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    L’UE è pronta a cooperare con la Corea del Sud su semiconduttori e trasferimento dei dati personali

    Bruxelles – Se la questione della carenza dei semiconduttori è stato uno dei temi cruciali della riunione inaugurale del Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-Stati Uniti (TCC) di Pittsburgh, la partita della catena di approvvigionamento dei microchip per Bruxelles si gioca anche dall’altra parte del mondo: in Corea del Sud.
    Il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, in questi giorni è in visita a Seul, dove sta tenendo colloqui con i ministri del governo coreano sulle prospettive di cooperazione tecnologica e digitale tra l’Unione Europea e il partner orientale. Nel corso del confronto con la ministra della Scienza, Lim Hyesook, è stato affrontato il tema della ricerca comune sul fronte delle “tecnologie critiche”, come l’intelligenza artificiale, lo sviluppo del 6G, l’Open RAN (creazione di reti aperte e indipendenti dallo stretto legame) e i computer quantistici.
    Ma sono i microchip il vero nodo cruciale. “L’epicentro della geopolitica dei semiconduttori è qui, in Asia“, ha commentato su Twitter dopo un colloquio con il ministro del Commercio, l’industria e l’energia, Moon Sung-wook, ricordando il focus sulla “resilienza della nostra filiera di microchip e sulla ricerca”. Concetto ribadito anche durante la visita al campus della Samsung a Pyeongtaek, la più grande fabbrica di semiconduttori a 5 nanometri al mondo: “Con l’imminente Atto europeo dei microchip, assicureremo la nostra catena di approvvigionamento con alleanze di fiducia in tutto il mondo”, ha confermato Breton.

    Impressive visit to @Samsung Pyeongtaek Campus 🇰🇷
    The largest 5 nanometers #semiconductors factory in the world 🔬
    With the upcoming 🇪🇺 EU Chips Act, we will secure our supply chain in partnership with #trusted players across the globe.#TechAndChipsTour pic.twitter.com/UA3HxOqgY8
    — Thierry Breton (@ThierryBreton) September 30, 2021

    Che si tratta di una settimana cruciale per le relazioni tra l’UE e la Corea del Sud sul fronte della tecnologia l’ha confermato anche il parere del Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), che ha sancito il “sostanziale allineamento” tra le politiche di protezione dei dati personali tra i due partner. In questo modo è stato possibile per l’EDPB dare un parere positivo alla decisione di adeguatezza sul trasferimento dei dati tra Bruxelles e Seul.
    “Questa decisione di adeguatezza è di fondamentale importanza, in quanto coprirà i trasferimenti sia nel settore pubblico sia in quello privato”, ha spiegato la presidente del Comitato europeo, Andrea Jelinek. “Un alto livello di protezione dei dati è essenziale per sostenere i nostri legami di lunga data con la Corea del Sud e per salvaguardare i diritti e le libertà degli individui“, ha aggiunto la presidente, ribadendo che “gli aspetti fondamentali del quadro coreano di protezione dei dati sono essenzialmente equivalenti” a quelli del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dell’Unione Europea.
    Secondo l’EDBP, l’allineamento coinvolge i concetti di protezione dei dati (informazioni personali, trattamento e persone interessate), i motivi di trattamento legittimo, la limitazione delle finalità di uso, la conservazione dei dati, la sicurezza la trasparenza. Rimane però necessario continuare a “monitorare attentamente la situazione” e la Commissione Europea è stata invitata a  “fornire ulteriori informazioni” sui requisiti sostanziali e procedurali (come l’onere della prova) in caso di ricorso all’autorità per la protezione dei dati coreana.

    Visita a Seul del commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, per rinsaldare il legame sul fronte digitale. Intanto il Comitato europeo per la protezione dei dati da l’ok alla decisione di adeguatezza sulla privacy

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    G20 straordinario sull’Afghanistan il 12 ottobre. Draghi: “Salvare vite umane, no al pacco di grano in cambio di abiure”.

    Roma – “C’è prima di tutto un’emergenza umanitaria, si tratta di vedere se è possibile avere obiettivi comuni”. Draghi la mette sul piano del pragmatismo e annuncia così il vertice straordinario del G20 dedicato alla crisi in Afghanistan che sotto la presidenza italiana si riunirà il 12 ottobre.
    “Attualmente non c’è nessun sostegno dal resto del mondo – ha detto il premier italiano – ed è un dovere dei Paesi più ricchi evitare una catastrofe umanitaria, senza condizionalità o pensare di dare un pacco di grano solo se si abiura o si rinuncia alla fede”. “Lì siamo a un punto in cui bisogna preoccuparsi di salvare vite umane”.
    Il secondo punto si dovrà affrontare è quali passi la comunità del G20 può intraprendere per evitare che l’Afghanistan “torni a essere il nido del terrorismo internazionale, in Europa ma non solo anche nei Paesi circostanti che sono coinvolti nella crisi e che avranno una voce in capitolo nel vertice”.
    La formula del summit sarà perciò allargata “non solo ai Paesi Bassi e alla Spagna sempre invitati ma anche al Qatar, alle Nazioni Unite, al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale.

    il premier italiano convoca il vertice che sarà allargato a Paesi circostanti, Qatar, ONU, Banca mondiale e FMI

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    Le tensioni tra Serbia e Kosovo “non sono solo una questione di targhe”, ma l’UE vuole un passo avanti da entrambi i Paesi

    Bruxelles – L’UE prende di petto la ‘battaglia delle targhe’ tra Kosovo e Serbia e, attraverso le parole della presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, invia un segnale chiaro alle parti: “Sappiamo che non si tratta solo di una questione di targhe provvisorie, ma di problemi regionali che ostacolano il cammino europeo. Ecco perché si deve tornare immediatamente al tavolo del dialogo pacifico“.
    Nella terza tappa del viaggio di tre giorni nelle sei capitali balcaniche, von der Leyen ha richiamato il governo di Pristina alle sue responsabilità: “Sono molto preoccupata della situazione, Kosovo e Serbia devono normalizzare le proprie relazioni per aspirare all’adesione all’Unione Europea”. Ribadendo quanto già dichiarato ieri a Tirana e Skopje, la presidente della Commissione ha ricordato che “l’unico modo per risolvere le recenti difficoltà è il dialogo mediato da Bruxelles” e che “ci sarà molto di cui discutere” al vertice UE-Balcani Occidentali in programma in Slovenia fra una settimana esatta (mercoledì 6 ottobre): “Voglio vedere progressi sia da Belgrado sia da Pristina“, è stato il commento secco della leader dell’esecutivo UE.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, a Pristina (29 settembre 2021)
    Dopo il bastone, la carota. “Vengo da un Paese che ha sperimentato più di 70 anni fa cosa significa superare le dispute con i propri vicini e come si può ricostruire la fiducia reciproca”, ha cercato di rasserenare il clima la presidente von der Leyen. “Domani lo ripeterò anche a Belgrado, la questione vi riguarda entrambi allo stesso modo“, ha aggiunto. Le prospettive europee del Kosovo e della Serbia passano da un accordo distensivo tra i due Paesi (a tredici anni dalla dichiarazione di indipendenza unilaterale di Pristina) ed è per questo motivo che le tensioni sul confine settentrionale del Paese hanno un impatto diretto sul dialogo decennale mediato dall’UE. La presidente dell’esecutivo UE ha poi ricordato che “mentre stiamo parlando, i negoziatori sono a Bruxelles per discutere dei nuovi problemi e spero che abbiano un forte mandato per farlo”.
    È stata proprio l’Unione Europea a richiedere urgentemente un incontro tra i capi-delegazione di Belgrado e Pristina, Petar Petković e Besnik Beslimi, per evitare un’ulteriore escalation e per riprendere a pieno ritmo il dialogo tra Serbia e Kosovo facilitato dall’UE. A sostenere questa prospettiva è arrivato a Bruxelles anche Gabriel Escobar, vice-segretario statunitense responsabile della politica verso i Paesi dei Balcani Occidentali. I “nuovi problemi” da risolvere tra Serbia e Kosovo riguardano le proteste e i blocchi stradali ai valichi di frontiera di Jarinje e Brnjak, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. Dallo scorso 20 settembre i reparti speciali di polizia stanno supportando i controlli della guardia di frontiera, mentre Belgrado ha allertato le proprie truppe nel caso di violazioni dei diritti della minoranza serba in Kosovo.
    Sulla questione delle nuove difficoltà tra Serbia e Kosovo nel dialogo mediato dall’UE si è espresso anche il premier kosovaro, Albin Kurti, nel corso della conferenza stampa con von der Leyen a Pristina. “Le misure che abbiamo preso non dovrebbero creare problemi, perché riguardano solo l’applicazione delle targhe provvisorie”, è stato il commento del primo ministro. Per Pristina si tratta di una “questione di reciprocità”, dal momento in cui da tempo vige l’obbligo per gli automobilisti kosovari di coprire la propria targa con una temporanea rilasciata dalle autorità serbe quando valicano il confine. Riportando che “oltre 11 mila veicoli sono entrati dalla Serbia e non hanno avuto nessun problema nell’attraversamento della frontiera”, Kurti ha voluto sottolineare che “nessuno fa controlli sui passeggeri, né altri tipi di accertamenti se non sulla targa“.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, a Pristina (29 settembre 2021)
    Il premier kosovaro non ha però nascosto che “non siamo ancora arrivati a una soluzione con Belgrado” e ha accusato la controparte sia per la “visita lungo la frontiera del ministro della Difesa serbo con l’ambasciatore russo”, sia per l’invio di convogli, MiG-29 ed elicotteri militari sul confine (per Belgrado è invece solo una ‘linea amministrativa con la provincia meridionale del Kosovo’, non riconoscendone l’indipendenza). “Avremmo preferito non mobilitare le nostre unità speciali, ma non possiamo non prendere misure se ci sono tensioni sproporzionate per la guardia di frontiera”, ha commentato Kurti, che ha ribadito la volontà di arrivare a una “soluzione equa e reciproca” sulla questione delle targhe. In altre parole, i cittadini di entrambi i Paesi “devono poter viaggiare con le proprie targhe, oppure con targhe provvisorie dell’altro Stato”.
    La visita di von der Leyen a Pristina è stata anche l’occasione per confermare le sinergie tra l’UE e il Kosovo, ma anche per affrontare le questioni in sospeso: “Dobbiamo prepararci per cercare di ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE, prima però serve la liberalizzazione dei visti per i nostri cittadini”, ha ricordato il primo ministro kosovaro. La presidente della Commissione UE si è soffermata sul ruolo che Bruxelles ha rivestito sul fronte della campagna vaccinale e della ripresa post-COVID del Paese: “Abbiamo inviato 387 mila dosi grazie al pacchetto Team Europe e il Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro farà crescere l’ecosistema delle imprese kosovare”. Infine, von der Leyen ha chiesto “altri sforzi” al governo Kurti nella lotta alla corruzione e nella riforma del sistema giudiziario.

    The EU-facilitated Dialogue is the only platform to resolve the current situation.
    It is important to use the dialogue to find a sustainable solution.
    Cooperation is the only way forward.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 29, 2021

    La tappa a Podgorica
    Dopo aver affrontato a Pristina la questione del dialogo tra Serbia e Kosovo mediato dall’UE, nel primo pomeriggio la presidente della Commissione ha fatto tappa a Podgorica, dove ha incontrato il presidente del Montenegro, Milo Đukanović. “Questa visita è una conferma dell’impegno di Bruxelles nella prospettiva europea del nostro Paese”, si è rallegrato il presidente montenegrino, che ha ricordato l’enorme sostegno nel Paese a questo progetto: “Secondo i sondaggi, oltre il 70 per cento dei cittadini supporta l’integrazione europea“. Đukanović ha anche sottolineato l’importanza delle tempistiche del viaggio di von der Leyen: “Gli incontri con tutti i leader della regione saranno un bagaglio fondamentale per il messaggio che l’Unione potrà inviare a noi leader balcanici durante il summit a Lubiana”.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Milo Đukanović, a Podgorica (29 settembre 2021)
    Il presidente del Montenegro si è poi soffermato sul momento storico che sta vivendo la regione, con “nuovi problemi di stabilità e di interessi geopolitici di attori globali che vogliono opporsi al nostro accesso all’UE“. Un riferimento abbastanza chiaro alla Russia, ma anche alla Cina, le cui capacità di infiltrazione nell’economia balcanica sono state sperimentate recentemente dal Montenegro. Dopo mesi di incertezza, solo a luglio il governo di Podgorica è riuscito a trovare un accordo con tre banche occidentali per coprire la prima tranche del debito da 809 milioni di euro con un ente di credito statale cinese: senza questo accordo, avrebbe rischiato di cedere porzioni del territorio nazionale a Pechino. Đukanović ha però spostato l’attenzione sui progressi negli ultimi 30 anni di politica nazionale (da lui ininterrottamente guidata) e si è detto certo che “il Montenegro diventerà il ventottesimo Paese membro dell’UE“.
    Prospettiva confermata anche da von der Leyen, che ha incoraggiato il Paese a “rimanere saldo in questa prospettiva, visto è il più avanzato sulla strada dell’adesione all’Unione“. La presidente della Commissione UE ha però richiamato tutti i partiti politici a “rispettare la volontà del popolo”, ricordando che “il compromesso è il cuore della democrazia e del dialogo tra le forze in Parlamento”. Un avvertimento necessario a un anno dal cambiamento epocale nella politica montenegrina – con il partito del presidente Đukanović passato per la prima volta nella storia del Paese all’opposizione – che spesso si manifesta in tensioni nel governo guidato da Zdravko Krivokapić.
    Le aspettative delle istituzioni europee nei confronti di Podgorica rimangono comunque alte. “Il fatto che il Montenegro sia stato il primo Paese della regione a legalizzare le unioni di persone dello stesso sesso riflette la tolleranza e l’unione nella diversità che state perseguendo”, ha riconosciuto con grande soddisfazione la presidente von der Leyen. Per quanto riguarda il futuro, invece, “ci aspettiamo dal Montenegro progetti maturi nei settori economici cruciali“, dalla digitalizzazione alle politiche verdi. La strada tracciata dalla presidente della Commissione Europea al termine della quarta tappa del suo viaggio nei Balcani è chiara: “Siete voi a definire le linee di sviluppo e gli investimenti europei vi supporteranno secondo le vostre esigenze. Ecco perché questo progetto comune avrà successo”.

    Nel suo secondo giorno di viaggio nei Balcani, la presidente von der Leyen ha chiesto “un’immediata de-escalation” e la ripresa del “dialogo pacifico” tra Pristina e Belgrado. Nella tappa in Montenegro ha confermato le alte aspettative di Bruxelles verso Podgorica

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    La Francia prova a frenare il Consiglio commercio e tecnologia UE-USA

    Bruxelles – È il giorno dell’inaugurazione del Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-Stati Uniti (TCC) a Pittsburgh, in Pennsylvania. Ma c’è un Paese in Europa che non sta festeggiando: la Francia, che anzi sta cercando di frenare quanto più possibile le prospettive di lungo respiro dell’organismo, progettato per coordinare la cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico nell’ambito tecnologico e digitale.
    Alla base di questa posizione – in contrasto con gli altri 26 Stati membri UE – ci sono le frizioni di Parigi con le istituzioni europee, che non si sarebbero spese abbastanza per difendere gli interessi francesi (e di conseguenza europei) nella disputa sui sottomarini. L’accordo tra Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti, noto come AUKUS, è stato sì causa di tentennamenti da parte della Commissione Europea sulla possibilità di rinviare la prima riunione del TCC, ma alla fine l’esecutivo comunitario ha stabilito che il nuovo sodalizio internazionale non ha ripercussioni così pesanti su Bruxelles da poter mettere in discussione il partenariato con Washington.
    Secondo quanto riportato da alcune fonti di Bruxelles a Reuters, il governo di Parigi voleva eliminare dalla dichiarazione congiunta il riferimento a un secondo incontro del TCC nella primavera del 2022, ma anche la proposta di un’alleanza sulla catena di approvvigionamento di semiconduttori, in cui UE e Stati Uniti si definiscono “reciprocamente dipendenti”. L’approccio francese spingerebbe verso una maggiore cautela nelle relazioni europee con Washington, con il rapporto di fiducia tra le due sponde dell’Atlantico che dovrebbe essere ricostruito su nuove basi.
    In attesa della dichiarazione congiunta (fonti dell’esecutivo comunitario hanno confermato che non è prevista una conferenza stampa), il tema più caldo sul tavolo oggi riguarda proprio la carenza di microchip e l’approvvigionamento sul medio termine. I funzionari della Commissione hanno fatto sapere che Washington e Bruxelles si confronteranno per unire le forze e “parlare insieme” con i produttori e i partner globali. Altre questioni di principale interesse sono lo sviluppo e i limiti da porre all’uso dell’intelligenza artificiale e la concorrenza ed esportazione di nuove tecnologie.
    Per l’Unione Europea, a co-presiedere alla riunione inaugurale del Consiglio per il commercio e la tecnologia saranno i vicepresidenti esecutivi della Commissione UE Margrethe Vestager (per il Digitale) e Valdis Dombrovskis (per l’Economia). Le controparti statunitensi saranno il segretario di Stato, Antony Blinken, la segretaria per il Commercio, Gina Raimondo, e la rappresentante per il Commercio, Katherine Tai.

    Secondo quanto riportano le fonti di Bruxelles, dopo la disputa sui sottomarini il governo di Parigi ha provato a modificare la dichiarazione congiunta che sarà pubblicata al termine della riunione inaugurale del TCC a Pittsburgh

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    Accordi UE-Marocco illegittimi. “Siglati dal Consiglio senza il consenso del popolo Sahrawi”

    Bruxelles – Gli accordi commerciale UE-Marocco non sono validi. Il Consiglio li ha avallati calpestando il popolo saharawi, a cui sono stati imposti solo obblighi senza riconoscere alcun diritto, e scavalcandolo nella misura in cui i diretti interessati non stati né coinvolti né interpellati. La sentenza del Tribunale dell’UE boccia l’Unione in tutto, nel suo modo di fare e nel merito di accordi contestati fin dall’inizio.
    Unione europea e Marocco hanno trovato un accordo per l’importazione nel mercato unico di prodotti agricoli e di mare di origine marocchina nel 2013, e rinnovato nel 2019. L’accordo ha finito per includere anche i territori del Sahara occidentale, su cui Rabat rivendica sovranità e ancora al centro di contese. La repubblica araba di Sahrawi (RDAS) non è riconosciuta in sede ONU, non è riconosciuta da nessuno degli Stati membri dell’UE,  ma è riconosciuta dall’Unione africana, che la inserisce nella lista degli Stati indipendenti e sovrani. Ma il territorio della RDAS è costituito da appena un quinto di ciò che reclama per sé, controllato dal Marocco.
    [foto: ECFR – European Council on Foreign Relations]Il Fronte Polisario, il movimento per l’autodeterminazione del popolo sahrawi e il riconoscimento di tutto il territorio rivendicato, ha contestato già nel 2013 l’accordo bilaterale UE-Marocco, e così ha fatto nel 2019. Il motivo è sempre lo stesso: gli accordi si applicano al Sahara occidentale senza consenso, prevedono lo sfruttamento delle sue risorse naturali e promuovono la politica di annessione di tale territorio da parte del Marocco.
    Adesso da Lussemburgo si riconoscono le ragioni Sahrawi. “Non è stato rispettato il requisito relativo al consenso del popolo del Sahara occidentale ai fini del principio dell’efficacia relativa dei trattati”, stabiliscono i giudici del Tribunale. Il trattato dunque non è valido. Anche perché la norma di diritto internazionale per cui si può presumere il consenso di terzo parti ad un accordo internazionale quando le parti di tale accordo intendessero attribuirgli diritti, “non è applicabile al presente caso, poiché gli accordi in questione non hanno lo scopo di conferire diritti al popolo del Sahara occidentale, ma di imporre loro obblighi”.
    C’è poi l’aspetto ancora più esplicitamente politico della vicenda. Il Tribunale di Lussemburgo riconosce che le decisioni impugnate, vale a dire gli accordi commerciali contestati dal Fronte Polisario, “hanno effetti diretti sulla posizione giuridica del ricorrente come rappresentante di questo popolo e come parte nel processo di autodeterminazione in questo territorio”. L’accordo siglato dall’UE dunque ha come conseguenza quello di riconosce la repubblica araba di Sahrawi e il suo popolo come parte del Marocco.
    Tutto da rifare, dunque. Serve un nuovo accordo UE-Marocco sui prodotti agricoli (viene riconosciuto legittimo quello sulla pesca), e il Tribunale offre tempo per scriverne un altro. Accanto alla vittoria di principio e nel merito, il Fronte Polisario vede la ‘beffa’ della non cancellazione automatica degli accordi riconosciuti illegittimi. I giudici stabiliscono che gli effetti dell’accordo “siano mantenuti per un certo periodo“, poiché l’annullamento con effetto immediato “potrebbe avere gravi conseguenze sull’azione esterna dell’Unione europea e mettere in dubbio la certezza del diritto rispetto agli impegni internazionali che ha concordato”. Il Tribunale precisa che l’accordo resta in vigore per un termine “non superiore a due mesi”, utili per la presentazione del ricorso. Dopodiché tutto sarà oggetto o di nuovi contenziosi o di nuovi negoziati.
    Le imprese confidano nel ricorso alla Corte. Non ne fa mistero la Confederazione generale delle imprese marocchine (CGEM), il cui presidente Chakib Alj è a Bruxelles per rinsaldare i legami con BusinessEurope, l’unione delle confindustrie europee. La sentenza “crea incertezza”, lamenta, quando invece le imprese “hanno bisogno di un ambiente certo”. Quindi l’accusa. “Il Fronte Polisario contesta l’accordo quando Commissione, Parlamento e Consiglio UE lo sostengono”. Un modo per delegittimare ancora di più la posizione del popolo Sahrawi. La CGEM ricordano che l’accordo resta in vigore e attende il secondo grado di giudizio, quello della Corte. Intanto fa pressione avvertendo che gli investimenti, specie quelli verdi, nella regione sono a rischio.
    Anche Tiziana  Beghin mostra preoccupazione ed esorta a soluzioni al problema. “Per il nostro tessuto commerciale e per la sicurezza delle nostre frontiere, resta cruciale continuare a sviluppare il nostro Partenariato con il Marocco“, dice la capo delegazione del Movimento 5 Stelle in Parlamento europeo e membro della commissione Commercio internazionale.

    Il Tribunale dell’UE boccia le intese commerciali per i prodotti agricoli e ripropone la questione del Sahara occidentale, indipendente solo per l’Unione africana e con rivendicazioni in corso per il territorio

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    Carburante, cibo e costruzioni: la crisi di approvvigionamenti del Regno Unito nel dopo Brexit

    Bruxelles – La BP plc, società britannica leader del settore energetico, ha annunciato la chiusura temporanea di più di un terzo dei suoi punti di distribuzione di benzina per esaurimento delle scorte. A partire da domenica, milioni di cittadini del Regno Unito si sono recati a fare scorte di carburante in seguito all’annuncio del governo della sospensione delle leggi sulla competitività del mercato, temendo un rapido aumento dei prezzi.
    Ma il carburante non è l’unico cruccio del governo britannico. Molti supermercati rischiano di rimanere sprovvisti di prodotti caseari e carne. Anche le materie del settore edilizio scarseggiano, a partire da legname e cemento. A completare il quadro le prospettive di un Natale senza giocattoli. Una tempesta perfetta dovuta alla congiuntura di elementi nazionali e globali.
    Nel Regno Unito non è finito il carburante, ma chi lo trasporta
    Come ribadito dal primo ministro Boris Johnson, la crisi del carburante ha poco a che vedere con l’esaurimento delle riserve nazionali. Il problema è il trasporto dalle raffinerie ai siti di distribuzione. La crisi, quella vera, è quella del trasporto su gomma.
    L’entrata in vigore di Brexit, dunque l’uscita del Regno Unito dal mercato unico europeo, ha complicato enormemente (e reso più costose) le procedure doganali per i guidatori di camion. Al contempo molti dei camionisti residenti nel Paese sono stati costretti a trasferirsi in altri Paesi, o lo hanno scelto perché attratti da migliori prospettive economiche.
    A spingere i lavoratori del trasporto fuori dall’Isola britannica è stato anche il COVID. Molti di quelli con cittadinanza straniera sono tornati in patria durante i primi tempi della pandemia, spesso senza tornare. Le procedure di quarantena e l’isolamento in seguito a contatti con positivi hanno fatto il resto – problemi che si riscontrano anche in altri Stati europei. Si stima che oggi il settore sia sotto organico di almeno 100.000 lavoratori.
    Il governo Johnson ha proposto di utilizzare l’esercito per sopperire alla mancanza di mano d’opera. Al momento i militari sono in stato di allerta, ma non sono ancora stati impiegati. Contemporaneamente è stata avviata la procedura per la facilitazione dei visti di lavoro per i guidatori di camion. Specie la seconda misura è stata criticata perché sottodimensionata: Londra vuole concedere appena 5000 visti (temporanei), il cinque per cento della richiesta effettiva.
    Un Natale senza latte e carne?
    Le crisi del trasporto ha colpito anche l’approvvigionamento alimentare. Anche in questo caso i prodotti più colpiti – latticini e carne – non si stanno esaurendo, ma manca il tramite che li porti dal produttore ai luoghi di acquisto, oltre che la forza lavoro. Sia il settore caseario che dell’allevamento del Regno impiegano tradizionalmente mano d’opera immigrata.
    Le peculiarità dei prodotti in questione complicano la crisi. I derivati del latte devono essere consumati in breve tempo per evitare che vadano a male. Discorso simile, anche se meno drastico, vale per la carne. La paura di trovarsi senza cibo per le feste natalizia potrebbe dare il via ad acquisti compulsivi da parte dei consumatori, che esaurirebbero le scorte dei supermercati in ancora meno tempo.
    Nel Regno Unito non manca solo il carburante: la crisi di giocattoli, macchine e edilizia
    A pesare sugli altri prodotti che rischiano lo “shortage” è soprattutto il contraccolpo della pandemia. Il settore dei microchip soffre da inizio 2020 di scarsità cronica di materia prima, difficoltà di esportazione e tensioni geopolitiche trai principali attori del settore.
    La scarsità dei wafer di silicio, insieme alla spinta alla digitalizzazione, ha portato i produttori a investire nel settore elettronico, lasciando a secco i produttori di macchine. Il rischio è di un circolo vizioso: il mercato dell’auto si indebolisce e per i produttori di microchip diventa sempre meno conveniente fare da fornitori per l’automotive. Nel Regno Unito sono già iniziate a diminuire le nuove vetture messe in vendita, con conseguente aumento dei prezzi delle auto di seconda mano.
    Anche il comparto dei giocattoli sconta la crisi del trasporto globale. In questo caso sono le spedizioni via mare a essere determinanti per rifornire il Regno Unito dei giochi per bambini – circa il 70% della produzione proviene dalla Cina e dal sud est asiatico. Oggi in Asia mancano container e le procedure sanitarie aumentano enormemente i tempi morti delle navi prima dell’ingresso nei porti. Il risultato è che i costi di spedizione sono aumentati fino a dieci volte.
    Non si salvano i materiali dell’industria edilizia. La crisi delle catene di approvvigionamento e l’uscita dal mercato unico hanno determinato un aumento dei prezzi ancora maggiore che nel resto del Continente. I prezzi delle costruzioni sono saliti di circa il 20% e il razionamento dei materiali ha portato a ritardi sull’arrivo delle commesse nell’ordine di 5-6 mesi.

    L’uscita del Regno Unito dal mercato unico europeo ha complicato enormemente (e reso più costose) le procedure doganali per i guidatori di camion, e tanti se ne sono andati per via del COVID

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    Ungheria e Ucraina “litigano” per il gas russo, mentre l’UE cerca di mediare

    Bruxelles – E’ scontro aperto tra Ungheria e Ucraina sul gas russo, mentre la Commissione Europea cerca di fare da mediatore. La compagnia energetica ungherese MVM ha formalizzato lunedì 27 settembre un contratto di acquisto di quindici anni con la compagnia russa Gazprom per la fornitura di gas naturale, senza passare attraverso l’Ucraina. Le intenzioni del premier Viktor Orban erano già note dalla fine di agosto, e una volta concretizzate hanno spinto Kiev, che teme di perdere milioni di euro in pagamenti in quanto “Paese di transito”, a rivolgersi direttamente alla Commissione Europea, definendo quella dell’Ungheria una “decisione puramente politica ed economicamente irragionevole”.
    Mosca ha sempre trasportato il gas principalmente attraverso il territorio dell’Ucraina, solo da qualche anno – in particolare dopo le frizioni che hanno seguito l’annessione illegale della Crimea nel 2014 – ha iniziato a diversificare le esportazioni per limitare il peso strategico dell’Ucraina anche nell’UE. Il contratto siglato sarà in vigore dal primo ottobre e prevede la fornitura di 4,5 miliardi di metri cubi di gas in Ungheria ogni anno: 3,5 miliardi attraverso la Serbia e un miliardo attraverso l’Austria. Nessuna provocazione politica, ha assicurato ieri in conferenza stampa il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, dichiarando che per l’Ungheria, la “sicurezza energetica è una questione di sicurezza, di sovranità ed economia più che una questione politica”.

    A Kiev non è bastato e il ministro dell’Energia ucraino, German Galushchenko, ha incontrato ieri la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, per discutere anche di questo. “Un incontro costruttivo”, dice a Eunews un portavoce della Commissione. Costruttivo anche se l’UE non ha grande margine di manovra per il momento per intervenire. L’Esecutivo ha iniziato ad esaminare le conseguenze del contratto, ma dal momento che l’accordo non è stato firmato direttamente dalle autorità ungheresi, ma dalla compagnia energetica MVM, una prima valutazione del contratto spetta alle autorità ungheresi. Solo dopo le conclusioni, Bruxelles può chiedere di visionare il contratto in caso di un sospetto di minaccia all’approvvigionamento energetico dell’Unione europea o del territorio. “Il ministro Galushchenko ha sollevato la questione, presentandoci la posizione dell’Ucraina”, prosegue il portavoce, ma Bruxelles ha un ruolo solo in caso di mancata sicurezza dell’approvvigionamento.
    La commissaria Simson ha anche ribadito “la nota posizione della Commissione” secondo cui “consideriamo l’Ucraina un Paese di transito affidabile” per il trasporto di forniture energetiche. Secondo il portavoce, il bilaterale si è concentrato anche sulle riforme in corso in Ucraina sia nel mercato dell’elettricità che in quello del gas: si porta avanti il dialogo per la sincronizzazione con la rete elettrica europea, con l’adozione di una “tabella di marcia sulle fasi e i parametri di riferimento per essere soddisfatte fino al completamento”. Il commissario e il ministro si sono confrontati, infine, sui modi per promuovere la transizione verso l’energia pulita dell’Ucraina e sullo stato di avanzamento dei programmi per migliorare la sicurezza delle centrali nucleari. 

    Budapest firma un contratto di quindici anni con la russa Gazprom per la fornitura di gas senza passare per l’Ucraina. Kiev si rivolge a Bruxelles, che per ora alza le mani

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    I negoziati di adesione UE di Albania e Macedonia del Nord dovrebbero iniziare “entro la fine del 2021”

    Bruxelles – C’è una nuova data-limite per l’apertura dei negoziati di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord: il 31 dicembre 2021. Ma stavolta sarà bene che non si riveli l’ennesima promessa non mantenuta da Bruxelles, o il processo di allargamento dell’Unione nei Balcani Occidentali rischierà di essere compromesso alla radice.
    L’obiettivo è stato fissato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, durante la prima conferenza stampa del suo viaggio di tre giorni nelle sei capitali balcaniche. Accanto a lei, sulla tribuna a Tirana, lo sguardo del premier albanese, Edi Rama, è uno di quelli ancora pieni di fiducia nella prospettiva europea del Paese, ma con una punta di frustrazione per i continui rinvii delle istituzioni UE, nonostante tutte le richieste per l’apertura dei capitoli negoziali siano già state soddisfatte.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il premier albanese, Edi Rama, a Tirana (28 settembre 2021)
    “Voglio essere molto chiara, io e il mio gabinetto siamo fortemente convinti che il futuro dell’Albania sia nell’Unione Europea”, ha esordito von der Leyen. “Per questo motivo vogliamo che le prime conferenze intergovernative si possano organizzare entro la fine dell’anno“. La presidente dell’esecutivo comunitario ha riconosciuto gli sforzi del Paese nell’intraprendere il cammino europeo – in particolare “sulla riforma del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata” – e ha definito il vertice UE-Balcani Occidentali in programma il prossimo 6 ottobre a Kranj (Slovenia) “un’occasione per dialogare direttamente con un futuro membro dell’Unione come è l’Albania”.
    Il premier albanese Rama ha dimostrato una particolare lucidità nel distinguere i problemi e le posizioni delle diverse istituzioni europee. “Io non scommetto più su nessuna data, ma aspetto in serenità ciò che succederà: ci vuole pazienza, noi siamo pronti, il resto dipende dai nostri interlocutori”, ha commentato sulla questione delle tempistiche per l’adesione all’UE. “Apprezzo l’obiettivo fissato dalla Commissione, ma capisco perfettamente cosa sta succedendo al Consiglio e nei singoli Paesi membri”, ha aggiunto Rama. Con un sorriso amaro, il primo ministro ha ricordato che “l’Albania è in una situazione assurda. Siamo ostaggio del veto della Bulgaria alla Macedonia del Nord, anche se potremmo già sederci al tavolo dei negoziati a Bruxelles”. Da Tirana non c’è comunque nessuna intenzione di tirarsi indietro: “Siamo fortunati a essere nati in questo continente e poter aspirare all’accesso all’Unione Europea, che è a servizio dei cittadini”, ha ribadito Rama.

    Delighted to start my visit to the Western Balkans in Albania.⁰My message is clear: Albania’s future is in the EU. The @EU_Commission stands firmly by this commitment. With good progress on justice reforms, Albania has clearly delivered. Now the EU should do too. pic.twitter.com/VLYjz7s8oU
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 28, 2021

    L’apertura dei negoziati di adesione all’UE per Albania e Macedonia del Nord passa però dalla questione scottante dello stallo imposto in seno al Consiglio dalla Bulgaria. Ed è proprio a Skopje che l’atmosfera si fa più pesante. “Il veto rischia di mettere in discussione la credibilità dell’Unione Europea come partner“, è stato il duro commento del premier macedone, Zoran Zaev, durante la conferenza stampa congiunta con von der Leyen, arrivata nella capitale della Macedonia del Nord nel primo pomeriggio. “Noi ci siamo impegnati a seguire i valori europei, ma con questo veto è la stessa Unione a metterli in discussione”, ha aggiunto.
    Anche per Skopje comunque non è in discussione il cammino europeo, almeno per il momento: “Questo processo non ha alternative e serve un nuovo impegno da parte di tutti, perché non si incoraggino le forze contrarie all’unità e ai valori europei”, ha ribadito con forza il premier macedone. Zaev ha espresso la sua gratitudine alla presidente von der Leyen per il “continuo impegno profuso per l’adesione della Macedonia all’UE” e ha chiesto che durante il summit in programma mercoledì prossimo a Kranj “i ventisette leader europei ribadiscano l’impegno per l’allargamento dell’Unione ai Balcani“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il premier macedone, Zoran Zaev, a Skopje (28 settembre 2021)
    Il riferimento al veto della Bulgaria è stato esplicito: “Ci aspettiamo che Sofia approvi il quadro come gli altri ventisei Paesi membri“, è stata l’esortazione del primo ministro, che ha anche sottolineato che il via libera non può riguardare altro se non “i nostri successi sul piano delle riforme”. Per qualsiasi altra questione che sta bloccando l’avvio dei negoziati Zaev si è detto disponibile a impegnarsi in colloqui bilaterali “con il mutuo rispetto della dignità nazionale”.
    Anche a Skopje la presidente della Commissione Europea ha confermato che il suo obiettivo è quello di avviare i negoziati di adesione all’UE di Macedonia del Nord e Albania entro la fine del 2021: “Sarò sincera, adesso è compito dell’Unione Europea risolvere la questione dello stallo“. Anche per il popolo macedone “il futuro è nell’Unione Europea e il mio gabinetto è fortemente legato a questa promessa”, ha ribadito von der Leyen, che ha chiesto di “non perdere la pazienza e la fiducia” nell’Europa: “Avete il supporto di tanti a Bruxelles e non solo, arriviamo fino in fondo”.

    North Macedonia has made outstanding progress on EU-related reforms and taken courageous decisions. I support the formal opening of accession negotiations with North Macedonia & Albania, as soon as possible.  You will be part of the EU.
    It is not a question of if, but when. pic.twitter.com/LkOX9XBAH8
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 28, 2021

    Vaccini e investimenti
    Se gli ostacoli al processo di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord sono stati inevitabilmente il tema cruciale nelle prime due tappe del viaggio di von der Leyen nei Balcani, la presidente della Commissione Europea ha voluto anche sottolineare il contributo dell’Unione alla ripresa economica e sociale della regione dopo la pandemia COVID-19.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Per quanto riguarda l’invio di vaccini, da maggio a oggi sono state donate 430 mila dosi a Tirana e 270 mila a Skopje grazie al pacchetto Team Europe, del valore di quasi 40 miliardi di euro: “Sappiamo di avere un inizio difficile, ma ora siamo in grado di aiutarvi nello sforzo di proteggere tutta la popolazione”, ha ribadito von der Leyen. Un’altra “notizia positiva” è l’adozione dell’equivalenza del certificato COVID digitale, “grazie alla quale è stata eliminata ogni restrizione di viaggio legata alla pandemia” tra l’Unione Europea e i due Paesi balcanici.
    Altro punto su cui ha insistito von der Leyen è il Piano economico e di investimenti da 29 miliardi di euro, annunciato il 6 ottobre dello scorso anno e sbloccato dall’accordo tra Parlamento e Consiglio dell’UE sullo strumento di assistenza pre-adesione IPA III. La presidente della Commissione Europea ha sottolineato che servirà a “sostenere la ripresa della regione dopo questa crisi, puntando su investimenti per il futuro digitale e sostenibile dei Balcani”. Inoltre, per rafforzare la convergenza economica a lungo termine con i Paesi membri dell’UE, “proporremo di aumentare il budget di altri 600 milioni di euro entro la fine dell’anno“, ha promesso von der Leyen.
    Il capitolo Serbia-Kosovo
    Un ultimo punto di confronto con i leader della regione balcanica ha riguardato la tensione crescente tra Belgrado e Pristina, scatenata dalla ‘battaglia delle targhe’. La leader dell’esecutivo UE si è detta “molto preoccupata per la situazione che si è creata” tra Serbia e Kosovo e ha chiesto “un immediato ritorno al dialogo”, portando l’esempio positivo della nascita dell’Unione Europea: “È un processo lungo, ma che conduce a un futuro di pace e di sviluppo”. L’unica soluzione per i due Paesi è “confrontarsi positivamente al tavolo dei negoziati”, ha sottolineato von der Leyen.
    Non è solo l’esecutivo comunitario a essere preoccupato per le implicazioni della nuova causa di conflittualità tra Pristina e Belgrado. “La Serbia e il Kosovo devono trovare urgentemente una soluzione pacifica e sostenibile per garantire la sicurezza di tutti i cittadini”, si legge in una dichiarazione firmata dai relatori del Parlamento UE per la Serbia, Vladimír Bilčík, e per il Kosovo, Viola von Cramon-Taubadel, e dai presidenti della delegazione alla commissione parlamentare di Stabilizzazione e associazione UE-Serbia, Tanja Fajon, e per le relazioni con Bosnia ed Erzegovina e Kosovo, Romeo Franz.
    Le richieste degli eurodeputati vanno dal “ritiro della polizia speciale e di qualsiasi unità dell’esercito” allo “smantellamento dei posti di blocco” in Kosovo. Ma “devono cessare” anche tutte le “azioni unilaterali, le provocazioni e la retorica infiammatoria, che aumentano le tensioni e colpiscono il benessere delle comunità locali”. Per i leader di Serbia e Kosovo l’esortazione è di “utilizzare la piattaforma del dialogo facilitato dall’UE per risolvere tutte le questioni aperte, comprese quelle relative alla libertà di movimento”.
    La questione ha un impatto diretto sulle stesse prospettive europee di Serbia e Kosovo, dal momento in cui “la normalizzazione delle relazioni è una precondizione per l’adesione all’UE“, hanno ricordato gli europarlamentari. “È essenziale per garantire la stabilità e la prosperità nella regione in generale” e per questo motivo le due parti devono “impegnarsi nuovamente in modo attivo e costruttivo” per cercare un accordo “globale, sostenibile e giuridicamente vincolante”.

    ‘Serbia and Kosovo must urgently find a peaceful and sustainable solution in order to ensure the security and safety of all citizens.’
    Joint statement with @VladoBilcik, @tfajon & @RomeoFranz1 👇 https://t.co/CvtB22zPFq
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) September 28, 2021