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    L’Ue: “No a militarizzare gli aiuti umanitari” a Gaza. E ora anche l’Olanda chiede di rivedere l’accordo con Israele

    Bruxelles – Tre giorni dopo la presa di posizione delle Nazioni Unite, anche l’Ue respinge il piano di Israele per prendere in mano la distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. E “ribadisce il suo appello urgente” a Tel Aviv “affinché revochi immediatamente il blocco di Gaza“. Si spinge più in là il governo dei Paesi Bassi, uno dei più strenui sostenitori dello Stato ebraico finora, che ha chiesto una revisione urgente dell’accordo di associazione Ue-Israele alla luce delle “chiare violazioni del diritto umanitario”.Nella dichiarazione congiunta firmata dall’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, e dalle commissarie Ue per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, e per il Mediterraneo, Dubravka Suica, non c’è nulla sull’inquietante piano di occupazione prolungata di Gaza annunciato dal governo di Benjamin Netanyahu. Bruxelles sceglie di tacere su uno sviluppo che potrebbe compromettere una volta per tutte quella soluzione a due Stati da sempre sostenuta dall’Unione. Il capo della diplomazia europea si accoda invece alle organizzazioni internazionali nella denuncia della militarizzazione degli aiuti umanitari da parte di Israele.Un ragazzino palestinese tra le macerie di Gaza City, 04/05/2025 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)Da più di due mesi – dal 2 marzo, prima del collasso del cessate il fuoco – Tel Aviv blocca l’ingresso di cibo e risorse primarie per la popolazione civile nella Striscia. Sia il World Food Programme che l’Unrwa hanno lanciato l’allarme sull’esaurimento imminente delle scorte alimentari. Secondo l’Ufficio di Coordinamento Onu per gli Affari umanitari, il 92 per cento dei bambini tra i 6 e i 23 mesi e delle donne incinte e che allattano non soddisfano il loro fabbisogno nutrizionale. Più di 9 su 10. La maggior parte delle famiglie non dispone di acqua potabile e sono ripresi i saccheggi dei magazzini. Le scorte restano impilate fuori da Gaza, bloccate dall’esercito israeliano.“Tonnellate di aiuti, che rappresentano le forniture per tre mesi per una popolazione di 2,2 milioni di persone, sono in attesa al confine”, sottolinea il comunicato di Bruxelles. Israele, “in qualità di potenza occupante”, deve “garantire che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione bisognosa”. Ma il piano che Israele ha sottoposto alle Nazioni Unite per affidare la distribuzione a società di sicurezza private e limitarlo in una zona a sud sotto il controllo dell’esercito israeliano va in tutt’altra direzione. L’Ue si dice “preoccupata” per il meccanismo architettato da Tel Aviv, “in contrasto con i principi umanitari”.(FILES) Un cittadino palestinese tra le rovine dell’ospedale Al Shifa nella Striscia di Gaza (Photo by AFP)Kallas, Lahbib e Suica ribadiscono che “gli aiuti umanitari non devono mai essere politicizzati o militarizzati” e che il loro utilizzo “come strumento di guerra” è vietato dal diritto internazionale. A sorpresa, mentre le tre commissarie redigevano con cautela un comunicato diffuso con netto ritardo, l’Olanda, uno dei Paesi membri finora più restii a criticare Israele ha indirizzato una lettera all’Alta rappresentante in cui chiede una revisione urgente dell’accordo di associazione con l’alleato mediorientale. Che sta alla base delle relazioni economiche con Israele, e che prevede – all’articolo 2 – il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani.Il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, ha dichiarato al The Guardian che il governo dei Paesi Bassi si aspetta che la questione – messa sul tavolo da Spagna e Irlanda più di un anno fa e poi accantonata dall’Ue – sia discussa durante la riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Ue che inizia oggi in Polonia. Veldkamp, ex ambasciatore in Israele, ha definito il blocco di Gaza “catastrofico, davvero desolante” e in chiara violazione del diritto internazionale umanitario. In un passaggio significativo, il ministro ha puntualizzato: “Non ho alcuna illusione che Hamas applicherà mai il diritto internazionale umanitario, ma da una democrazia come Israele, le democrazie combattono in modo diverso, e Israele deve rispettare il diritto internazionale umanitario”. I Paesi Bassi sembrano fare sul serio, e Veldkamp ha annunciato che il governo porrà il veto su qualsiasi proroga del piano d’azione Ue-Israele, l’accordo che attua l’accordo di associazione entrato in vigore nel 2000.

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    Gli eurodeputati stigmatizzano le violazioni dei diritti umani in Turchia

    Bruxelles – La Turchia rimane lontana anni luce dall’adesione all’Ue, a causa del deterioramento continuo della democrazia, e anzi ne andrebbe sospeso l’ingresso. Ma i rapporti di vicinato con Ankara rimangono improntati al pragmatismo, al netto delle violazioni dei diritti umani e dell’integrità territoriale di Stati sovrani, pure se sono membri del club a dodici stelle.È questo, in estrema sintesi, il succo del rapporto sulla Repubblica anatolica – che mette insieme due relazioni annuali, quella del 2023 e quella del 2024 – adottato oggi (7 maggio) dal Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, con 367 voti favorevoli, 74 contrari e 188 astensioni.Il documento, presentato dal relatore Nacho Sánchez Amor durante un dibattito in Aula nel pomeriggio di ieri, si compone di due parti principali. Nella prima, viene ribadita la distanza siderale che separa la Turchia dall’ingresso nell’Unione, principalmente sui versanti della democrazia e dei diritti umani ma anche per la decennale questione cipriota. La seconda esplora invece le dimensioni in cui il dialogo tra i Ventisette e lo Stato anatolico può progredire, riconoscendo il ruolo determinante di Ankara nello scacchiere internazionale.L’eurodeputato Nacho Sánchez Amor (foto: Fred Marvaux/EP)Il punto del processo di adesione, ha spiegato Sánchez Amor durante una conferenza stampa, è che quest’ultimo è “normativo” e “si basa sulla democrazia” e non su considerazioni di tipo politico, geostrategico o militare. Ma “negli ultimi 30 anni non abbiamo più avuto buone notizie” da Ankara circa il rispetto delle norme democratiche e, anzi, “la Turchia è l’unico tra i Paesi candidati che ha fatto passi indietro” in questo ambito “in modo sistematico”, tanto che il livello attuale “è il più basso degli ultimi anni” e si sta costruendo un “modello pienamente autoritario” che è incompatibile con gli standard europei.Il presidente Recep Tayyip Erdoğan sta costruendo “un modello di società simile a quella russa e profondamente diversa da quella europea“, nota il socialista spagnolo. “Noi non possiamo interferire in queste decisioni sovrane, non possiamo trasformare la Turchia in una democrazia”, osserva, perché “sono i cittadini turchi che devono deciderlo”. Il compito di Bruxelles – peraltro concordato con Ankara – è piuttosto quello di monitorare gli sviluppi nel Paese e indicare gli ambiti in cui il governo turco deve ottenere risultati concreti se vuole entrare a far parte dell’Unione.Tuttavia, spiega Sánchez Amor, è importante distinguere tra la “volontà profonda” della società civile e quella di chi lo governa. “Erdoğan nasconde il fatto che ci sia un Paese intero dietro l’ombra del presidente”, ragiona l’eurodeputato rimarcando la vitalità dei movimenti pro-democrazia e pro-Ue, e il coraggio di chi protesta da oltre un mese contro l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoğlu, lo sfidante più agguerrito per scalzare il sultano dal suo trono.Sono i turchi stessi che “ci chiedono di non chiudere la porta” dell’adesione, e “se ci sono le condizioni, noi siamo pronti a valutare la volontà politica e l’impegno” della leadership di Ankara. “Non stiamo chiudendo il processo“, sostiene Sánchez Amor, ma quest’ultimo rimane a tutti gli effetti congelato. E al momento nessuno, in Europa, sembra realmente interessato a riaprirlo. Insomma, la porta non è chiusa del tutto ma lo spiraglio è minimo.D’altro canto, quella del partenariato Ue-Turchia è una questione sostanzialmente diversa. Attraverso questo genere di accordi – per definizione transazionali – “si possono affrontare tanti altri temi e indagare quali sono gli interessi comuni“, per stabilire relazioni che siano “basate sulla fiducia reciproca“, ha dichiarato Sánchez Amor. La Turchia rimane un Paese cruciale del vicinato, con cui è inevitabile parlare di un’ampia gamma di temi come energia, commercio, difesa e sicurezza.Quest’ultima voce, nello specifico, è duplice: Bruxelles mantiene aperto il dialogo con Ankara sia nel campo della cooperazione militare europea in chiave anti-russa, sia nell’ambito della gestione dei flussi migratori, una formula edulcorata per rendere accettabile il pagamento di miliardi di euro affinché Erdoğan si tenga in casa decine di migliaia di disperati che vorrebbero raggiungere il Vecchio continente.Lo riconosce, con crudo realismo, lo stesso Sánchez Amor. L’Ue intesse relazioni con Paesi in tutto il mondo che non rispettano i diritti umani, ammette citando come esempi l’Egitto, la Tunisia e Israele, perché “inevitabilmente la politica estera ha una componente di realpolitik“. “Non facciamo sconti sull’adesione ma non possiamo nemmeno allargare il Bosforo”, ribadisce, spiegando che il vicino sudorientale rappresenta un importante “cuscinetto” tra l’Europa e la polveriera mediorientale.Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Christophe Licoppe/European Union)C’è infine la questione, bollente, di Cipro. Nell’isola del Mediterraneo orientale perdura da decenni l’occupazione turca, e lo stesso Erdoğan si è recato nei giorni scorsi nel nord del Paese – che praticamente solo Ankara riconosce come uno Stato sovrano – ribadendo il suo intento di difendere la soluzione a due Stati, in barba al diritto internazionale e alle risoluzioni delle Nazioni Unite (supportate da Bruxelles) che riconoscono l’indivisibilità della Repubblica cipriota, uno dei 27 membri dell’Ue.“Più la Turchia difende la soluzione dei due Stati, più Cipro del nord sembra una provincia di Ankara“, ha scandito Sánchez Amor, che durante la sessione di voto odierna ha aggiunto al testo della relazione un emendamento orale, approvato a larga maggioranza, proprio per condannare la “visita illegale” del presidente turco.

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    Ucraina, von der Leyen spinge per aprire tutti i capitoli per l’adesione all’Ue nel 2025. I Patrioti di Orbán di traverso

    Bruxelles – Nel percorso verso l’adesione all’Unione europea, l’Ucraina può contare sul più influente dei sostenitori: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si sta spendendo in prima persona per accelerare l’ingresso di Kiev nel blocco Ue. “Può essere la più forte garanzia di sicurezza” e di una “pace giusta e duratura”, ha evidenziato oggi (7 maggio) intervenendo al Parlamento europeo di Strasburgo. L’obiettivo – che la leader Ue avrebbe concordato con Zelensky a Roma, in occasione dei funerali di papa Francesco – è “aprire tutti i capitoli di negoziati di adesione nel 2025“.I vertici delle istituzioni europee sono d’accordo, l’adesione dell’Ucraina si deve fare il più presto possibile. A costo di far passare Kiev davanti a candidati di lunga data, come i sei dei Balcani occidentali. Serbia e Montenegro, ad esempio, di capitoli di negoziazione ne hanno già aperti da anni ma procedono a rilento verso il completamento dei 35 totali. Ma – come emerso già nell’ultimo Consiglio europeo – i Paesi membri, titolari del potere di veto sugli avanzamenti dei Paesi candidati, sono divisi. A ben vedere, l’Ue è già venuta meno alla promessa di aprire il processo di adesione entro marzo: se formalmente il percorso è stato avviato, non è stato però aperto nessuno dei cluster negoziali, nemmeno quello dei cosiddetti capitoli fondamentali.Da un lato ci sono i baltici e i nordici (Danimarca, Finlandia, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania), che vorrebbero premere sull’acceleratore. A loro, in linea di principio, si unirebbe anche la Polonia. Ma Varsavia, che attualmente detiene la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue, è più cauta, perché consapevole delle difficoltà nel costruire un consenso all’unanimità che ancora non c’è. I Paesi dell’Europa meridionale e orientale hanno sensibilità differenti e – per quanto generalmente d’accordo con la necessità di allargare l’Unione a Kiev – hanno riserve a scavalcare altri Paesi candidati con cui storicamente intrattengono rapporti più stretti.C’è poi il solito elefante nella stanza, quel Viktor Orbán che proprio non ne vuole sapere. Anche oggi, il gruppo dei Patrioti per l’Europa, creatura fondata dal premier sovranista ungherese, ha ribadito il suo no all’ingresso dell’Ucraina nei 27: “Non è nel nostro interesse – ha dichiarato Kinga Gal, vicepresidente del gruppo e membro di Fidesz, il partito di Orbán -, causerebbe gravi danni alla politica agricola, alla politica di coesione e altro”. L’Ucraina non sarebbe in linea “con nessuna delle condizioni di adesione”, ha proseguito Gal, denunciando il rischio di “doppi standard” nella politica di allargamento di Bruxelles.In realtà, la posizione filo-russa di Budapest – e dei Patrioti – va ben oltre l’opposizione all’allargamento a Kiev. Delle tre priorità elencate oggi da von der Leyen per fare in modo di arrivare all’agognata pace “giusta e sostenibile”, l’Ungheria non ne condivide nessuna. Non il sostegno alle capacità di difesa dell’Ucraina, tanto meno l’eliminazione graduale dei combustibili fossili russi. Ma se su queste due – con qualche escamotage – l’Ue può procedere a 26, sull’adesione non può. E continuare a fissare date e a fare promesse, diventa rischioso.

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    Israele esce allo scoperto e presenta il “piano di conquista” di Gaza. Bruxelles è “preoccupata”

    Bruxelles – Un altro tassello verso l’occupazione totale della Striscia di Gaza. Nella notte, il gabinetto di sicurezza del governo israeliano ha approvato all’unanimità un piano per espandere le operazioni militari nel territorio già devastato da 18 mesi di bombardamenti a tappeto: prevede, tra le altre cose, lo spostamento della popolazione palestinese verso sud e il mantenimento dei territori sotto il controllo delle forze di difesa israeliane. Tel Aviv ha inoltre architettato un sistema – respinto dalle Nazioni Unite – per escludere le agenzie dell’Onu e le organizzazioni internazionali dalla distribuzione degli aiuti umanitari e affidarla ad appaltatori privati.Secondo quanto riportato dai media israeliani, l’operazione ‘Gideon’s Chariots’ inizierà “entro la fine della visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nella regione la prossima settimana”, a meno che nel frattempo non verrà raggiunto con Hamas un accordo per il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani del gruppo terroristico. Un ultimatum che, di riflesso, riguarda tutta la comunità internazionale che assiste inerte alle prove generali di quello che diversi esperti ed organizzazioni indipendenti definiscono un genocidio. Da Bruxelles, il solito appello “alla massima moderazione” e il rifiuto di prendere in considerazione qualsiasi leva – economica o diplomatica – per evitare che l’alleato israeliano continui a macchiarsi di crimini di guerra e contro l’umanità con la complicità del blocco Ue.L’Unione europea “è preoccupata per la prevista estensione dell’operazione delle forze armate israeliane a Gaza, che causera’ ulteriori vittime e sofferenze alla popolazione palestinese”, ha affermato oggi (5 maggio) il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, nel briefing quotidiano con la stampa. Ricordando che “l’Alta rappresentante (Kaja Kallas, al momento della scrittura di quest’articolo non pervenuta, ndr) ha chiarito che la ripresa dei negoziati era l’unica via da seguire”. Da quando, lo scorso 18 marzo, Israele ha ripreso i raid sull’enclave palestinese decretando la fine del cessate il fuoco, secondo il ministero della Salute di Gaza sono state uccise più di 2.300 persone. In tutto, dal 7 ottobre 2023, le vittime palestinesi accertate della guerra tra Israele e Hamas sono circa 52.400.Secondo quanto riferito da un alto funzionario della difesa israeliana al Times of Israel, il piano approvato dal governo di Benjamin Netanyahu prevede “l’ampia evacuazione dell’intera popolazione di Gaza dalle zone di combattimento, compresa Gaza settentrionale, verso le aree di Gaza meridionale, creando al contempo una separazione tra questa e i terroristi di Hamas, al fine di consentire all’Idf libertà di azione operativa”. A differenza di quanto fatto finora però, i militari israeliani “resteranno in ogni area conquistata per impedire il ritorno del terrore”.In un secondo momento, “dopo l’inizio delle attività operative e un’ampia evacuazione della popolazione verso sud”, Israele avrebbe intenzione di rimuovere il blocco all’ingresso di aiuti umanitari, in atto da più di due mesi. Tel Aviv ha sottoposto alle Nazioni Unite un nuovo modello di distribuzione limitato in un’area “sterile” intorno a Rafah, gestito da aziende private sotto il controllo dell’esercito israeliano. In un duro comunicato, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) ha denunciato un piano che “viola i principi umanitari fondamentali e sembra concepito per rafforzare il controllo sui beni di prima necessità come tattica di pressione, nell’ambito di una strategia militare”. Secondo l’Onu “gran parte di Gaza, comprese le persone meno mobili e più vulnerabili (tra la popolazione civile ci sarebbero quasi 120 mila feriti, ndr), continuerà a rimanere senza rifornimenti”.“È una prospettiva che ci fa orrore in un territorio martoriato da oltre un anno e mezzo di bombardamenti e da due mesi di blocco totale degli aiuti umanitari”, denuncia Cecilia Strada, eurodeputata dal Pd. “L’Unione europea deve far pressione perché Israele rispetti il diritto umanitario, smetta di bombardare la popolazione civile e garantisca immediatamente, e senza condizioni, l’ingresso degli aiuti nella Striscia con regolarità”, ammonisce la parlamentare in una nota. “Finché non sarà così – annuncia Strada -continueremo a chiedere con forza la sospensione immediata dell’accordo di Associazione Ue-Israele, della vendita di armi a Israele e del commercio con le colonie”.Le agenzie dell’Onu e i loro partner umanitari hanno chiarito, come già affermato anche dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che “non parteciperanno ad alcun programma che non rispetti i principi umanitari globali di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità”. In un atto di coraggio, dal momento che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi più di 409 operatori umanitari a Gaza, Ocha assicura che “le nostre squadre rimangono a Gaza, pronte a intensificare nuovamente la fornitura di beni e servizi essenziali: cibo, acqua, assistenza sanitaria, nutrizione, protezione e altro ancora”.

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    Ucraina, Trump: “Forse la pace non è possibile”, gli Usa considerano nuove sanzioni a Mosca

    Bruxelles – Dopo il rifiuto di Vladimir Putin alla proposta di un cessate il fuoco in Ucraina di 30 giorni avanzata da Washington, il presidente americano Donald Trump ieri sera (4 maggio), in un’intervista alla NBC News, ha dichiarato che la sua decisione di firmare il decreto legge sulle sanzioni avanzato dal senatore repubblicano Lindsey Graham: “dipenderà dal fatto che la Russia si stia muovendo o meno in direzione della pace“.Graham, stretto alleato di Trump al Congresso, ha fatto sapere lo scorso 1 maggio che almeno 72 senatori sarebbero pronti votare a favore di ulteriori sanzioni contro la Federazione Russa e per ingenti dazi verso i Paesi che la supportano. La sensazione dominante a Washington è che i negoziati per la conclusione del conflitto russo-ucraino stiano andando troppo per le lunghe, e nonostante il presidente continui a mostrarsi fiducioso nei confronti della situazione, non fa mistero della sua insoddisfazione per l’atteggiamento di Mosca. “Vogliamo che la Russia e l’Ucraina accettino un accordo. Pensiamo di essere abbastanza vicini” ha detto Trump, ma in merito al raggiungimento dell’accordo in questione, ha dichiarato: “Credo che siamo più vicini con una parte, e forse non altrettanto vicini con l’altra. Ma dovremo vedere. Non vorrei dire a quale delle due parti siamo più vicini”. L’accordo sui minerali siglato il 1 maggio con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky può tuttavia suggerire quale sia effettivamente la più vicina delle parti.Riconducendo le sorti del conflitto russo-ucraino a una diatriba tra i rispettivi leader, Trump si è lasciato andare ad una amara costatazione: “Forse la pace non è possibile, c’è dell’odio tremendo. Parliamo di odio tremendo tra questi due uomini, e tra alcuni dei soldati e generali che hanno combattuto duramente per tre anni”. Il tycoon non si è tuttavia perso d’animo, evocando ancora una volta “ottime possibilità di farcela”.Già lo scorso 26 aprile Trump si era scagliato contro Putin, definendolo “non interessato davvero a finire la guerra”. Il ruolo di mediatore che il presidente statunitense si è assunto sin dai primi giorni della sua presidenza diventa sempre meno facile e la possibilità di sfilarsene è stata minacciata in diverse occasioni.  Ucraina e Stati Uniti non hanno ricevuto segnali di apertura verso la loro proposta di tregua di un mese, con Mosca che insiste per mantenerla a tre giorni, in occasione delle celebrazioni per il Giorno della Vittoria del 9 maggio. L’iniziativa fa gioco al Cremlino, che per gli 80 anni dalla vittoria sovietica nel secondo conflitto mondiale ha invitato a Mosca diversi leader, tra cui il presidente cinese Xi Jinping, in visita ufficiale nel Paese tra il 7 e il 10 maggio.Intanto, come ha riferito ieri sera il New York Times, l’esercito statunitense sta attualmente trasferendo un sistema di difesa missilistico Patriot da Israele all’Ucraina. Con l’intensificazione degli attacchi russi contro Kiev, Odessa, Karkiv e Sumy, questa decisione viene incontro alla pressante richiesta di maggiore difesa aerea avanzata da Zelensky lo scorso 13 aprile, quando si era dichiarato pronto ad acquistare 10 sistemi Patriots da dislocare nelle città più densamente popolate del Paese. Le fonti non indicano alcun dettaglio sulla posizione di Trump in merito al trasferimento, e non chiariscono se tale iniziativa sia stata avviata da lui stesso o durante l’amministrazione del suo predecessore, Joe Biden. In ogni caso, gli alleati occidentali starebbero già discutendo la logistica di un eventuale trasferimento di un’altra batteria da parte della Germania o della Grecia.

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    Ucraina e Stati Uniti trovano l’accordo sulle terre rare, da Washington assistenza economica

    Bruxelles – Dopo lo scontro, l’intesa. I presidenti di Stati Uniti e Ucraina, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, raggiungono un’intesa di cooperazione economica che è anche un accordo di sostegno per la sicurezza del Paese dell’est Europa. Washington respinge l’ipotesi di un ingresso di Kiev nella Nato, ma ha offerto investimenti massicci e presenza economica nel Paese che può fungere da motivo per evitare nuove aggressioni russe future. Trump ha di fatto chiesto e ottenuto ingresso di aziende statunitensi in Ucraina, per il momento per attività minararia ed energetica (petrolio e gas).Al centro dell’accordo ucraino-americano c’è lo speciale Fondo di investimento per la ricostruzione Stati Uniti-Ucraina, gestito in forma paritaria, e che i due Paesi supervisioneranno in modo congiunto. I profitti del Fondo saranno investiti esclusivamente in Ucraina, alla quale non verra’ chiesto di ripagare alcun debito. Kiev manterrà il controllo delle sottosuolo e delle risorse naturali, ma gli Stati Uniti ottengono un diritto di prelazione sui diritti di estrazione mineraria in Ucraina. E’ così che Washington si garantisce l’accesso alle terre rare e le risorse messe nel mirino da Trump.“Non spetta a noi commentare un accordo bilaterale”, il commento dell’Unione europea, convinta comunque che l’intesa non pregiudichi la validità del protocollo d’intesa Ue-Ucraina del 2021 per le materie prime. L’accordo tra Trump e Zelensky “non sembra avere impatti”, assicura il servizio dei portavoce. L’intesa non pregiudica neppure il processo di integrazione dell’Ucraina nell’Ue. La Commissione europea assicura comunque che verrà garantito ancora pieno sostegno, economico e militare, a Kiev. “Un’Ucraina più forte sul campo di battaglia è un’Ucraina più forte al tavolo negoziale”, taglia corto Anouar el Anouni, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue.

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    Serbia, Bruxelles al nuovo governo: “Le nostre richieste in linea con quelle degli studenti”

    Bruxelles – Dopo mesi di ambiguità, la Commissione europea coglie l’opportunità del nuovo governo in Serbia per mettere le cose in chiaro e fissare alcune linee rosse: ciò che l’Ue chiede al Paese candidato all’adesione di lunga data è “strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano“, ha dichiarato la responsabile per l’Allargamento, Marta Kos, rivolgendosi al neo-premier Djuro Macut e ad una delegazione degli studenti che da novembre alimentano l’ondata di proteste contro l’autoritario presidente Aleksandar Vučić.Nella prima visita nel Paese balcanico da quando, lo scorso 7 aprile, Vučić ha consegnato l’esecutivo in mano al sessantunenne medico e professore universitario Macut – che non ha alcuna esperienza politica e non è iscritto ad alcun partito, ma ha sostenuto in passato il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente -, Kos ha voluto lanciare un messaggio. Dopo gli incontri istituzionali a Belgrado con Vučić e Macut, si è recata alla stazione di Novi Sad per deporre un mazzo di rose nel luogo dell’incidente in cui, lo scorso 1 novembre, persero la vita 15 persone. Ha incontrato organizzazioni della società civile, studenti, professori e delegazioni dei partiti d’opposizione.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, a Novi Sad, 30/4/25In un post su X indirizzato agli “studenti di Novi Sad”, ha affermato: “Vi capisco. Voglio ribadire che ciò che l’Ue chiede alla Serbia è strettamente in linea con le richieste dei cittadini che protestano. Ma la cosa più importante è che voi, le giovani generazioni, possiate beneficiare delle numerose opportunità che l’Ue ha da offrire“. Un’offerta presentata dalla stessa Kos al premier e reiterata a favore di telecamere: “La nostra offerta al popolo serbo è la seguente – ha dichiarato la commissaria -: collaborate con noi alle riforme necessarie per rendere possibile la vostra adesione all’Ue, collaborate con noi per istituire un sistema giudiziario indipendente e in grado di combattere la corruzione, collaborate con noi per mettere in campo leggi e istituzioni che garantiscano la libertà e l’indipendenza dei vostri media, collaborate con noi per istituire un quadro elettorale che assicuri che sia la volontà del popolo serbo e solo la sua volontà a decidere le maggioranze”.Una mano tesa verso gli studenti, l’altra verso il governo di Macut, di cui Kos “sente l’energia a collaborare con noi”. Nel tentativo di riconciliare un Paese che rischia di perdere un treno che passa “una volta in una generazione”, quello per “completare l’unificazione dell’Europa”. In un intervento deciso, Kos ha sottolineato che “molti paesi candidati se ne sono resi conto e stanno attuando riforme più rapidamente che mai”. Lo stesso non si può dire per Belgrado, impantanata in un regime sempre più impopolare e autoritario, oltre che disallineato con Bruxelles in politica estera. “Mi piacerebbe che lo stesso accadesse in Serbia – ha aggiunto -. Senza questi cambiamenti, la Serbia non può progredire nel suo percorso verso l’Ue“.Marta Kos e, alla sua destra, il neo premier serbo Djuro Macut, 29/04/25Non ha più mani da tendere invece verso Vučić, l’uomo al potere dal 2014 e principale responsabile dell’allontamento della Serbia dal percorso europeo. Il leader nazionalista, che ha rafforzato i legami con Vladimir Putin negli ultimi anni, è atteso a Mosca il 9 maggio, per partecipare alle celebrazioni del Giorno della vittoria, anniversario della sconfitta del nazismo e della fine della seconda guerra mondiale. Secondo quanto affermato da un portavoce della Commissione europea, Kos ha trasmesso al presidente filo-russo “un messaggio condiviso anche da molti Stati membri”, e cioè che la sua eventuale partecipazione alla parata del 9 maggio “avrà un impatto sul percorso” della Serbia nell’Ue.D’altro canto, Vučić ha descritto l’incontro con Kos come una “buona conversazione sulle sfide e le opportunità chiave del nostro percorso europeo”, e sottolineato “la piena disponibilità ad accelerare le riforme, non per esigenze burocratiche, ma perché crediamo che esse portino una vita migliore ai nostri cittadini”. Forse Vučić non si riferiva a quei 47 cittadini che hanno adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, denunciando il presunto utilizzo di un cannone sonico – illegale in Serbia – per disperdere i manifestanti in occasione dell’enorme protesta dello scorso 15 marzo a Belgrado. Oggi la Cedu, sottolineando che fino a 4 mila persone hanno riportato l’accaduto, ha accolto parzialmente le richieste dei ricorrenti e indicato una misura provvisoria al governo serbo: “Fino a nuovo ordine, qualsiasi uso di dispositivi sonori a fini di controllo delle folle deve essere impedito in futuro”.To the students of Novi Sad: I hear you.I want to reiterate that what the EU asks from Serbia closely aligns with the demands of the citizens protesting.Most importantly, I want you, the young generation to benefit from the many opportunities the EU has to offer. pic.twitter.com/Ff6FiQcA6J— Marta Kos (@MartaKosEU) April 30, 2025

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    La Cina revoca le sanzioni contro i deputati europei

    Bruxelles – Le politiche commerciali del presidente Usa Donald Trump rafforzano le relazioni tra gli altri partner commerciali globali. Oggi (30 aprile) la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha informato la Conferenza dei presidenti della decisione delle autorità cinesi di revocare le sanzioni contro tutti i deputati (e le loro famiglie) e le commissioni del Parlamento europeo.“In qualità di presidente, è mia responsabilità garantire che ogni membro di questa Assemblea possa esercitare il proprio mandato liberamente, senza restrizioni”, ha dichiarato Metsola in una nota. “Le nostre commissioni parlamentari devono poter discutere gli interessi europei con le loro controparti cinesi senza timore di ripercussioni. Le nostre relazioni con la Cina – ha aggiunto – rimangono complesse e sfaccettate. Il modo migliore per affrontarle è attraverso l’impegno e il dialogo”.Le sanzioni, imposte dalla Cina nel marzo 2021, avevano colpito cinque membri del Parlamento europeo e la sottocommissione per i diritti umani.La Conferenza dei presidenti ha ribadito che la revoca delle sanzioni non significa che il Parlamento europeo ignorerà le sfide persistenti nelle relazioni Ue-Cina. Il Parlamento continuerà dunque “a difendere con forza i diritti umani universali e i valori fondamentali in tutto il mondo”, cercando al contempo di impegnarsi con i partner globali in modo chiaro e basato su principi.Il 22 marzo 2021 la Cina aveva imposto sanzioni a dieci cittadini dell’Ue e a quattro entità, tra cui cinque deputati europei allora tutti in carica (Reinhard Butikofer (Verdi), Michael Gahler (PPE), Raphaël Glucksmann (S&D), Ilhan Kyuchyuk (Renew) e Miriam Lexmann (PPE)) e la sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo. Le sanzioni, che vietavano l’ingresso nel territorio cinese alle persone interessate, hanno indotto il Parlamento europeo a sospendere tutti i dialoghi ufficiali con la Cina.Nel settembre 2024 la Cina ha iniziato a cercare di ristabilire la comunicazione. Dall’autunno 2024 si sono tenuti diversi incontri a vari livelli, che sono culminati nella decisione della Cina di revocare le sanzioni.