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    Sfiduciato il governo romeno. Opposizione e il partito di Ciolos fanno cadere il premier Citu

    Roma – Voto di sfiducia per il governo del primo ministro del Partito Nazionale Liberale (membro del PPE) Florin Citu: nel pomeriggio una larga maggioranza del Parlamento di Bucarest ha votato a favore della mozione presentata dall’opposizione socialdemocratica (che in Romania è una forza di destra).
    L’esecutivo guidato da Citu si era insediato a dicembre dello scorso anno, ma già da diverse settimane aveva perso l’appoggio del partito di maggioranza Usr-Plus dell’ex premier e ora europarlamentare Dacian Ciolos. Nel voto di oggi si sono raggruppate contro il governo le forze sovraniste, antieuropee, alcune proprio di estrema destra
    La crisi politica si presenta in un Paese che non riesce a uscire dall’emergenza sanitaria è in piena quarta ondata ed è alle prese con forti tensioni sociali a causa dell’aumento dei prezzi. La caduta del governo è avvenuta nello stesso giorno in cui la Romania ha registrato il record di casi giornalieri di Covid-19, circa 15mila.
    Ora il presidente Klaus Iohannis dovrà convocare i partiti per nuove consultazioni dalle quali dovrebbe emergere il nuovo primo ministro che dovrà negoziare un nuovo esecutivo.

    La crisi aperta dal partito di maggioranza dell’europarlamentare che nei giorni scorsi si è dimesso dalla carica di capogruppo di Renew Europe a Strasburgo. La Romania è investita da una forte crisi sanitaria da Covid

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    Gibilterra, UE pronta a negoziare le nuove relazioni post-Brexit

    Bruxelles – Adesso si può iniziare a dare forma al futuro di Gibilterra. Il Consiglio dell’UE ha deciso di avviare i negoziati col Regno Unito per definire le nuove relazioni con il possedimento britannico, al confine con la Spagna e incastonato tra frontiere UE terrestri e marittime. La decisione è arrivata in occasione della riunione dell’Ecofin. I ministri dell’Economia e delle Finanze dei Ventisette hanno approvato la proposta senza discussione. Un processo formale previsto dall’iter legislativo a dodici stelle.
    La decisione conferisce alla Commissione europea il mandato per avviare i negoziati con Londra. L’esecutivo comunitario aveva già rotto gli indugi presentando una sua propria strategia per il territorio d’oltre mare britannico, innescando uno scontro con Londra. L‘accordo commerciale e di cooperazione raggiunto tra la UE e UK non copre Gibilterra, lasciata fuori in sede negoziale. Un vuoto a cui si intende rimediare.
    Gibilterra. [foto: Wikimedia]L’obiettivo che si pone l’Unione europea è stabilire un accordo “ampio ed equilibrato” nei confronti di Gibilterra, in considerazione della particolare situazione geografica e delle specificità del territorio. Un qualunque accordo tra le due parti, quando raggiunto, non dovrebbe pregiudicare le questioni di sovranità e giurisdizione. 
    Gibilterra, su cui la Spagna nutre da secoli interessi, è parte del Regno Unito dal 1713. Due diversi referendum sottoposti alla popolazione della Rocca, nel 1967 e nel 2002, hanno sancito la sovranità di Londra. Madrid contesta comunque ‘sconfinamenti’ in territorio spagnolo. L’aeroporto locale si sarebbe sviluppato oltre i confini del territorio, le accuse e le denunce spagnole. Il governo spagnolo vorrebbe approfittare della situazione per garantirsi ‘voce in capitolo’ sul territorio.
    Da qui in avanti si dovrà innanzitutto capire come ragionare flussi di merci e persone, disciplinare il traffico aereo e navale, spostamenti, regimi tariffari per i beni in entrata e uscita, e requisiti di viaggio. Il lavoro dell’UE inizia adesso. Al team von der Leyen il compito di chiudere un buon accordo.

    Via libera del Consiglio per l’avvio delle trattative. Il passaggio formale conferisce alla Commissione il mandato per il confronto con Londra

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    Al centro del dibattito UE sulla Bielorussia è rimasta (quasi) solo la questione della rotta migratoria

    Bruxelles – L’Unione Europea non dimentica l’opposizione democratica in Bielorussia, ma ormai è la questione della rotta migratoria favorita dal regime di Alexander Lukashenko a occupare il centro della scena. Lo ha dimostrato il dibattito in plenaria del Parlamento Europeo di oggi (martedì 5 ottobre), in cui sono emersi come punti principali le condanne al presidente bielorusso per l’uso di “strumenti di guerra ibrida” e le polemiche sulla gestione delle frontiere dell’Unione. Anche se non si sono fermate le pressioni dell’UE sulle violazioni dei diritti umani e gli arresti arbitrari dei dissidenti nel Paese, a quasi 14 mesi dalle elezioni-farsa nel Paese è chiaro che la rotta bielorussa è diventata il tema su cui incardinare la contrapposizione al regime Lukashenko.
    L’ultima volta che la plenaria del Parlamento Europeo aveva affrontato la questione bielorussa era inizio giugno, quando gli eurodeputati avevano mostrato unanimità nel condannare il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk (per arrestare il giornalista e oppositore politico Roman Protasevich e la compagna Sofia Sapega) e nel chiedere più determinazione a Commissione e Consiglio UE. Quattro mesi più tardi la situazione è cambiata, ma solo sotto alcuni aspetti: la repressione dell’opposizione interna è continuata senza sosta, mentre la Bielorussia di Lukashenko ha aperto la nuova rotta migratoria come ricatto nei confronti delle sanzioni economiche imposte a Minsk dall’Unione Europea. Lituania e Polonia hanno risposto alzando muri e dichiarando lo stato di emergenza al confine, con pressioni sempre maggiori a Bruxelles per cambiare le linee di gestione della politica migratoria e di asilo in senso più restrittivo.
    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson
    Il clima è cambiato soprattutto al Parlamento Europeo che, nonostante non voglia abbassare i riflettori sulle violazioni dei diritti umani in Bielorussia, si trova ora a dover affrontare una delle questioni più divisive tra i gruppi politici: quella della gestione delle frontiere dell’Unione Europea. Ad aprire il dibattito in plenaria è stata la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson: “Rispetto ai 150 arrivi irregolari dello scorso anno, dall’inizio del 2021 ne contiamo già più di seimila”. Un problema creato artificialmente dal regime Lukashenko, dal momento in cui il Paese non si trova sotto pressione migratoria. Al contrario, “di solito si chiede asilo dalla Bielorussia, non in Bielorussia”, ha attaccato Johansson. Contro questa “azione frenetica per cercare di destabilizzarci”, la risposta dell’Unione è stata “coesa”: la commissaria ha fatto riferimento alla strategia contro la tratta di esseri umani organizzata dallo Stato e alla necessità di “proteggere i confini comuni con risorse e valori condivisi”.
    La posizione degli eurodeputati
    Per il PPE la questione della rotta migratoria in arrivo dalla Bielorussia è determinata da diversi fattori, tra cui il sostegno del presidente russo, Vladimir Putin, riveste un ruolo di primaria importanza: “È responsabile dei crimini di Lukashenko”, ha attaccato Andrius Kubilius, che ha richiamato l’Unione Europea a dotarsi di una “leadership forte e sicura per difendere i confini”. Mentre la destra di Identità e Democrazia ha ripreso il tema della protezione delle frontiere (“la Bielorussia si approfitta solo delle nostre mancanze a livello di infrastrutture di difesa”, ha voluto sottolineare Jaak Madison), Renew Europe ha fatto leva sulle risposte comuni da adottare: “Lukashenko non deve più potere attaccare i Paesi con cui confina con questa guerra ibrida”, ha commentato Petras Auštrevičius, ricordando che “si tratta di azioni illegittime, visto che è l’ex-presidente della Bielorussia“.
    L’eurodeputato del Partito Democratic, Pierfrancesco Majorino (S&D)
    Per i socialdemocratici è necessario “rafforzare il regime di sanzioni per chi è responsabile della tratta di migranti organizzata dallo Stato”, ha affondato Pedro Marques, che però ha anche spiegato chiaramente che “l’UE non può fare passi indietro rispetto ai suoi valori fondanti, soprattutto quando si tratta di migranti bloccati o respinti alla frontiera”. Gli ha fatto eco il collega Pierfrancesco Majorino: “La situazione umanitaria è preoccupante, soprattutto in Polonia” e Bruxelles “non può in nessun modo abbandonare chi fugge da situazioni drammatiche”, ha ribadito l’eurodeputato del Partito Democratico.
    Questione ripresa anche da Manu Pineda (La Sinistra), che ha accusato Polonia, Lituania e Lettonia di “violare il diritto di asilo, respingendo illegalmente le persone che lo richiedono”. L’eurodeputato spagnolo ha poi puntato il dito contro questi Paesi, che “adesso possono capire cosa significa essere un Paese di frontiera, quando gli altri non sono solidali”. Sergey Lagodinsky (Verdi/ALE) è stato invece critico nei confronti di Commissione e Consiglio, per essere stati “troppo timidi e lenti con le risposte al regime bielorusso”. Ora è arrivato il momento di “incolpare a livello internazionale Lukashenko di torture contro i suoi cittadini e coordinare le azioni degli Stati membri” rispetto al tema della gestione della migrazione, ha concluso l’eurodeputato tedesco.

    Dal confronto tra gli eurodeputati in plenaria è emerso che la risposta alla tratta favorita dal regime Lukashenko ha preso il sopravvento sul supporto all’opposizione democratica nel Paese come tema di discussione principale tra le istituzioni UE

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    UE e Australia rimandano i colloqui commerciali, pesa il caso dei sottomarini

    Bruxelles – Il ministero del Commercio australiano ha confermato che i colloqui per il raggiungimento di un accordo commerciale con l’Unione europea sono stati rimandati. Il ministro Dan Tehan ha affermato che il meeting è stato spostato di un mese e si terrà il prossimo novembre alla presenza di Valdis Dombrovskis
    La notizia segue le tensioni tra Australia e Paesi europei scaturite in seguito alla nascita di AUKUS. Il partenariato strategico tra Washington, Canberra e Londra aveva portato alla cancellazione di una commessa della francese Naval Group per la costruzione di una flotta di sottomarini per l’Australia – valore stimato intorno ai 40 miliardi di euro.
    La Commissione aveva scelto di prendere le parti del Governo francese, che aveva ritirato i suoi ambasciatori in Australia e negli Stati Uniti. In quell’occasione la presidente Ursula von der Leyen aveva messo in dubbio la possibilità di proseguire nei colloqui commerciali con il governo australiano.
    La crisi tra Francia e Stati Uniti si è un poco alleggerita, in seguito ad una telefonata tra Emmanuel Macron e Joe Biden. L’Eliseo ha disposto di far rientrare l’ambasciatore a Washington, ma si è rifiutata di fare altrettanto per il suo rappresentante in Australia.
    La Commissione ha chiarito che la volontà di rimandare i colloqui non è una rappresaglia per gli avvenimenti dello scorso mese. Tehan si è invece rifiutato di rispondere in merito all’influenza della questione dei sottomarini sulla decisione di spostare l’evento.

    I colloqui per il raggiungimento di un accordo si terranno a novembre. Per la Commissione non si tratta di una rappresaglia, mentre il Ministro australiano si è rifiutato di commentare sull’influenza di AUKUS nella scelta

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    L’incognita del giornalista di destra Zemmour sulle prossime elezioni francesi

    Mancano sette mesi circa alle elezioni francesi del 2022, ma la macchina elettorale per sfidare Emmanuel Macron alle prossime elezioni presidenziali del prossimo aprile 2022 è  già partita da un pezzo. I nomi certi sono quella dell’immancabile Marine Le Pen per il Ressemblemnt nationale, quella della sindaca di Parigi Hidalgo, per il partito dei Les repubblicans la corsa a quattro  ( che dovrebbe tenersi a Novembre) tra Valérie Pécresse, Philippe Juvin, Eric Ciotti e Michel Barnier, sembra un pura formalità per quest’ultimo dato come stra favorito. Per  i verdi sarà l’europarlamentare Yannick Jadot, che ha vinto per un soffio le primarie, a correre per l’Eliseo.  Infine in campo resta sempre aperta l’opzione di Xavier Bertrand ex ministro di Sarkozy ed attuale presidente della regione della Hauts – de – France, che però sembra assai infastidito dal dover affrontare le primarie e non esclude una presentazione di una sua lista personale.
    Questa potrebbe essere una prima incognita assai importante (Bertrand verrebbe dato intornio al 15% dai sondaggi)  sul voto di Aprile, ma la vera incognita forse è quella legata alla possibile ( sempre  più probabile a dir al verità) discesa in campo del giornalista Erik Zemmour, che potrebbe scompaginare il campo delle elezioni presidenziali nel campo  del centrodestra. Non è un caso se la più terrorizzata da questa ipotesi appare proprio la Le Pen.
    Zemmour, 63 anni, è nato nella periferia di Parigi da una famiglia di ebrei berberi venuti in Francia durante la guerra franco-algerina del 1954-62. Dopo non essere riuscito a entrare nella scuola di amministrazione d’élite (ENA), si è dedicato al giornalismo, diventando un editorialista di punta per il quotidiano conservatore Le Figaro.  Il suo libro del 2014 “Le suicide français “(Il suicidio francese: 40 anni che hanno sconfitto la Francia) è diventato un best sellers.  Secondo quanto riferito, il suo ultimo saggio autopubblicato “La France n’a pas dit son dernier mot” (La Francia non ha detto la sua ultima parola) ha venduto 78.000 copie nella prima settimana.
    La reputazione di Zemmour come il più famoso ideologo di destra francese deve molto alle sue apparizioni regolari su CNews, un canale televisivo simile al Fox News degli Stati Uniti, che ha sostenuto Donald Trump. È stato una star del dibattito quotidiano Face à l’info (Facing the News), che raggiunge il picco di oltre un milione di telespettatori. Le sue battaglie contro l’islamismo  radicale e l’immigrazione radicale lo  hanno reso un paladino della classe borghese francese, superando su questi temi la fama della Le Pen, troppo radicale e poco  convincente. In questi giorni ha anche ricevuto l’endorsement del padre della Le Pen, Jena Marie, leader storico della destra francese, il primo ad arrivare ad un ballottaggio alle presidenziali contro Chirac nel 2002, poi perso nettamente con un misero 17% dei consensi.
    Negli  ultimi sondaggi Le Pen è crollata al 16% dei consensi rispetto al 24 % di un mese prima, e secondo molti osservatori  causa principale di questo  calo  sembra essere dovuto proprio alla possibile candidatura di Zemmour, che non perde occasione per criticarla, e che viene accreditato al 15% dei consensi. Considerato antisemita e razzista, in realtà Zemmour non è  un politico convenzionale e proprio questa sua caratteristica gli permette di avere un libertà di opinione che è negata a chi come Le Pen deve invece scontrarsi da sempre con l’opinione comune che la vuole sempre sconfitta alle elezioni, malgrado parta sempre da favorita. Fuori dagli  schemi, battitore libero è  in grado di intercettare le paure e le inquietudini di un numero sempre maggiore di francesi, a cui anche lo stesso presidente Macron sembra negli  ultimi mesi aver strizzato l’occhio.
    La Pen accusa Zemmour di dividere la destra e di consegnare in questo modo il paese nuovamente alla sinistra, non è un caso se proprio Macron sarebbe, secondo gli analisti il più felice della notizia della sua candidatura, ma questo non vuol dire che il giornalista non potrebbe avere qualche chance di rendere comunque la vita difficile a Macron più della Le Pen, che sembra ormai aver perso molto dela sue credibilità e della forza elettorale che aveva fino a qualche anno fa.
    La sua grande forza, secondo gli analisti politici, sarebbe proprio  quella di riuscire ad attrarre sul suo nome, sia i voti dell’estrema destra che quelli della destra più moderata.  La sua figura viene sempre più spesso accostata a quella di Donald Trump, di cui Zemmour è  sempre stato fiero sostenitore. Difficile ma certo non impossibile che anche a lui possa riuscire il miracolo di vincere le presidenziali contro tutti i pronostici della vigilia.
    “Éric Zemmour ha aperto gli occhi a un certo numero di persone, anche nella mia famiglia politica”, ha detto Antoine Diers, portavoce di Friends of Éric Zemmour, un gruppo che sta raccogliendo fondi per una potenziale candidatura presidenziale del giornalista. Diers è anche un membro del partito dei repubblicani francesi e un funzionario del municipio di Plessis-Robinson, un sobborgo a sud di Parigi, dove le questione della immigrazioni e del radicalismo islamico sono assai sentiti.
    “A causa dell’influenza del signor Zemmour-  ha affermato Diers- i candidati del suo partito finalmente prendono posizione sull’immigrazione, sulle questioni dell’identità e della cultura francese”. La partita delle presidenziali francesi è appena partita, ma mai come ora la contesa sembra apertissima, visto anche il parterre dei candidati che proveranno a sfilare l’Eliseo ad un Macron sempre più in difficoltà.

    Questo contributo è stato pubblicato nell’ambito di “Parliamo di Europa”, un progetto lanciato da
    Eunews per dare spazio, senza pregiudizi, a tutti i suoi lettori e non necessariamente riflette la
    linea editoriale della testata.

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    Serbia e Kosovo hanno trovato un accordo sulle targhe grazie alla mediazione dell’Unione Europea

    Bruxelles – “Abbiamo un accordo!”. Il punto esclamativo nel tweet del rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, spiega tutta la soddisfazione per un risultato tanto sperato quanto incerto. Dopo 10 giorni di tensioni, Serbia e Kosovo sono riusciti a trovare un accordo che mette fine alla ‘battaglia delle targhe‘ e buona parte del merito va attribuito alla perseveranza dell’Unione Europe e ai suoi continui appelli a ritornare al tavolo del dialogo.
    La richiesta urgente dell’Unione Europea aveva portato a una due-giorni di incontri a Bruxelles tra i capi-delegazione di Belgrado e Pristina, Petar Petković e Besnik Beslimi, assistiti anche da Gabriel Escobar, vice-segretario statunitense responsabile della politica verso i Paesi dei Balcani Occidentali. In meno di 48 ore i due diplomatici hanno siglato un accordo che prevede il ritiro entro sabato 2 ottobre delle unità speciali di polizia kosovare dispiegate ai valichi di frontiera di Jarinje e Brnjak, con il contemporaneo smantellamento dei blocchi stradali. Da lunedì (4 ottobre) saranno applicate delle etichette adesive al posto del cambio di targa, fino a quando non sarà concordata una soluzione permanente.
    Nel frattempo, un gruppo di lavoro che comprenderà i rappresentanti dell’Unione Europea, della Serbia e del Kosovo lavorerà a una soluzione definitiva sulla base di pratiche e standard comunitari. I lavori di questo gruppo inizieranno il 21 ottobre a Bruxelles e le conclusioni dovranno essere presentate entro sei mesi. “Ringrazio i due capi negoziatori per la loro disponibilità a negoziare e ad accordarsi per il bene delle persone”, ha aggiunto su Twitter il rappresentante speciale Lajčák.
    Prima dell’accordo di oggi tra i rappresentanti di Serbia e Kosovo, la ‘battaglia delle targhe’ si era trascinata sul confine tra i due Paesi dallo scorso 20 settembre. I reparti speciali di polizia kosovara erano intervenuti a supporto dei controlli della guardia di frontiera ai due valichi, dopo la decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. Contemporaneamente alle proteste e ai blocchi stradali, la tensione era aumentata con la risposta di Belgrado, che aveva allertato le proprie truppe nel caso di violazioni dei diritti della minoranza serba in Kosovo e aveva inviato sulla frontiera convogli ed elicotteri militari.

    We have a deal! After two days of intense negotiations, an agreement on de-escalation and the way forward has just been reached. I thank Besnik Bislimi and Petar Petkovic for their readiness to negotiate and agree for the good of the people. pic.twitter.com/OuhuUWvuG0
    — Miroslav Lajčák (@MiroslavLajcak) September 30, 2021

    Raggiunta l’intesa a Bruxelles tra i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado, che prevede il ritiro entro sabato 2 ottobre delle unità speciali kosovare e la fine dei blocchi stradali. Entro sei mesi si dovrà trovare una soluzione definitiva

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    L’UE è pronta a cooperare con la Corea del Sud su semiconduttori e trasferimento dei dati personali

    Bruxelles – Se la questione della carenza dei semiconduttori è stato uno dei temi cruciali della riunione inaugurale del Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-Stati Uniti (TCC) di Pittsburgh, la partita della catena di approvvigionamento dei microchip per Bruxelles si gioca anche dall’altra parte del mondo: in Corea del Sud.
    Il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, in questi giorni è in visita a Seul, dove sta tenendo colloqui con i ministri del governo coreano sulle prospettive di cooperazione tecnologica e digitale tra l’Unione Europea e il partner orientale. Nel corso del confronto con la ministra della Scienza, Lim Hyesook, è stato affrontato il tema della ricerca comune sul fronte delle “tecnologie critiche”, come l’intelligenza artificiale, lo sviluppo del 6G, l’Open RAN (creazione di reti aperte e indipendenti dallo stretto legame) e i computer quantistici.
    Ma sono i microchip il vero nodo cruciale. “L’epicentro della geopolitica dei semiconduttori è qui, in Asia“, ha commentato su Twitter dopo un colloquio con il ministro del Commercio, l’industria e l’energia, Moon Sung-wook, ricordando il focus sulla “resilienza della nostra filiera di microchip e sulla ricerca”. Concetto ribadito anche durante la visita al campus della Samsung a Pyeongtaek, la più grande fabbrica di semiconduttori a 5 nanometri al mondo: “Con l’imminente Atto europeo dei microchip, assicureremo la nostra catena di approvvigionamento con alleanze di fiducia in tutto il mondo”, ha confermato Breton.

    Impressive visit to @Samsung Pyeongtaek Campus 🇰🇷
    The largest 5 nanometers #semiconductors factory in the world 🔬
    With the upcoming 🇪🇺 EU Chips Act, we will secure our supply chain in partnership with #trusted players across the globe.#TechAndChipsTour pic.twitter.com/UA3HxOqgY8
    — Thierry Breton (@ThierryBreton) September 30, 2021

    Che si tratta di una settimana cruciale per le relazioni tra l’UE e la Corea del Sud sul fronte della tecnologia l’ha confermato anche il parere del Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), che ha sancito il “sostanziale allineamento” tra le politiche di protezione dei dati personali tra i due partner. In questo modo è stato possibile per l’EDPB dare un parere positivo alla decisione di adeguatezza sul trasferimento dei dati tra Bruxelles e Seul.
    “Questa decisione di adeguatezza è di fondamentale importanza, in quanto coprirà i trasferimenti sia nel settore pubblico sia in quello privato”, ha spiegato la presidente del Comitato europeo, Andrea Jelinek. “Un alto livello di protezione dei dati è essenziale per sostenere i nostri legami di lunga data con la Corea del Sud e per salvaguardare i diritti e le libertà degli individui“, ha aggiunto la presidente, ribadendo che “gli aspetti fondamentali del quadro coreano di protezione dei dati sono essenzialmente equivalenti” a quelli del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dell’Unione Europea.
    Secondo l’EDBP, l’allineamento coinvolge i concetti di protezione dei dati (informazioni personali, trattamento e persone interessate), i motivi di trattamento legittimo, la limitazione delle finalità di uso, la conservazione dei dati, la sicurezza la trasparenza. Rimane però necessario continuare a “monitorare attentamente la situazione” e la Commissione Europea è stata invitata a  “fornire ulteriori informazioni” sui requisiti sostanziali e procedurali (come l’onere della prova) in caso di ricorso all’autorità per la protezione dei dati coreana.

    Visita a Seul del commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, per rinsaldare il legame sul fronte digitale. Intanto il Comitato europeo per la protezione dei dati da l’ok alla decisione di adeguatezza sulla privacy

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    G20 straordinario sull’Afghanistan il 12 ottobre. Draghi: “Salvare vite umane, no al pacco di grano in cambio di abiure”.

    Roma – “C’è prima di tutto un’emergenza umanitaria, si tratta di vedere se è possibile avere obiettivi comuni”. Draghi la mette sul piano del pragmatismo e annuncia così il vertice straordinario del G20 dedicato alla crisi in Afghanistan che sotto la presidenza italiana si riunirà il 12 ottobre.
    “Attualmente non c’è nessun sostegno dal resto del mondo – ha detto il premier italiano – ed è un dovere dei Paesi più ricchi evitare una catastrofe umanitaria, senza condizionalità o pensare di dare un pacco di grano solo se si abiura o si rinuncia alla fede”. “Lì siamo a un punto in cui bisogna preoccuparsi di salvare vite umane”.
    Il secondo punto si dovrà affrontare è quali passi la comunità del G20 può intraprendere per evitare che l’Afghanistan “torni a essere il nido del terrorismo internazionale, in Europa ma non solo anche nei Paesi circostanti che sono coinvolti nella crisi e che avranno una voce in capitolo nel vertice”.
    La formula del summit sarà perciò allargata “non solo ai Paesi Bassi e alla Spagna sempre invitati ma anche al Qatar, alle Nazioni Unite, al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale.

    il premier italiano convoca il vertice che sarà allargato a Paesi circostanti, Qatar, ONU, Banca mondiale e FMI