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    Pausa, pause o cessate il fuoco umanitario. I leader Ue devono trovare la formula per chiedere l’accesso degli aiuti internazionali a Gaza

    Bruxelles – La crisi in Medio Oriente ha ridisegnato l’agenda del vertice dei leader Ue: domani (25 ottobre) e venerdì, i capi di Stato e di governo dei 27 dovranno trovare le parole giuste per chiedere l’accesso e la distribuzione degli aiuti umanitari in sicurezza nella Striscia di Gaza. È questo il punto cruciale, perché – ribadiscono fonti europee – la posizione dell’Unione europea sul conflitto non è cambiata dalla dichiarazione congiunta emessa lo scorso 15 ottobre.Una posizione ribadita nell’ultima bozza delle conclusioni del Consiglio europeo, visionata da Eunews, che prende le mosse dalla “condanna nei termini più forti possibili nei confronti di Hamas per i suoi attacchi terroristici brutali e indiscriminati in tutto Israele”. Il secondo punto fermo è il supporto al diritto di Israele a difendersi in linea con il diritto internazionale e con il diritto internazionale umanitario, il terzo è l’appello ad Hamas per il “rilascio immediato di tutti gli ostaggi senza condizioni”. Una volta riaffermati questi principi, i leader si concentreranno su “come migliorare la situazione umanitaria a Gaza”.È qui che si tocca “il tema sensibile”, ammette un alto funzionario dell’Ue. I Paesi membri sono d’accordo sul richiedere un “accesso umanitario continuo, rapido, sicuro per raggiungere le persone bisognose attraverso tutte le misure necessarie“, e nel documento finito sul tavolo degli ambasciatori Ue questa mattina veniva inclusa la possibilità di “una pausa umanitaria”. Ma la discussione ruota attorno alle lettere, alle virgole, perché l’imperativo a Bruxelles è trovare un linguaggio “che non abbia impatti sul diritto di Israele a difendersi“. Non può esserci un appello al cessate il fuoco, perché questo significherebbe equiparare l’esercito regolare israeliano ad Hamas, organizzazione riconosciuta come terroristica dall’Ue. Rispetto alla bozza precedente – circolata nei giorni scorsi – è scomparso anche il “supporto alla all’appello del segretario generale dell’Onu per una pausa umanitaria”.Perché su uno dei conflitti più divisivi di sempre da ieri sera è divisivo anche Antonio Guterres, dopo che ha dichiarato che “Hamas non è nata dal nulla” e Israele ne ha chiesto le dimissioni. L’importante, ribadiscono ancora fonti europee, è l’ingresso degli aiuti umanitari. Che comprendono “cibo, acqua, assistenza medica, materiale da campo e carburante“. Su questo, l’Ue fa uno sgarro ad Israele, che non vuole permettere l’ingresso nella Striscia di carburante che potrebbe essere utilizzato per il lancio di missili. Ma che viene sicuramente utilizzato per far funzionare gli ospedali. 
    Al Consiglio europeo di domani e venerdì (26-27 ottobre) irrompe la crisi in Medio Oriente. Dai 27 la “ferma condanna di tutte le violenze e le ostilità contro i civili”, ma dalla bozza delle conclusioni sparisce il sostegno all’appello del segretario generale dell’Onu per una pausa umanitaria

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    La crisi in Medio Oriente ridisegna l’agenda del Vertice Ue. Michel richiama i Ventisette all’unità

    Bruxelles – Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. Tre le linee di azione che domani e venerdì  (26 e 27 ottobre) orienteranno le discussioni tra i capi di stato e governo  al Vertice Ue sul conflitto in Medio Oriente tra Hamas e Israele.Un dibattito che, senza alcun dubbio, prenderà le mosse dalle tensioni in Medio Oriente e dal conflitto tra Hamas e Israele, che ha restituito ancora una volta l’immagine di un’Unione europea poco unita di fronte alla politica estera e di sicurezza. “Il nostro incontro avviene in un momento di grande instabilità e insicurezza globale, esacerbata più recentemente dagli sviluppi in Medio Oriente”, ammette il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella tradizionale lettera di invito ai capi di stato e governo dell’Ue pubblicata questa mattina.Non è difficile immaginare che i leader dell’Ue passeranno ore a discutere cosa includere e cosa no nel testo finale delle conclusioni, se chiedere una “pausa umanitaria” (come si legge nell’ultima bozza di conclusioni) per garantire un accesso “umanitario continuo, rapido e senza ostacoli o inserire qualcosa di più incisivo.  Se da un lato la crisi mediorientale sarà di certo centrale nel dibattito tra i leader, Michel si impegna a non “distrarci dal nostro continuo sostegno all’Ucraina. La nostra responsabilità è restare uniti e coerenti e agire in linea con i nostri valori sanciti dai trattati”, si legge nella lettera che anticipa i temi che saranno trattati. Quanto all’Ucraina, i capi di stato e governo affronteranno in particolare il problema di come accelerare la fornitura di sostegno militare, i progressi nei piani sull’uso delle risorse immobilizzate della Russia e l’intensificazione del contatto diplomatico per garantire il più ampio sostegno internazionale per un una pace globale, giusta e duratura. Alla riunione spazio anche per un aggiornamento sulla revisione del quadro finanziario pluriennale (Qfp), nell’ottica di raggiungere rapidamente un accordo e sulla competitività dell’industria europea. “Il capo del Consiglio europeo non cita la Cina, ma il riferimento è quello. “La competitività dell’UE si è sempre basata sulla sua economia di mercato aperta, con al centro il mercato unico. Ora dobbiamo posizionarci collettivamente in un mondo in cui altri attori e partner internazionali sovvenzionano pesantemente la loro industria e le loro aziende”, si legge nella lettera d’intenti. Bruxelles ha da poco avviato un’indagine anti sussidi sulle batterie per i veicoli elettrici prodotti in Cina.La seconda giornata di venerdì sarà dedicata principalmente al Vertice dell’area euro, a cui “si uniranno a noi i presidenti della Banca centrale europea e dell’Eurogruppo”, ricorda Michel, “per discutere della situazione economica e finanziaria e del continuo stretto coordinamento e governance delle nostre politiche macroeconomiche. I leader dei Ventisette insieme a Christine Lagarde e Paschal Donohoe valuteranno inoltre i progressi compiuti nell’Unione dei mercati dei capitali e nell’Unione bancaria, nonché i lavori avviati sull’euro digitale.
    Garantire “con urgenza” la fornitura di aiuti umanitari e l’accesso ai bisogni più elementari, “impegnarci, in un fronte unito e coerente” con i partner per evitare una pericolosa escalation regionale del conflitto e “rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati”. La tradizionale lettera di invito del presidente del Consiglio europeo prima del Vertice Ue che si terrà domani e venerdì a Bruxelles

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    Dai leader Ue probabile appello per una “pausa umanitaria” a Gaza. Borrell: “Obiettivo meno ambizioso di un cessate il fuoco”

    Bruxelles – La richiesta di un cessate il fuoco tra Israele e Hamas è troppo divisiva. Ma i 27 sono d’accordo “con l’idea di una pausa umanitaria, come qualcosa che permetta agli aiuti internazionali di entrare” a Gaza e di essere distribuiti alla popolazione ormai allo stremo. L’ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, al termine del vertice a Lussemburgo con i ministri degli Esteri dei Paesi membri. La palla passa ai capi di stato e di governo, che si incontreranno a Bruxelles tra pochi giorni, giovedì 26 ottobre.Le parole di Borrell trovano conferma nella bozza delle conclusioni del vertice dei leader, visionata da Eunews: “Il Consiglio europeo sostiene l’appello del segretario generale delle Nazioni Unite Guterres per una pausa umanitaria al fine di consentire un accesso umanitario sicuro e l’arrivo degli aiuti a chi ne ha bisogno”. Il documento sarà nuovamente discusso dai rappresentanti permanenti dei 27 al Coreper prima del Consiglio europeo, ma il capo della diplomazia europea non prevede intoppi su un punto che è già un compromesso. Perché qualche Paese, in prima linea la Spagna, in mattinata aveva invocato un obiettivo più ambizioso. “Questo è il momento di un cessate il fuoco. Questo è il momento di fermare la violenza a Gaza e in Israele e di guardare avanti”, ha dichiarato il ministro di Madrid, José Manuel Albares, prima di incontrare i suoi omologhi.Ma per la maggior parte dei 27 vale un’altra linea, sintetizzata dal ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani. Una linea per cui il cessate il fuoco equivale a negare il diritto di Israele a difendersi, ma “non possiamo dire a Israele di non difendersi mentre Hamas continua a lanciare missili contro le città”. Quello che si può fare, è insistere per una pausa umanitaria. Anche se per il ministro degli Esteri dell’Irlanda, Micheal Martin, “Pausa umanitaria o cessate il fuoco sono intercambiabili”, in realtà il loro significato politico e i risvolti pratici sono differenti. “Al vertice de il Cairo il segretario dell’Onu ha parlato di cessate il fuoco, che è certamente molto di più di una pausa. Una pausa è una pausa: un’interruzione che più avanti riprenderà, è un obiettivo meno ambizioso“, ha ammesso Borrell.Il capo della diplomazia europea ha però messo in chiaro che gli aiuti umanitari che Israele ha lasciato entrare finora a Gaza dal varco di Rafah non sono sufficienti. “Prima della guerra entravano cento camion al giorno, ora si parla di venti – ha commentato -, e i bisogni sono molto maggiori”. Ma non è solo una questione di “velocità e quantità”: i ministri dei 27 sono d’accordo sul fatto che “gli aiuti debbano includere il combustibile necessario per far funzionare gli impianti di desalinizzazione dell’acqua e la produzione di energia elettrica”. Cosa che Israele sta vietando. Duro anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, secondo cui “la quantità non deve essere decisa in modo arbitrario, ma dai bisogni” e “deve poter andare in tutti i posti in cui c’è gente che ha bisogno”. Perché Tel Aviv sta cercando di limitare la distribuzione degli aiuti al sud della Striscia, in modo da forzare chi ancora non si è spostato dal nord a mettersi in marcia. “Non c’è necessità solo di cibo, acqua e medicine, ma particolarmente di carburante, perché senza gli ospedali non possono funzionare”, ha sottolineato Lenarčič.Nelle conclusioni del Consiglio europeo su cui stanno lavorando i diplomatici dei 27, nel capitolo relativo al Medio Oriente si dice anche che l’Ue “ribadisce il bisogno di evitare un escalation regionale impegnandosi con i partner, inclusa l’Autorità Palestinese”, per “ridare vigore ad un processo politico sulla base della soluzione a due stati“. Un obiettivo indicato anche da Borrell, che ha fatto mea culpa: “Sono trent’anni che ne parliamo e ogni volta sembra che ci si allontani, nella misura in cui il numero dei coloni israeliani nei territori della Cisgiordania si è triplicato dalla firma degli accordi di Oslo”. È ora di rilanciare il processo politico e le aspirazioni legittime del popolo palestinese. A due settimane dai terribili attacchi di Hamas a Israele, anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha ritenuto opportuno riallacciare i contatti con l’Autorità Nazionale palestinese: in una telefonata al presidente Mahmoud Abbas ha espresso le proprie condoglianze per i civili vittime dei raid israeliani e gli ha assicurato il supporto per una soluzione che preveda la creazione di uno stato legittimo palestinese.
    Nella bozza del Consiglio europeo il “sostegno all’appello del segretario generale delle Nazioni Unite Guterres” per l’accesso sicuro e la distribuzione degli aiuti umanitari. Von der Leyen chiama il presidente palestinese Abbas per rilanciare il processo politico verso la soluzione a due stati

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    Allargamento Ue, competenze e Agenda verde. Il Cese mette in ordine le priorità dell’Ue verso i Balcani Occidentali

    Bruxelles – Nell’affollato processo di allargamento dell’Unione Europea, che recentemente ha conosciuto un forte rilancio almeno nelle promesse delle istituzioni comunitarie, il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) si sta ritagliando un ruolo sempre più rilevante per avvicinare le società dei Balcani Occidentali con quelle degli attuali Paesi membri dell’Unione Europea. Lo sta dimostrando con diverse iniziative che lo riguardano da vicino come istituzione, ma anche con un’azione diplomatica che si rivolge direttamente ai Ventisette in vista dell’imminente vertice Ue-Balcani Occidentali a Bruxelles. “Il Cese è parte integrante del processo di allargamento Ue e sono orgoglioso di vedere che stiamo facendo un ulteriore passo avanti nel nostro sostegno”, ha affermato con orgoglio il presidente del Comitato, Oliver Röpke, aprendo il nono Forum della società civile dei Balcani Occidentali organizzato a Salonicco tra ieri e oggi (19-20 ottobre).È stato lo stesso Röpke a ricordare quanto il Cese sia coinvolto dalla questione, attraverso la “decisione storica di aprire le porte ai Paesi candidati all’Ue”. Lo farà attraverso l’Iniziativa dei Membri onorari dell’allargamento – il cui evento di lancio è atteso tra dicembre e gennaio – che porterà all’inclusione di 3 membri onorari della società civile per ciascun Paese candidato nel processo di stesura dei pareri del Cese. Si tratterà di 24 nuovi membri da otto Paesi (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina), mentre per ora non sarebbero inclusi Kosovo (che ha fatto richiesta di adesione lo scorso anno) e Georgia (a cui è stata garantita la prospettiva europea ma non ancora lo status di candidato). “Spero di vedere presto alcuni di loro a Bruxelles, a fianco dei nostri colleghi del Comitato“, è l’augurio del presidente Röpke.I due giorni di Salonicco sono stati l’occasione per gli esponenti della società civile degli attuali e futuri membri Ue di confrontarsi sullo stato dell’arte, sui progressi e sui problemi del percorso di avvicinamento della regione all’Unione. Dalla democrazia allo sviluppo delle competenze – compresa istruzione e formazione professionale – dall’emigrazione giovanile al re-skilling dei lavoratori di fronte alle sfide di un’Europa che si deve confrontare con sempre più minacce, non da ultime quelle energetiche e climatiche. A partecipare al Forum anche la vicepresidente della Commissione Europea responsabile per la Democrazia e la demografia, Dubravka Šuica: “Il nostro presente e il nostro futuro sono intimamente legati e, a prescindere dall’età o dal background, ogni persona ha i propri diritti sanciti dall’Ue“. In attesa del Pacchetto Allargamento 2023 dell’esecutivo comunitario atteso per l’8 novembre, la rappresentante del gabinetto von der Leyen ha anticipato una serie di viaggi nei Sei balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) “nei prossimi mesi” e ha ricordato che “il Cese è il primo tra gli organi dell’Unione a includere i Paesi candidati all’allargamento”.I tre punti della dichiarazione del Cese sui Balcani OccidentaliPer mettere in ordine le priorità dei rapporti tra Unione Europea e Balcani Occidentali in vista del vertice dei leader del 14-15 dicembre a Bruxelles (in corrispondenza del Consiglio Ue, come nel giugno 2022), il Cese ha promosso la stesura di una dichiarazione finale del vertice di Salonicco, incentrata su tre punti: percorso di adesione Ue, competenze e Agenda verde. Per quanto riguarda il primo punto, rimane saldo il fondamento per cui “la rapida integrazione nell’Ue” della regione rappresenta “un investimento geostrategico per la pace, la sicurezza e la prosperità economica e sociale dell’Europa”. Il Comitato chiede di “stabilire un calendario chiaro e realistico per l’adesione” dei partner balcanici, accogliendo “con favore” il 2030 come data-limite entro cui le due parti devono essere pronte per l’allargamento, così come da proposta del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. In ogni caso – con un colpo al cerchio e un colpo alla botte – rimane altrettanto innegabile che “l’allargamento è un processo basato sul merito” (il caposaldo della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel suo scetticismo sul fissare una data) e per questo motivo “alcuni Paesi potrebbero completare il processo di adesione più rapidamente di altri”. Altrettanto interessante è il richiamo alla “adesione graduale” nei meccanismi e fondi Ue esistenti, fatto salvo “l’obiettivo finale della piena adesione” e il “sincero rispetto dei valori europei”.Sul secondo punto è centrale il focus sulle competenze “lungo tutto l’arco della vita”. Per questo il Cese chiede un “ulteriore rafforzamento” di programmi Ue, strutture regionali e politiche che raggiungano “un maggior numero di giovani nei Balcani Occidentali con opportunità di istruzione, occupazione, orientamento, mobilità e volontariato“, incluse nuove borse di studio e prestiti nel contesto del programma Erasmus+ e programmi per la formazione professionale continua. Da rafforzare anche i partenariati pubblico-privato per l’occupazione e l’orientamento dei Neet (chi non studia, non è occupato e non cerca lavoro) e la collaborazione tra le parti sociali e le associazioni imprenditoriali per la riqualificazione sul posto di lavoro. Tra le “adeguate” competenze da sviluppare ci sono quelle verdi e digitali “nell’ambito di strategie attive nazionali e regionali”, mentre la parità di genere dovrebbe essere al centro del principio “non lasciare indietro nessuno” (compresi anziani, persone con disabilità e minoranze etniche).E infine l’Agenda verde per i Balcani Occidentali, che pone l’obiettivo di “raggiungere la conformità con l’acquis dell’Ue e la transizione verso una società a zero emissioni di carbonio”. Su questo aspetto c’è molta preoccupazione da parte della società civile: “I progressi nel raggiungimento degli impegni sono stati lenti e l’attuazione molto limitata per la mancanza di calendari chiari e di chiarezza sui percorsi specifici”. Nell’eliminazione del carbone, desta non pochi interrogativi il fatto che “alcuni progetti-faro finanziati attraverso il Piano economico e di investimento rischiano di essere relativi ai combustibili fossili“. L’impegno della regione deve invece essere indirizzato a “prevenire l’inquinamento e il degrado di fiumi, laghi e mari e attuare politiche rigorose per la protezione della biodiversità”, anche quando si tratta di rispetto degli standard ambientali per i finanziamenti di attori extra-Ue in settori come “la metallurgia, l’energia, l’industria della gomma e l’industria mineraria”. Infine Ue e Balcani Occidentali dovrebbero “utilizzare le crisi energetiche” causate dall’aggressione russa all’Ucraina “come catalizzatore per una transizione verde”, con i partner “integrati nei meccanismi dell’Ue volti a mitigare questo tipo di crisi”, è l’ultima esortazione della dichiarazione di Salonicco.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews
    Dalla dichiarazione del nono Forum della società civile organizzato a Salonicco emergono le direttrici su cui il punta il Comitato Economico e Sociale Europeo in vista del vertice tra i leader Ue e balcanici di dicembre. Il presidente Oliver Röpke: “Siamo parte integrante di questo progetto”

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    Von der Leyen chiama Washington contro Putin e Hamas: “L’Europa e gli Stati Uniti insieme per plasmare il futuro”

    Bruxelles – “È nostro dovere che l’Europa e gli Stati Uniti contribuiscano a plasmare la storia del futuro“: nel think-tank fortino dei conservatori americani, quell’Hudson Institute che fu presieduto tra gli altri da Ronald Reagan, l’invettiva della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è un ritorno a quella retorica atlantista di opposizione tra il bene e il male, tra l’Occidente democratico e le forze autocratiche.A Washington per il vertice Ue-Usa con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e Joe Biden, von der Leyen è stata invitata da John Walters, presidente dell’Hudson Institute, a tenere un discorso sugli stravolgimenti geopolitici degli ultimi tempi, dalla guerra in Ucraina al riaccendersi della questione israelo-palestinese. “Gli eventi delle ultime settimane in Medio Oriente e degli ultimi anni nell’Europa dell’Est dimostrano che la lotta che l’Europa e gli Stati Uniti hanno combattuto negli ultimi settant’anni non è mai scomparsa”, ha esordito la leader Ue, citando Reagan e il suo impegno per la riunificazione della Germania alla fine degli anni ’80:  “Credeva che la comunità atlantica fosse la casa della democrazia”, l’ha omaggiato von der Leyen.Le crisi in Ucraina e in Israele, “per quanto diverse, chiedono all’Europa e all’America di prendere posizione e di restare unite”, ha proseguito. Perché così come Putin “vuole cancellare l’Ucraina dalla carta geografica”, Hamas, “sostenuto dall’Iran”, vuole cancellare Israele. Per von der Leyen “la Russia e Hamas sono simili”, perché entrambi hanno “deliberatamente cercato civili innocenti, compresi neonati e bambini, per ucciderli e prenderli in ostaggio”. Una barbarie che rischia di “diffondersi dall’Europa, al Medio Oriente e all’Indo Pacifico”, vola a “sovvertire l’ordine esistente”. L’ordine per il cui “mantenimento e creazione sono state sacrificate tante vite nei nostri continenti”.Per questo “tocca” ancora una volta “a noi occidentali” contribuire alla vittoria dell’Ucraina e alla de-escalation nella polveriera medio orientale. A Kiev le due sponde dell’Atlantico hanno già assicurato 90 miliardi di dollari, di cui 27 miliardi in assistenza militare. In Medio Oriente “l’instabilità può essere contenuta” facilitando il dialogo tra Israele e i suoi vicini: “Questo periodo di guerra deve essere anche un momento di diplomazia implacabile”, ha dichiarato von der Leyen. Sull’Ucraina la leader Ue è convinta che debba essere rispolverata la strategia della “deterrenza”, l’idea di “fornire l’equipaggiamento militare necessario per scoraggiare futuri attacchi russi”. Per farlo, è necessario aumentare la spesa per la difesa e alimentare l’industria bellica. In sinergia con gli Stati Uniti, “il nostro più antico e forte alleato”.La retorica è dura, con toni militaristi: Ue e Usa devono difendere oggi più che mai quell’ordine di pace conquistato insieme nella seconda guerra mondiale, quando “la democrazia vinse sul fascismo e sull’autocrazia”. Ecco perché Washington non deve tentennare sul rinnovo al sostegno militare e finanziario a Kiev, così come non lo farà Bruxelles. Perché è qui che viene fuori “il meglio del partenariato transatlantico, una partnership per la libertà, la pace e la prosperità”.
    Nel suo discorso all’Hudson Institute, la presidente della Commissione europea lancia l’appello all’alleato a stelle e strisce: “Gli Stati Uniti rinnovino il sostegno finanziario e militare a Kiev”. E accusa il Cremlino: “Russia e Hamas sono simili”

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    Acciaio, Ucraina e tensioni in Medio Oriente. Von der Leyen e Michel a Washington per il Vertice Ue-Usa

    Bruxelles – Doveva essere un semplice incontro interlocutorio per discutere delle dispute commerciali in attesa di essere risolte e per ribadire il “sostegno incondizionato” all’Ucraina da i due lati dell’Atlantico. Eppure, non è difficile immaginare che il conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas e le tensioni nella striscia di Gaza stravolgeranno l’agenda. I leader europei Ursula von der Leyen e Charles Michel sono attesi nella notte (ora locale di venerdì 20 ottobre) a Washington per il secondo Vertice Ue-Usa da quando il presidente statunitense Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca a gennaio 2021.Difesa dell’Ucraina e il sostegno alla sua ricostruzione e l’approvvigionamento di materie prime critiche, centrali per la produzione di tecnologie verdi, dovevano essere i temi dominanti secondo l’agenda annunciata lo scorso 28 settembre in una nota congiunta dei due lati dell’Atlantico in cui si legge che il presidente Biden insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, faranno il punto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea, soprattutto per confermare il “nostro impegno condiviso a sostenere l’Ucraina nella difesa della sua sovranità e a imporre costi alla Russia per la sua aggressione”. Ma i leader si confronteranno sulla crisi in Medio Oriente dopo le visite in loco nei giorni scorsi di von der Leyen, insieme alla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, e di Biden in Israele. Dall’acciaio ai minerali critici, le questioni commerciali in balloVon der Leyen e Michel saranno accompagnati da una schiera di rappresentanti dell’esecutivo comunitario, dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, al vicepresidente esecutivo con delega al commercio, Valdis Dombrovskis e alla vicepresidente per la trasparenza Vera Jourova. I leader europei, in particolare, cercheranno di portare avanti i negoziati bilaterali per scongiurare nuovi dazi sull’acciaio e l’alluminio (imposti a suo tempo sulle importazioni dal continente dall’ex presidente Donald Trump) e finalizzare l’accordo in chiave anti-cinese sui minerali critici, attenuando l’impatto negativo dell’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense e sui suoi sussidi per i veicoli elettrici. Il riferimento alla Cina non è diretto, ma il rafforzamento della cooperazione transatlantica è in chiave anti-Pechino. Washington e Bruxelles lavorano ormai da mesi per finalizzare un accordo sui minerali critici, che entrambe le parti puntano a chiudere entro la fine dell’anno. L’obiettivo è quello di raggiungere uno status equivalente a un accordo di libero scambio per l’Ue per i minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la doppia transizione, come il litio per le batterie – e distendere le tensioni create dall’Inflation Reduction Act (IRA), il vasto piano di sussidi verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa, che Bruxelles teme possa svantaggiare le imprese europee. Le discussioni “esplorative” con gli Stati Uniti tenute finora hanno mostrato un allineamento sui principi principali, mentre i dettagli verranno approfonditi durante i negoziati ancora in corso. E il Vertice di fine ottobre potrebbe essere la giusta occasione per velocizzare i negoziati. Il Vertice prenderà le mosse in un contesto completamente diverso rispetto a quello che a giugno 2021 ha accolto Biden a Bruxelles. I leader europei e statunitensi si trovavano a dover affrontare e gestire insieme la crisi economica derivata dall’urgenza sanitaria del Covid-19 e una guerra alle porte dell’Europa era impensabile.
    I leader europei Ursula von der Leyen e Charles Michel attesi a Washington da Biden per il secondo Vertice Ue-Usa da quando il presidente statunitense si è insediato alla Casa Bianca a gennaio 2021. Le tensioni tra Israele e Hamas stravolgono l’agenda del vertice

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    Israele, l’Eurocamera chiede una “pausa umanitaria” delle ostilità per permettere l’arrivo di aiuti internazionali a Gaza

    Bruxelles – Serve una tregua umanitaria per permettere agli aiuti internazionali di arrivare alla popolazione. Dopo l’acceso dibattito in aula, con una risoluzione non legislativa il Parlamento europeo di Strasburgo ha condannato “gli spregevoli attacchi terroristici di Hamas contro Israele” e espresso “seria preoccupazione” per la situazione nella Striscia di Gaza.Approvato oggi (19 ottobre) con 500 voti a favore, 21 contrari e 24 astensioni, il testo ribadisce il sostegno a Israele e sottolinea che “l’organizzazione terroristica Hamas deve essere eliminata”. Tel Aviv ha cioè il diritto all’autodifesa, ma la sua azione militare deve rientrare nei paletti del diritto internazionale. Per gli eurodeputati “attaccare i civili e le infrastrutture civili, compresi gli operatori delle Nazioni Unite, gli operatori sanitari e i giornalisti, è una grave violazione del diritto internazionale”.Non c’è margine per lanciare l’appello per la fine delle ostilità: la richiesta è stata modificata in “pausa umanitaria” con un emendamento orale in aula e approvata così. “Il Parlamento ha giustamente respinto l’appello per un cessate il fuoco. Non può esserci un cessate il fuoco con i terroristi di Hamas“, ha commentato su X il leader del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber. Ma per l’Eurocamera è fondamentale distinguere tra “il popolo palestinese e le sue aspirazioni legittime e l’organizzazione terroristica Hamas e i suoi atti terroristici”. La popolazione della Striscia di Gaza è sotto assedio: secondo il ministero della Sanità controllato da Hamas, dall’inizio del conflitto sono state uccise 3.478 a Gaza e più di 12 mila sono state ferite. E all’incirca un milione di palestinesi sono fuggiti dalle loro case per spostarsi nel sud dell’enclave, ammassandosi nelle scuole delle Nazioni Unite e nei campi profughi.Per far fronte all’emergenza, i deputati “esortano la comunità internazionale a proseguire e a incrementare l’assistenza umanitaria alla popolazione civile dell’area” e “sollecitano l’Egitto e Israele a cooperare con la comunità internazionale per istituire corridoi umanitari verso la Striscia di Gaza“.  Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avrebbe strappato un accordo per l’apertura, da domani, del valico di Rafah: tra i container che si stanno accumulando al confine tra Israele ed Egitto, anche le tende da campo, medicinali e kit igienici che la Commissione europea ha inviato con due ponti aerei già questa settimana. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), che sta dando accoglienza nelle proprie strutture a circa 513 mila sfollati interni, ha fatto sapere che i propri rifugi sono “sovraffollati e dispongono di scorte molto limitate di cibo, prodotti per l’igiene e acqua potabile“.“Vogliamo una pausa del conflitto a fini umanitari e una de-escalation, in linea con quanto richiesto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite”, ha dichiarato il capodelegazione del Partito democratico all’Eurocamera, Brando Benifei. Sul rischio di allargamento regionale degli scontri, il Parlamento ha condannato con “la massima fermezza” il sostegno dell’Iran ad Hamas e ad altri gruppi terroristici nella Striscia di Gaza, e ha reiterato la richiesta di includere il Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica e l’Hezbollah libanese nell’elenco Ue delle organizzazioni terroristiche.Sul controverso bombardamento contro l’ospedale episcopale di Al Ahli, che avrebbe causato almeno duecento vittime, i deputati chiedono un’indagine indipendente per “stabilire se si sia trattato di un attacco deliberato e di un crimine di guerra e, in caso affermativo, chiede che i responsabili siano chiamati a risponderne”.
    Nella risoluzione approvata a larghissima maggioranza l’emiciclo di Strasburgo sottolinea che “l’organizzazione terroristica Hamas deve essere eliminata”. Nonostante la “profonda preoccupazione per il rapido deterioramento della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza”, nessuna richiesta di cessate il fuoco

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    Alla plenaria dell’Eurocamera il premier armeno spinge per un accordo di pace con l’Azerbaigian “entro la fine dell’anno”

    Bruxelles – Il tappeto rosso era stato steso all’ultima sessione plenaria di due settimane fa con una risoluzione del Parlamento Ue durissima sull’invasione azera del Nagorno-Karabakh. Oggi (17 ottobre) il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha avuto l’occasione di rivolgersi direttamente agli eurodeputati riuniti a Strasburgo per rivendicare il ruolo di Yerevan nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi nel Caucaso meridionale – passata in secondo piano dopo lo scoppio del conflitto tra Hamas e Israele – e per ribadire che il suo Paese è pronto a stringere con più forza i legami con l’Unione Europea, dopo la delusione determinata dall’atteggiamento dello storico alleato russo.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (17 ottobre 2023)“Conosciamo il Parlamento Europeo come un alleato al nostro fianco, avete fatto sentire la vostra voce per diffondere la verità sul Nagorno-Karabakh e voglio ringraziarvi per aver chiamato con il proprio nome quello che sta succedendo”, ha esordito nel suo intervento il premier armeno, facendo riferimento alla risoluzione adottata a largissima maggioranza lo scorso 5 ottobre che condanna la “pulizia etnica” operata dall’Azerbaigian nell’enclave separatista. Accogliendo il leader dell’Armenia, la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, ha ricordato che “l’Unione Europea continuerà a sostenere i vostri sforzi nell’accogliere i rifugiati” dal Nagorno-Karabakh – 100 mila profughi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti – “gli Stati membri hanno donato attrezzature, forniture mediche e cibo con il Meccanismo di protezione civile Ue”. Dopo la resa delle forze separatiste dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh all’esercito azero lo scorso 20 settembre, Yerevan ha dovuto fare fronte a una situazione critica, ma “li abbiamo accolti tutti senza ricorrere a campi rifugiati o tendopoli”, ha voluto sottolineare con forza Pashinyan, senza dimenticare di ricordare gli aiuti umanitari inviati a stretto giro da Bruxelles: 5 milioni di euro di sostegno d’emergenza per assistere sia gli sfollati in Armenia, sia le persone vulnerabili all’interno del Nagorno-Karabakh.Il premier armeno non ha risparmiato critiche alla comunità internazionale per “non essere stata in grado di impedire la pulizia etnica”, con un riferimento implicito a Mosca, i cui soldati avrebbero dovuto vigilare sul rispetto degli accordi nelle aree più instabili: “Non solo non ci hanno aiutati, ma hanno anche chiesto di cambiare il nostro regime democratico”. Eppure l’Azerbaigian “aveva già dimostrato di voler rendere impossibile la vita degli armeni del Nagorno-Karabakh” dalla fine dello scorso anno con il blocco del corridoio di Lachin (la strada che collega l’Armenia con la regione separatista): “Sono stati presi di mira i civili e abbiamo alzato l’allarme sul piano azero che voleva ridurre gli armeni alla fame”, prima che iniziasse la vera e propria operazione armata da parte dell’esercito di Baku il 19 settembre. Tutto questo considerato, il premier Pashinyan ha portato agli eurodeputati un messaggio: “Il Caucaso ha bisogno di pace e stabilità, con confini aperti, legami economici, politici e culturali e la possibilità di risolvere le difficoltà attraverso il dialogo e la diplomazia“. In altre parole, “la nostra visione di stabilità non è in contrapposizione con gli interessi della regione, se il Caucaso è in pace, noi siamo in pace”.Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (17 ottobre 2023)È qui che si inserisce la questione degli sforzi per la normalizzazione delle relazioni con il Paese confinante. “Entro quest’anno si potrebbe arrivare a un accordo di pace, ma Baku si rifiuta, come dimostrato a Granada“, ha attaccato il leader armeno, ricordando l’assenza pesante del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, al terzo vertice della Comunità Politica Europea lo scorso 5 ottobre in Spagna, quando si sarebbe dovuto ripresentare il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron, per tentare di portare avanti una soluzione diplomatica in linea con i colloqui di luglio. “Se i principi illustrati saranno riconfermati in una riunione questo mese a Bruxelles, allora un accordo tra Armenia e Azerbaigian entro la fine dell’anno sarebbe realistico”, ha ribadito Pashinyan. Il riferimento è ai principi sanciti lo scorso anno all’inaugurazione della Comunità Politica Europea a Praga: sovranità territoriale, inviolabilità del confini, ritiro delle truppe dalle rispettive enclave. Ma anche ripresa dei collegamenti regionali, come il progetto presentato dal premier armeno a Strasburgo: “Una crocevia della pace per il movimento di merci, persone, condutture elettriche e gasdotti”. La garanzia è rappresentata proprio dall’Unione Europea e dal suo Parlamento – “Yerevan è un partner vitale nel vicinato dell’Ue“, ha sottolineato Metsola – con il leader armeno che per la prima volta si è sbilanciato sulla partnership con i Ventisette: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario“.Il conflitto tra Armenia e AzerbaigianTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armenoPashinyan e il presidente azero Aliyev.Esplosioni in Nagorno-KarabakhL’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che, per la sproporzione di forze in campo, ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert.
    Nel suo intervento davanti agli eurodeputati a Strasburgo, Nikol Pashinyan ha rivendicato l’impegno diplomatico di Yerevan anche di fronte alla pulizia etnica in Nagorno-Karabakh: “Siamo pronti ad avvicinarci all’Ue, nella maniera in cui Bruxelles lo ritenga necessario”