ANSA

    Nei principali Paesi dell’Occidente sono diversi e variegati i modelli costituzionali. La loro architettura definisce, tra l’altro, la separazione dei poteri e i sistemi con cui vengono eletti i vertici delle cariche istituzionali. (ANSA)

    Ma se l’obiettivo è chiaro, al di là delle soluzioni tecniche, resta ancora da decidere lo strumento più adeguato per raggiungerlo. Le strade tradizionalmente sono essenzialmente due: o seguire la via ordinaria, presentando un testo di legge in parlamento o creare, appunto, una Commissione ad hoc, un’ennesima Bicamerale o un’altro organismo, magari presieduto da un esponente dell’opposizione, dove concentrare gli sforzi di riforma. 

    Agenzia ANSA

    Presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato (ANSA)

    Su questo punto, la premier non si sbilancia, l’importante per lei è fare presto e bene: “Il famoso ‘tutto cambia perché nulla cambi’ – è il suo ragionamento nel corso del confronto con i Cinque Stelle – non è accettabile, ma se ci sono strumenti che ci consentano di fare in tempi ragionevoli ciò che dobbiamo ci possiamo confrontare. Fermo restando che la sede propria esiste già, è la Commissione affari costituzionali, che questo lavoro fa e ha sempre fatto”. Sempre per quanto riguarda la commissione ad hoc per le riforme, osserva che “si può dialogare su tutto purché non ci siano intenti dilatori”. Su questo tema, Conte ha lanciato l’idea della Bicamerale. Fredda Elly Schlein: “lo strumento del confronto saranno loro a stabilirlo. A noi più che lo strumento ci interessa la qualità e il perimetro di questo confronto”.

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    La maledizione delle commissioni bicamerali

       Nel corso della storia della Repubblica italiana in diverse occasioni partiti e governi hanno deciso di istituire commissioni bicamerali – formate per metà da senatori e per metà da deputati rispettando il principio di proporzionalità – per discutere di riforme costituzionali. Una via, questa, che in tutti i casi si è rivelata fallimentare.    Tre sono le commissioni formate in materia di progettazione di riforme istituzionali nelle precedenti legislature. La prima fu la commissione Bozzi nel 1983, che prevedeva la revisione di 44 articoli afferenti vari ambiti della Costituzione. Il progetto fallì per il mancato accordo tra i gruppi politici. Nel 1993 fu la volta della bicamerale De Mita- Iotti, che proponeva la definizione di una forma di governo neoparlamentare. Il testo, però, non fu nemmeno esaminato a causa della conclusione anticipata della legislatura. La terza bicamerale fu invece istituita nel 1997 dopo l’ormai famoso “patto della crostata” suggellato a casa di Gianni Letta tra Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi. La bicamerale aveva l’ambizione di riformare la seconda parte della Costituzione ma i lavori furono abbandonati per le divergenze politiche tra i partiti coinvolti.       E se la bicamerale della Meloni è al momento solo una delle ipotesi, si comincia già a parlare in Transatlantico, alla Camera, di chi potrebbe diventarne il presidente. Tra i nomi circola quello del senatore Marcello Pera (Fdi), ex presidente del Senato, costituzionalista già in passato impegnato nella questione riforme e che ora presiede la Commissione per la biblioteca e per l’archivio storico. Il ruolo potrebbe altresì essere ricoperto – secondo i rumors – anche dal senatore Pier Ferdinando Casini, a lungo componente delle Commissioni Affari esteri e comunitari e Difesa ed ex Presidente della Camera. Emma Bonino, di Più Europa, è uno degli altri nomi di spicco in campo, data la sua esperienza e attenzione nell’ambito delle riforme e della difesa dei diritti.
       Anche Maria Elena Boschi (Iv) potrebbe essere tra le papabili – si commenta – considerando il ruolo da ministro per le riforme costituzionali assunto durante il governo Renzi. Per quanto riguarda il Pd,cominciano a circolare i nomi di Debora Serracchiani, che si occupa di Giustizia nella segreteria di Schlein, e Andrea Orlando, ex ministro del lavoro e delle politiche sociali nel governo Draghi. Passando al M5s, si parla – nei conciliaboli tra parlamentari – di Alfonso Colucci, già componente della commissione Affari costituzionali, e di Stefano Patuanelli, ex ministro dello sviluppo economico durante il governo Conte e delle politiche agricole con Mario Draghi. 

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    Meloni, oggi squilibri, riforme e autonomia unico pacchetto

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Sono anche disponibile a spiegare
    come l’autonomia e la riforma delle istituzioni centrali si
    tengono insieme non consideriamo che c’è una diversità
    fondamentale di orizzonte e autorevolezza, perché c’è un
    presidente del Consiglio che dialoga” con i governatori che “è
    non eletto, con orizzonte di un anno e mezzo. Anche questo
    produce uno squilibrio nel nostro ordinamento”. Così la
    presidente del Consiglio Giorgia Meloni al termine degli
    incontri con le opposizioni sulle riforme sottolineando che per
    questo “l’abbiamo pensato come unico pacchetto, si tengono
    insieme”. (ANSA).   

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    Meloni, irrinunciabili stabilità e rispetto del voto

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Tra gli obiettivi del programma c’è
    quella di riformare le istituzioni della Repubblica per
    garantire due obiettivi irrinunciabili: la stabilità dei governi
    e delle legislature e il rispetto del voto dei cittadini nelle
    urne”. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni al
    termine degli incontri con le opposizioni sulle riforme.   
    “E’ stato un dialogo aperto, franco e collaborativo che ci ha
    aiutato ad avere le idee più chiare. Continueremo con altri come
    la Conferenza Stato-Regioni, con i sindaci e all’esito del
    ragionamento, fermo restando l’impegno assunto con i cittadini
    in campagna elettorale, formuleremo la nostra proposta”, ha
    aggiunto. (ANSA).   

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    Schlein, no ad un uomo o una donna sola al comando

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Ciò che non vogliamo e a cui non ci
    prestiamo è l’indebolimento di pesi e dei contrappesi previsti
    dalla Carta, così come non si tocca l’istituzione del Presidente
    della repubblica”. Lo ha detto alla Camera la segretaria del Pd,
    Elly Schlein, dopo l’incontro con la presidente del Consiglio,
    Giorgia Meloni, sulle riforme istituzionali. “Non siamo per
    ridimensionare il ruolo del presidente della Repubblica verso un
    modello di un uomo o un donna sola al comando”.   
    “Sottolineiamo che per noi questa discussione sulle riforme
    non è una priorità del paese, le priorità sono lavoro, sanità,
    Pnrr, clima, giovani, casa. Ci sentiamo vicini agli studenti e
    studentesse che anche in queste ore si stanno mobilitando perché
    non stanno trovando casa per il caro affitti”, ha aggiunto.   
    (ANSA).   

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    Gli archeologi italiani ambasciatori nel mondo

       C’è chi racconta il fascino di una vita passata a studiare gli affreschi rupestri dell’Africa, chi ricorda gli scavi pieni di sorprese in Iraq, chi racconta delle scoperte che hanno fatto la storia come quella dell’antica Ebla in Siria. Dalla protostoria all’età classica, da Cipro alla Siria, dalla Grecia fino all’Iraq, passando per il Pakistan e persino il Giappone, il gotha dell’archeologia italiana si ritrova per un giorno riunito nelle sale ricche di storia del Campidoglio, chiamato a raccolta dalla Farnesina per confrontarsi, discutere, identificare, se c’è, una modello italiano davvero riconoscibile nel mondo. Un occasione unica anche per capire i problemi, per illuminare le criticità, entrare nelle vite dei tantissimi studiosi che spendono le loro vite in terre spesso lontane, a contatto con popolazioni locali, talvolta in situazioni di pericolo per guerre, terremoti, terrorismo. Quello che ne viene fuori è un caleidoscopio di storie diversissime, da chi scava templi e palazzi dell’età classica a chi per mestiere segue la vita delle popolazioni nomadi della Mongolia. L’archeologia italiana “è una realtà composita”, sottolinea non a caso Alessandro De Pedys, vicedirettore generale per la diplomazia pubblica e culturale della Farnesina, aprendo la tavola rotonda che porta nel vivo la Giornata dell’archeologia italiana all’estero.    Eppure un filo conduttore sembra proprio esserci, sottolineato da molti, e lo si ritrova prima di tutto nell’approccio, nelle relazioni attente con le popolazioni con le istituzioni locali, nel rispetto e nell’ascolto. Un po’ una conferma della funzione sempre più importante, anche di mediatori che gli studiosi italiani rivestono all’estero, come ricorda Franco D’Agostino, che nell’Iraq meridionale dirige la missione di Abu Tbeirah, a 45 chilometri da Nassiria: “Nel 2010 siamo stati i primi a tornare, gli iracheni ci aspettavano, avevano voglia di pace e di ricostruzione, l’archeologia è la più pacifica delle attività”. Anche se i primi ad occuparsi del patrimonio iracheno devastato e saccheggiato dalla guerra, ricorda, “sono stati i nostri carabinieri dei beni culturali” e fondamentale è stata la cooperazione con i nostri diplomatici.    Gli altri accanto a lui annuiscono: l’archeologia sul campo, sintetizza Lorenzo Nigro, raccontando della sua missione a Betlemme , “è una esperienza di vita, si sta sul terreno con i colleghi stranieri, oggi quasi tutte le missioni sono congiunte.    E’ una sfida affascinante, l’archeologia insegna che bisogna rispettare l’altro”. Un rispetto che viene dalla condivisione di un patrimonio, dice, ma anche dalla credibilità scientifica degli studiosi italiani. Jacopo Bonetto, parla della Grecia, dove nel 1909 è nata la scuola di Atene, “In quelle aule si sono formati sei soprintendenti di Pompei, da Amedeo Maiuri a Massimo Osanna”. Daniele Petrella racconta del Giappone, dove ad oggi operano 3 missioni, anche qui con un primato: “Siamo stati i primi a cui i giapponesi hanno consentito di scavare”. Di un rapporto di grande empatia con la popolazione parla Francesca Lugli, etno archeologa da tanti anni operativa in Mongolia e in Russia. Un concetto ripetuto anche da Marcella Frangipane, per decenni alla guida della missione italiana in Anatolia orientale, secondo cui però la vera particolarità italiana è nell’attenzione alla conservazione e al restauro.    L’archeologia, sintetizza Paolo Matthiae, una vita dedicata alla grande scoperta italiana di Ebla in Siria, ha un ruolo fondamentale per la formazione dei funzionari, per la condivisione del metodo scientifico oltre naturalmente per le conoscenze storiche acquisite con gli scavi. Un mondo che si è formato nei decenni dalle esperienze dei primi del Novecento fino alle 246 missioni finanziate nel 2022. Condivisione, rispetto, scambio di saperi, sostegno alle popolazioni. La via italiana all’archeologia nel mondo oggi si presenta così.   

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    Riforme: i tre modelli sul tavolo del governo

    Il dibattito sulle riforme tra maggioranza e opposizione verte essenzialmente sulla forma di governo e i tre modelli sui quali la presidente del Consiglio Giorgia Meloni insiste sono quelli del presidenzialismo, del semipresidenzialismo e del premierato con l’elezione diretta del capo del governo.
    PRESIDENZIALISMO – E’ da sempre il pallino di Giorgia Meloni che ha detto più volte di guardare con favore al modello americano, ma quella forma di governo, come sottolinea anche il costituzionalista Stefano Ceccanti, si basa sulla rigida separazione tra un potere legislativo bicamerale ed un Esecutivo fondato sulla figura del Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo. Il Governo presidenziale è abbastanza stabile, ma la rigida separazione tra le istituzioni fa sì che, soprattutto in caso di maggioranze politiche opposte, la capacità decisionale, alla fine, sia ridotta. E proprio questo è il motivo per cui nessuna grande democrazia europea ha sinora pensato di importarlo.
    SEMIPRESIDENZIALISMO – Quando si parla di governo semipresidenziale si fa riferimento soprattutto all’esperienza francese dove c’è un rapporto di fiducia tra Camera e Governo come nelle altre democrazie parlamentari, ma se ne allontana perché i leader di partito anziché competere per la carica di Primo Ministro si contendono quella di Presidente della Repubblica, che è quindi il vero capo dell’Esecutivo, mentre l’altro vertice del governo, il Primo Ministro, ne diventa sostanzialmente un esecutore. Il Presidente dura in carica 5 anni, ma spesso procede a cambi di Governo, anche del Primo Ministro. In molti in Italia si sono ispirati a questo modello, anche per questioni di flessibilità, ma farebbe perdere al presidente della Repubblica il ruolo di garanzia che è previsto invece nella nostra Costituzione.
    PREMIERATO – Per premierato si intende una forma di governo che mira ad ottenere con regole formalmente diverse, che tengano conto della debolezza del sistema dei partiti italiani, risultati analoghi a quelli delle grandi democrazie parlamentari, ossia governi di legislatura basati di norma su coalizioni che riconoscano come leader chi sia stato indicato, prima del voto, dal partito più votato. Il Governo nascerebbe quindi formalmente in Parlamento, ma sostanzialmente dal voto degli elettori. Poi c’è anche una variante estrema che punta a importare le regole vigenti per comuni e regioni, quella che il Terzo Polo chiama ‘Il sindaco d’Italia’: è l’elezione diretta del vertice dell’Esecutivo con tanto di scioglimento automatico delle Camere in caso di sfiducia o dimissioni. Ma di premierato ci sono forme diverse, come quella proposta dalla Tesi 1 dell’Ulivo del 1996 che prevede un’indicazione del premier sulla scheda elettorale in luogo di un’elezione diretta.   

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    Dagli Usa alla Germania, le Costituzioni a confronto

    Nei principali Paesi dell’Occidente sono diversi e variegati i modelli costituzionali. La loro architettura definisce, tra l’altro, la separazione dei poteri e i sistemi con cui vengono eletti i vertici delle cariche istituzionali.
    FRANCIA: in base alla Costituzione entrata in vigore nel 1958, nel paese vige il semipresidenzialismo contraddistinto dal rafforzamento dell’esecutivo e dalla centralità del presidente della Repubblica. L’esecutivo ha quindi una doppia struttura che ha comunque a capo il presidente votato dai cittadini e un primo ministro. Il presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri, vigila sul rispetto della Costituzione, garantisce l’integrità del territorio e l’indipendenza dell’autorità giudiziaria. Il premier guida l’azione di governo. Il primo è eletto a suffragio universale diretto e il suo mandato dura 5 anni. Il secondo viene nominato dal presidente della Repubblica (è sua prerogativa esclusiva).
    GERMANIA: è una repubblica federale e il perno dell’esecutivo è il cancelliere, eletto dal Bundestag (il Parlamento) su proposta del presidente federale che lo nomina. Il cancelliere propone la nomina e la revoca dei ministri, ne guida l’attività e può proporre lo scioglimento del Bundestag se una mozione di fiducia non è approvata dalla maggioranza dei membri del Parlamento.Peculiarità del sistema tedesco è la sfiducia costruttiva: il Bundestag può sfiduciare il cancelliere solo avendo la certezza di poter eleggere un successore a maggioranza dei suoi membri.
    GRAN BRETAGNA: Non ha una Carta costituzionale codificata ma un insieme di norme e statuti che fanno riferimento ad una organizzazione consolidata dello Stato. E’ una monarchia costituzionale parlamentare che si fonda su tre organi: la Corona, l’esecutivo e il Parlamento. La Corona nomina il primo ministro sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei Comuni. Il premier nomina e revoca i ministri, determina la politica del governo e può chiedere al re lo scioglimento anticipato delle Camere. Sul fronte parlamentare, il modello è un bicameralismo non simmetrico con la Camera dei Lords, più simbolica e di 800 membri, e la Camera dei Comuni che è l’assemblea legislativa vera e propria con ampi poteri e 650 membri.
    SPAGNA: è una monarchia costituzionale con a capo il re e fondata sulla divisione dei poteri. Il legislativo viene esercitato dalle due Camere, con il Congresso dei deputati che dà la fiducia al capo del governo, ne controlla l’azione e può esercitare la sfiducia costruttiva. Il potere esecutivo spetta al premier – proposto dal re, soggetto alla fiducia del Parlamento e poi nominato dal sovrano – con l’aiuto del suo Consiglio dei ministri.
    USA: E’ una repubblica federale formata da 50 Stati e un distretto federale, fondata sul presidenzialismo. In particolare, il potere politico è condiviso tra il presidente degli Stati Uniti, il Congresso (il Parlamento) e le corti giudiziarie federali. L’inquilino della Casa Bianca è nello stesso tempo capo dello Stato e guida dell’esecutivo.Complesso il sistema della sua elezione che passa attraverso il voto dei singoli stati poi conteggiato,con il sistema dei grandi elettori, su base nazionale. In carica per 4 anni e per non più di due mandati. Ma non può essere rimosso dal Congresso, tranne nel caso di impeachment.