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    L’Unione Europea chiede alla Cina di premere sulla Russia per mettere fine all’aggressione dell’Ucraina

    Bruxelles – Il sonno del gigante cinese inizia a essere sempre più disturbato. Negli 11 giorni di invasione russa dell’Ucraina, Pechino è il vero jolly che ancora nessuno è riuscito a giocarsi per indirizzare in un verso o nell’altro la guerra voluta da Vladimir Putin. Né Mosca, per avere quel supporto necessario per affrontare le sanzioni e il boicottaggio delle aziende di quasi tutto il mondo, né le potenze occidentali per isolare definitivamente il Cremlino e metterlo in ginocchio. Oggi però l’UE ha fatto un passo in avanti e ha chiesto apertamente alla Cina di fare pressione sulla Russia per mettere fine all’aggressione in Ucraina.
    “L’alto rappresentante Josep Borrell è in contatto con la controparte cinese perché prema per fermare questo attacco senza precedenti contro l’integrità territoriale di uno Stato”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano, nel corso del punto quotidiano con la stampa. “L’UE sta chiedendo alla Cina di usare la propria influenza per raggiungere un cessate il fuoco e porre fine ai bombardamenti brutali della Russia”, ha aggiunto Stano, sottolineando che la potenza orientale “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali“. Il portavoce del SEAE ha fatto notare che “la Cina non era tra i cinque Paesi che si sono opposti alla risoluzione votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” e “questa è una ragione per aumentare il nostro impegno per fare in modo che diventi partner della comunità internazionale che spinge per la fine della guerra in Ucraina”.
    Per l’appunto, la Cina è stata tra i 35 Paesi che si sono astenuti al voto di mercoledì scorso (2 marzo) sulla risoluzione di condanna all’aggressione dell’Ucraina, insieme a India ed Emirati Arabi Uniti. Una dimostrazione che – a differenza di quanto previsto dal Cremlino – gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente. Solo un mese fa Xi Jinping e Vladimir Putin avevano condannato l’espansionismo verso Est della NATO e si erano promessi “amicizia senza limiti”. Ma la guerra di Putin – che non sembra più essere ‘lampo’ come prospettato dall’autocrate russo e che ha evocato anche lo spettro dell’arma nucleare – sta diventando un ostacolo per il presidente cinese. Da un turbamento dell’economia globale e da un nuovo periodo di recessione, Pechino non ha molto da guadagnarci. È per questo motivo che la Cina potrebbe lasciarsi convincere dall’UE a esporsi maggiormente e prendere un’iniziativa diplomatica per risolvere la crisi scatenata dalla Russia.
    Questo significherebbe però mettere parzialmente in discussione l’alleanza con la Russia e, soprattutto, non trarre tutti i benefici che potrebbero derivare da un indebolimento dell’Occidente impegnato in Ucraina. Se l’esercito di Putin si dovesse impantanare in Ucraina e le potenze occidentali impegnarsi ancora più a lungo a sostegno di Kiev, senza alcuno sforzo la Cina di Xi Jinping potrebbe godere di un parziale cambio di rotta in politica estera da parte degli Stati Uniti (sempre più distratti dal Pacifico) e di un’Europa che non può ripartire con slancio dopo due anni di crisi scatenata dalla pandemia COVID-19. Ma anche di una Russia impoverita e isolata a livello internazionale, che diventerebbe facilmente un satellite di Pechino, unico interlocutore in materia di politica estera, economica ed energetica. Il tempo delle scelte sta però svegliando la potenza cinese, che rischia di trovarsi ora davanti a un bivio da cui difficilmente si può tornare indietro.

    Pechino “ha il potenziale per raggiungere Mosca grazie alle sue relazioni bilaterali”, ha spiegato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Peter Stano. Bruxelles vuole che Xi Jinping “usi tutta la sua influenza”

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    L’UE e la minaccia nucleare di Putin, Bruxelles lavora a un piano di emergenza dopo la presa della centrale di Zaporizhzhia

    Bruxelles – L’Unione Europea corre ai ripari sul fronte della sicurezza nucleare e nel fine settimana ha chiesto un rapido intervento dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) di fronte alla crescente preoccupazione per la sicurezza delle centrali nucleari ucraine. “Ho scritto al direttore generale Rafael Mariano Grossi per sostenere le sue azioni nel garantire la sicurezza nucleare dei siti in Ucraina. L’attacco armato contro impianti nucleari è contro il diritto internazionale”, afferma in un tweet la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, informando di un incontro nel pomeriggio di ieri tra i regolatori nucleari europei per “sostenere i colleghi di Kiev”.

    Nel pomeriggio di domenica, l’Ucraina ha informato l’AIEA che la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhya, il più grande impianto nucleare attivo in Europa, è finita ora in mano al comandante delle forze armate russe, dopo che le truppe di Putin ne hanno preso il controllo alla fine della scorsa settimana. Fino a venerdì scorso era il personale ucraino a far funzionare la centrale, da ieri qualsiasi azione di gestione dell’impianto, compreso il funzionamento tecnico dei sei reattori presenti nell’impianto, richiede l’approvazione preventiva del comandante russo. E questo è fonte di preoccupazione per tutti.
    Il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’Energia si è detto “profondamente preoccupato” per questo sviluppo. Grossi ha denunciato in una nota anche grandi problemi di comunicazione con il personale della centrale nucleare di Chornobyl, con cui al momento è possibile comunicare solo con le e-mail. Le forze russe hanno preso lo scorso 24 febbraio (l’inizio dell’aggressione ai danni di Kiev) il controllo del luogo in cui, nel 1986, si è verificato il più grande incidente nucleare al mondo. Grossi ha riaffermato la sua disponibilità a recarsi alla centrale nucleare di Chornobyl per assicurarsi “l’impegno per la sicurezza e la protezione di tutte le centrali nucleari ucraine dalle parti in conflitto nel Paese”.
    Già in un confronto con l’Eurocamera la scorsa settimana la commissaria Simson aveva fatto sapere che anche l’UE sta seguendo da vicino la situazione della sicurezza nucleare insieme all’ENSREG, il gruppo europeo dei regolatori della sicurezza nucleare (European Nuclear Safety Regulators Group) che si è incontrato nel fine settimana e che sta preparando “un piano di emergenza nel caso in cui la Russia dovesse attaccare” gli impianti nucleari presenti sul territorio ucraino, da quando le truppe di Mosca hanno usato l’impianto (inattivo e luogo di raccolta di combustibile esausto e rifiuti radioattivi) di Chernobyl come scudo e rifugio all’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
    Il presidente russo Putin ha minacciato gravi ritorsioni e il ricorso alle armi atomiche, in caso di interventismo occidentale in una guerra che il capo del Cremlino considera legittima, facendo riferimento più o meno diretto alla bomba atomica. Occupando strategicamente impianti nucleari presenti sul territorio ucraino ha ricreato il clima di deterrenza nucleare tipico della Guerra fredda, in risposta alla raffica di sanzioni europee varate nell’ultima settimana ai danni dell’economia di Mosca. Prima ha messo in stato d’allerta le forze di deterrenza del Paese, forze strategiche di attacco e di difesa dell’esercito russo che includono anche una componente nucleare e poi ha posizionato strategicamente le sue truppe negli impianti nucleari, dicendo indirettamente che potrebbe usarli come arma di ritorsione. E’ improbabile un impiego di armi nucleari nella guerra in corso, ma chiaramente è impossibile escluderlo del tutto. È vero inoltre che la più grande preoccupazione al momento è che gli impianti siano accidentalmente coinvolti nei bombardamenti, con possibili effetti devastanti sui territori circostanti.

    L’allarme dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sull’impossibilità di comunicare con il personale di Chornobyl e la proposta del direttore generale Grossi di recarsi in loco per assicurarsi “l’impegno per la sicurezza e la protezione di tutte le centrali nucleari ucraine dalle parti in conflitto nel Paese”

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    La Russia tagliata dal programma di ricerca UE nello stesso giorno dell’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia

    Bruxelles – L’isolamento internazionale della Russia si intensifica e taglia fuori Mosca ormai su tutti i fronti, dallo sport all’industria, dall’economia alla finanza, fino alla ricerca e l’innovazione. Nello stesso giorno dell’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia (nel sud-est dell’Ucraina) che ha scatenato un incendio negli edifici secondari della struttura, l’UE ha deciso di sospendere la cooperazione con entità della Russia nell’ambito della ricerca e dell’innovazione sia del programma Horizon Europe sia del precedente Horizon 2020.
    “Ho chiesto ai miei servizi di sospendere qualsiasi pagamento agli enti russi nell’ambito dei contratti esistenti“, ha annunciato la commissaria europea per l’Innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel. Inoltre, è stata decisa la “sospensione della preparazione dell’accordo di sovvenzione per quattro progetti del programma Horizon Europe che coinvolgono cinque organizzazioni di ricerca russe”, ha aggiunto la commissaria, specificando che “la firma di qualsiasi nuovo contratto sarà sospesa fino a nuovo avviso“. Durissimo il commento della vicepresidente della Commissione UE per il Digitale, Margrethe Vestager: “La cooperazione nella ricerca dell’UE si basa sul rispetto delle libertà e dei diritti che sono alla base dell’eccellenza e dell’innovazione” e “l’atroce aggressione militare della Russia contro l’Ucraina è un attacco contro questi stessi valori”.
    In quest’ottica è stato però rafforzato il sostegno a scienziati e ricercatori ucraini “che hanno dimostrato eccellenza e leadership nell’innovazione in molti campi”. La commissaria Gabriel ha spiegato che “siamo fortemente impegnati a garantire una continua e proficua partecipazione dell’Ucraina e delle entità ucraine”, da quando Kiev ha firmato l’accordo associazione per il programma UE sulla ricerca e l’innovazione Horizon Europe e per la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) nell’ottobre 2021. L’accordo di associazione entrerà in vigore quando l’Ucraina notificherà alla Commissione Europea il completamento del processo di ratifica. “Nel frattempo abbiamo adottato misure amministrative per garantire che i beneficiari ucraini possano ricevere finanziamenti dai programmi dell’UE”, ha ricordato la commissaria Gabriel: “Questa cooperazione nella scienza, nella ricerca e nell’innovazione rafforza l’alleanza tra l’UE e l’Ucraina per realizzare le priorità comuni”.
    Nel frattempo, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha tenuto una conversazione telefonica con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sull’attacco alla centrale di Zaporizhzhia: “L’ho informata sul terrorismo nucleare dell’aggressore russo”, si legge in un tweet del presidente ucraino. “Prevenire è il nostro compito comune”, ha sottolineato Zelensky, aggiungendo che “all’ordine del giorno c’è stata anche la questione dell’adesione dell’Ucraina all’UE“.

    Talked to President of the European Commission @vonderleyen. Informed about the aggressor’s nuclear terrorism. Preventing it is our common task. Discussed strengthening sanctions against Russia. The issue of 🇺🇦’s membership in the #EU was also on the agenda. #StopRussia
    — Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) March 4, 2022

    Bruxelles ha sospeso qualsiasi pagamento a enti di ricerca russi nell’ambito dei contratti esistenti e la firma di nuovi contratti “fino a nuovo avviso”. Parallelamente è stato rafforzato il sostegno a scienziati e ricercatori ucraini

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    Anche la Repubblica di Moldova ha richiesto di ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE

    Bruxelles – Era nell’aria da tempo e l’occupazione militare russa dell’Ucraina ha reso il processo irreversibile. Anche la Repubblica di Moldova ha presentato formalmente richiesta per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE, dopo le due domande nella stessa settimana di Ucraina (lunedì 28 febbraio) e Georgia (giovedì 3 marzo). “Il momento è arrivato: i cittadini moldavi sono pronti a lavorare sodo per un futuro stabile e prospero nell’Unione Europea e nella famiglia degli Stati europei”, ha rivendicato la presidente della Repubblica di Moldova, Maia Sandu, firmando la lettera di adesione all’UE ieri sera.
    “Vogliamo vivere in pace, prosperità, essere parte del mondo libero”, ha sottolineato la presidente Sandu, spiegando le tempistiche della richiesta: “Mentre alcune decisioni richiedono tempo, altre devono essere prese rapidamente e con decisione, approfittando delle opportunità che arrivano in un mondo che cambia”. È chiaro il riferimento all’aggressione russa dell’Ucraina e al disegno dei nuovi equilibri geopolitici che il presidente russo, Vladimir Putin, vorrebbe mettere in atto, con il rischio che possa cancellare anche l’indipendenza di Chișinău. Come nel caso di Ucraina e Georgia, si tratta di una netta reazione che vede i tre Paesi sempre più distanti da Mosca e sempre più legati a Bruxelles.

    The time is now: #Moldova officially signs the application for membership to join the #European Union. 🇲🇩 citizens are prepared to work hard towards a stable and prosperous future in the 🇪🇺 & the family of European states. pic.twitter.com/35a2q9WCaW
    — Maia Sandu (@sandumaiamd) March 3, 2022

    Si attende nelle prossime ore l’invio della lettera a Bruxelles. “La Repubblica di Moldova ha il diritto di scegliere il suo corso di politica estera“, ha dichiarato l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel corso della sua visita di ieri a Chișinău. “Crediamo fortemente che appartenga alla famiglia europea e continueremo a cooperare intensamente sulla base del nostro Accordo di associazione”, ha aggiunto Borrell, facendo riferimento all’accordo politico ed economico UE-Moldova firmato nel 2014 ed entrato pienamente in vigore nel 2016.
    Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina per l’adesione all’UE, bisogna ricordare che il processo di allargamento coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    Per diventare un Paese membro dell’UE, il primo passo è la proposta formale di candidatura all’adesione (Georgia e Ucraina, in questo caso). Dopo il superamento dell’esame dei criteri di Copenaghen – le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche – si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente. A questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione e, una volta accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Dopo le richieste di Ucraina e Georgia, anche da Chișinău è arrivata la domanda di diventare membro dell’Unione Europea. La presidente, Maia Sandu, ha firmato la lettera e nelle prossime ore sarà inviata a Bruxelles

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    La tragedia dell’Ucraina e le responsabilità dell’Occidente e dell’Europa

    Conosco abbastanza bene l’Ucraina per aver avuto per anni rapporti di lavoro e di collaborazione con gruppi siderurgici locali, e per essere stato nominato dal Governo Berlusconi, nel 2005, presidente del Comitato di collaborazione economica Italia-Ucraina.
    Conosco bene il Donbass, la parte più orientale del Paese, dove si concentra la maggior parte dell’industria dell’acciaio. Mi sono recato più volte in quella zona, in fabbriche del gruppo industriale con il quale intrattenevamo i rapporti più stretti, tanto da stabilire con esso una vera e propria joint venture, l’Industrial Union of Donbass. Tale gruppo industriale, ormai da tempo passato totalmente in mani russe, aveva e ha stabilimenti a Alchevsk e Dniprovskyi.
    Sono stato più volte a Mariupol e a Odessa, i porti più importanti, da dove caricavamo navi di prodotti di acciaio destinati all’esportazione.
    Ho molto amato Kiev, città dove avevamo uffici e in cui mi sono recato più volte per incontri e riunioni, e che mi è sempre apparsa una bellissima e storica capitale.
    Ho smesso di frequentare l’Ucraina dal 2014 e cioè da quando le milizie filorusse, appoggiate dagli “uomini verdi senza mostrine”, mercenari al soldo di Mosca, hanno iniziato una guerra separatista durata fino ad oggi, distruggendo quasi completamente Donetsk, la capitale del Donbass, e provocando decine di migliaia di morti.
    Quei viaggi e quelle frequentazioni mi avevano fatto capire la complessità e per certi versi la tragicità del contesto ucraino, diviso tra una parte del Paese, quella più grande centrale e occidentale, decisamente a favore di legami sempre più stretti con l’Unione Europea, e la parte orientale russofona tradizionalmente legata alla Russia e alla sua influenza.
    La tragicità stava e sta nel fatto che la maggior parte della popolazione e la maggior parte dei governi che si sono succeduti a Kiev dopo la caduta dell’Unione Sovietica hanno rimproverato gli europei di scarsa empatia e di disinteresse nei confronti della giovane nazione ucraina, alle prese con le pressioni e l’influenza russa e desiderosa di affrancarsi da queste grazie al legame sempre più forte con l’Occidente. Ma contemporaneamente vi è una minoranza della popolazione (che nell’est del paese è una maggioranza) che parla russo, che non ne vuol sapere dell’Occidente, che ha ottenuto di farsi stampare sul passaporto ucraino la dizione ‘Russian Citizen’.
    L’Europa ha balbettato dinanzi a questa situazione. Preoccupata di non disturbare più di tanto l’orso russo, fornitore principale di gas di molte nazioni europee come Austria, Germania, Olanda e Italia, e forse impegnata da promesse fatte ai russi dopo la caduta del muro di Berlino, ma mai ufficializzate, di non espansione della Nato a Est, non ha mai affrontato con chiarezza la questione ucraina, riempiendo di buone parole e forse anche qui di qualche promessa non ufficiale la giovane nazione, ma alla fine lasciandola sempre nel limbo tra Occidente e Oriente.
    L’ambiguità ha riguardato anche il rapporto con la Russia, grande partner economico, ma anche ingombrante attore sulla scena internazionale, specie negli ultimi anni in cui Mosca ha provato a rilanciare un suo ruolo e un suo espansionismo.
    Tale ambiguità europea ha favorito la convinzione a Mosca che si potessero fare dei colpi di mano senza colpo ferire e senza gravi conseguenze, come la conquista della Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass.
    Il delirio solitario di Putin, avvolto nella narrazione di una grande madre Russia ossessionata da problemi di sicurezza e bisognosa di confermare protezioni all’intorno mediante stati cuscinetto atti ad allontanare il più possibile i missili nucleari della Nato da Mosca, ha generato mostri; in particolare ha generato l’aggressione premeditata all’Ucraina, alla sua integrità territoriale, alla sua capacità/libertà di avere delle forze armate e di autodeterminarsi, e la minaccia, rivolta all’Occidente, di usare l’arma nucleare per ritorsione alle sanzioni economiche.
    La tragedia è sotto gli occhi di tutti: una guerra che nelle intenzioni dell’aggressore doveva durare due giorni e che invece si protrae da più di una settimana, vittime civili che ormai hanno raggiunto numeri importanti anche per l’inizio dei bombardamenti sulle città, Kiev circondata dalle truppe russe, che però incontrano una feroce resistenza da parte delle forze armate ucraine, che sembrano discretamente armate e ben preparate a contenere un’invasione, e di una popolazione civile che non vuole arrendersi.
    Una guerra nel cuore dell’Europa con il rischio di un’escalation drammatica dagli esiti imprevedibili.
    L’Europa sembra finalmente aver ritrovato una sua unità di intenti: sanzioni mai così dure nei confronti della Russia, aiuti militari probabilmente tardivi, un crescendo di prese di posizione al fianco dell’Ucraina che probabilmente non serviranno a salvare il Paese.
    Una giovane nazione diventata tale a pieno titolo proprio in questa guerra, dove giovani e anziani non arretrano e vogliono combattere per la libertà della Patria fino alla fine; dove un presidente su cui si è sempre ironizzato per il suo mestiere precedente, il comico, all’offerta americana di una sua evacuazione protetta e finalizzata a creare un governo in esilio, magari in Polonia, ha risposto ‘no grazie il mio posto è qui, è qui che si fa la storia dell’Ucraina libera, fino in fondo fino alla fine’.
    Truppe speciali russe lo stanno cercando e braccando per farlo fuori ma lui, in maglietta militare e tuta mimetica, riesce ancora a parlare con il mondo chiedendo aiuto e incitando il popolo ucraino alla resistenza.
    Putin nel suo delirio ha affermato pubblicamente, come spesso fanno molti russi in colloqui privati, che l’Ucraina è un paese che non esiste e che non ha diritto di esistere. La risposta è venuta dal popolo ucraino e dalla sua resistenza sul terreno. Il solco di odio verso i russi da parte della popolazione ucraina generato da questa follia resterà indelebile per secoli, a prescindere da come vada a finire la guerra.
    Una tragedia immane, un cambio epocale della storia del mondo i cui effetti ancora non comprendiamo completamente, la necessità di una riflessione radicale sul nostro futuro di europei.
    Comodo vivere come abbiamo fatto per decenni sotto la protezione dell’ombrello Usa; comodo non avere giovani e figli impegnati in azioni e interventi militari dove si rischia la vita; comodo, e anche un po’ stupido, pensare che la libertà e la democrazia di cui godiamo siano per sempre.
    La tragedia ucraina ci dice che quel mondo è finito e che non basta fare manifestazioni con le bandiere della pace per scongiurare la guerra.
    I dittatori alla Putin valutano continuamente i rapporti di forza e spingono la baionetta fino a dove questa può affondare in un terreno morbido e senza contrasti.
    In questi ultimi trent’anni non siamo riusciti come occidentali a declinare il vecchio motto: o l’avversario lo abbracci e lo porti dalla tua parte o lo contrasti duramente con tutte le tue forze. Ambiguità, debolezze, mezze misure non servono a niente e le conseguenze purtroppo sono sotto gli occhi di tutti.

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    La Georgia ha presentato la richiesta formale per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE

    Bruxelles – Se c’è un processo che la Russia, scatenando la guerra in Ucraina, ha suo malgrado stimolato è quello dell’allargamento dell’Unione Europea. Intendiamoci, non è un “allargamento a Est” o una provocazione contro Vladimir Putin, come in tanti sarebbero già pronti a bollare. Si tratta piuttosto di una chiara risposta dei Paesi vicini alla Russia rispetto al futuro assetto geopolitico che vedono per il proprio Paese: sempre più distante da Mosca e sempre più legato a Bruxelles. La dimostrazione è arrivata da due richieste formali di adesione all’UE nel giro di quattro giorni: lunedì (28 febbraio) quella dell’Ucraina sotto l’assedio russo, oggi (giovedì 3 marzo) quella di una Georgia che teme che il disegno del “nuovo mondo” di Putin cancelli anche la sua indipendenza. Per la stessa ragione ci si aspetta che anche la Moldavia possa seguire presto l’esempio.
    Il primo ministro della Georgia, Irakli Garibashvili, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel
    “Un giorno storico per la Georgia”, così lo ha definito il primo ministro, Irakli Garibashvili, firmando la domanda di adesione all’UE. “Siamo uno Stato europeo, siamo sempre appartenuti alla cultura e allo spazio civile europeo e la nostra storia di lotte e battaglie per la libertà è una prova che questi valori sono racchiusi nella nostra identità”, ha spiegato il premier georgiano, indicando i motivi che racchiudono la scelta di diventare uno Stato membro dell’UE. Democrazia, Stato di diritto, diritti umani e buon governo “sono già diventati l’essenza della nostra esistenza quotidiana”, in particolare da quando nel 2016 è entrato pienamente in vigore (dopo due anni di provvisorietà) l’Accordo di associazione politica ed economica UE-Georgia: “Da allora ci siamo assunti l’enorme responsabilità di iniziare con successo il nostro viaggio di integrazione europea”, ha sottolineato Garibashvili. Con questa “nuova pietra miliare” sulla strada verso l’UE, “stiamo introducendo norme e standard europei in ogni campo della nostra vita politica, economica e sociale“, ha concluso il premier georgiano. Anche se non passa inosservato il riferimento ai “compatrioti abkhazi e osseti”, ovvero gli abitanti delle due regioni rivendicate da Tbilisi, Abkhazia e Ossezia del Sud.
    Per i Ventisette ora si apre un nuovo file da considerare nel vasto capitolo dell’allargamento dell’Unione, all’interno di una dinamica che però si è completamente rivoluzionata rispetto a solo una settimana fa. “La richiesta di adesione dell’Ucraina e della Georgia, e quella eventuale della Moldavia, mostrano che c’è un desiderio genuino e un successo dell’UE come progetto di pace e prosperità“, ha rivendicato il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer, durante il punto quotidiano con la stampa di Bruxelles. La collega Ana Pisonero, responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento, ha precisato che “le richieste di unirsi sono sempre ben accette, ma prevedono comunque un lungo processo”. Per quanto riguarda la richiesta di Kiev, dopo le vibranti parole del presidente Volodymyr Zelensky e il supporto del Parlamento Europeo, “si è messo in moto il processo con le discussioni del Consiglio“, ha aggiunto la portavoce dell’esecutivo UE.
    A una domanda sul futuro dell’allargamento UE ai Paesi che già hanno iniziato il processo (e la possibile fiducia tradita), Mamer ha voluto precisare che “la richiesta dell’Ucraina e della Georgia è legittima e non è legata alle prospettive del Balcani Occidentali“. Tuttavia, “alla luce di quanto accaduto questa settimana, mi sembra ancora più evidente che il discorso dovrà riprendere in modo deciso e superando le attuali divisioni tra Stati membri”, ha aperto il portavoce della Commissione, sottolineando comunque che l’esecutivo comunitario ha sempre spinto con forza questo processo. Stiamo parlando di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia (più la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan). Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente da otto e dieci anni, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje. La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
    Per diventare un Paese membro dell’UE, il primo passo è la proposta formale di candidatura all’adesione (Georgia e Ucraina, in questo caso). Dopo il superamento dell’esame dei criteri di Copenaghen – le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche – si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente. A questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione e, una volta accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Sull’onda dell’invasione russa dell’Ucraina, il premier del Paese caucasico, Irakli Garibashvili, ha firmato la lettera per chiedere a Bruxelles di diventare membro dell’Unione Europea. La stessa richiesta è arrivata da Kiev il 28 febbraio

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    L’UE allestisce un hub umanitario in Romania per coordinare l’aiuto all’Ucraina, mentre continua l’avanzata russa

    Bruxelles – Arrivati all’ottavo giorno di invasione russa dell’Ucraina, la situazione nel Paese continua a peggiorare. Nella notte tra mercoledì (2 marzo) e giovedì (3 marzo) l’esercito di Mosca ha conquistato nel sud la città di Kherson, il primo grosso centro abitato dall’inizio dell’attacco, ma soprattutto in posizione strategica per l’avanzata verso i porti di Odessa e Mariupol, dove ora si aspettano le offensive da terra e da mare. I bombardamenti delle principali città ucraine, capitale Kiev compresa, continuano senza sosta, con un aggravamento della situazione sul fronte umanitario in Ucraina e alle frontiere dell’UE: secondo quanto riportato da Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero di profughi ha raggiunto il milione.
    È proprio questa una delle preoccupazioni più urgenti per l’Unione Europea – in parallelo con il sostegno totale all’Ucraina e le sanzioni alla Russia – e lo sta dimostrando con una serie di misure degli ultimi giorni. Oggi il Consiglio Affari Interni dovrebbe prendere con tutta probabilità la decisione di attivare la Direttiva europea sulla protezione temporanea, accogliendo la proposta della Commissione UE per garantire a tutte le persone in fuga dall’Ucraina lo status di rifugiati con una modalità accelerata (c’è solo il nodo, imbarazzante, dell’accoglienza ai cittadini di Paesi terzi). A questo si aggiunge la decisione di “allestire un hub di protezione umanitaria in Romania, in collaborazione con il governo”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di una conferenza stampa con il presidente rumeno, Klaus Iohannis. “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin non è solo un atto di compassione in tempo di guerra, ma è un dovere morale”, ha sottolineato con forza la leader dell’esecutivo UE, ringraziando la Romania per aver finora dato accoglienza a più di 150 mila rifugiati dall’Ucraina.

    Mentre si inaspriscono in tutto il mondo le sanzioni contro Mosca a partire dal coordinamento tra UE, Stati Uniti e Gran Bretagna – il procuratore generale della Corte penale internazionale dell’Aja, Karim Khan, ha accolto la richiesta di 39 Paesi di aprire un’indagine per crimini di guerra nei confronti dell’establishment russo per l’occupazione dell’Ucraina. Il focus principale saranno le violenze sui civili e coprirà gli otto anni che vanno dall’occupazione della Crimea alla guerra civile nel Donbass, fino all’invasione del territorio ucraino.
    Nel pomeriggio si attende il secondo round dei negoziati di pace tra le delegazioni ucraina e russa (su cui le aspettative sono quasi nulle), ma il mondo ha già preso una netta posizione contro la Russia. Ieri sera è stata votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la risoluzione che condanna l’aggressione dell’Ucraina con una maggioranza schiacciante: 141 voti a favore – tra cui anche la Serbia, tradizionale alleato di Mosca – 35 astenuti e solo 4 contrari (oltre alla Russia, anche Bielorussia, Eritra, Siria e Corea del Nord). Tra gli astenuti anche Cina e India, un segnale che, a differenza di quanto previsto dal Cremlino, gli alleati di Putin iniziano a scarseggiare e non hanno interessi a sostenerlo esplicitamente.

    Il numero di profughi dall’Ucraina ha raggiunto il milioni e l’Unione si prepara a dare assistenza a tutti quelli che stanno arrivando alle sue frontiere: “Proteggere le persone in fuga dalle bombe di Putin è un dovere morale”

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    La cyber guerra

    Da anni ormai i conflitti conoscono un nuovo campo di battaglia, quello informatico: fra i confini, da attaccare o difendere, sempre più spesso, rientra anche quello della cyber sfera e il recente attacco della Russia all’Ucraina non fa eccezione.
    Ma cosa si intende per cyberguerra e in che modo agisce? Il termine si riferisce all’utilizzo di attacchi elettronici per compromettere l’infrastruttura informatica di un avversario, danneggiandone l’economia e diffondendo un senso di insicurezza e vulnerabilità tra la popolazione. Non è un mistero che la Russia, più di altri Stati, abbia sempre usato la minaccia informatica per determinare e difendere il suo potere, e sicuramente, meglio di altri paesi, è riuscita a integrare il cyberspazio nella sua dottrina della “guerra ibrida”. Questo ovviamente è stato possibile anche grazie a una legislazione ambigua in materia e all’assenza di organi di controllo specifici riconosciuti.
    Quello che sorprende nell’analizzare il conflitto in atto, sotto la lente della cybersicurezza,  è il numero di gruppi che si stanno posizionando su una o sull’altra fazione. Secondo alcuni media che in queste ore stanno osservando la situazione, nel conflitto russo-ucraino ci sono due fazioni compatte: hacker russi di varia natura e affiliazione (con un ruolo predominante dell’intelligence militare), hacker bielorussi di regime, gruppi cybercriminali di matrice russa da un lato e  hacker ucraini e patriottici, cyberpartigiani bielorussi anti-Lukashenko, pezzi di hacktivism come Anonymous e GhostSec, dall’altro. In particolare, le cronache si sono concentrate sugli hacker russi del gruppo di Sandworm, a favore del Governo di Putin, e su quelli internazionali di Anonymous, apertamente a sostegno dell’Ucraina.
    La minaccia informatica è così importante per leggere questo conflitto nella sua complessità che l’inizio delle ostilità è stato preceduto da un azzeramento delle telecomunicazioni all’interno dell’Ucraina, mentre la presa di posizione di Anonymous con il conseguente blocco di siti strategici essenziali per la Russia – dal Cremlino alla Difesa, dall’agenzia spaziale agli organi di stampa – è la dimostrazione del potere che questi “cyber eserciti” possono esercitare all’interno delle politiche nazionali e sociali.
    Insomma, che il conflitto si combatta anche in rete è un’evidenza, non a caso dopo circa 24 ore dall’inizio della guerra il governo ucraino ha iniziato a reclutare volontari della comunità tech e hacker del Paese, ma anche dall’estero. La richiesta è stata non solo quella di contribuire a proteggere i sistemi nazionali, ma anche quella di condurre azioni contro i russi.
    Ma quali sono gli  attacchi informatici che vengono usati per combattere questa guerra digitale?  Uno di questi è il Distributed Denial of Service (DDos), una minaccia informatica tanto semplice da realizzare quanto efficace, poiché è in grado di mettere al tappeto un sito, un’azienda o intere infrastrutture critiche. Il DDos consiste nell’aumentare artificialmente il traffico verso un determinato sito, sovraccaricando il server e rendendolo così non accessibile agli utenti. Si è consumato così l’attacco del 23 febbraio scorso, diretto contro i siti del ministero ucraino degli Esteri, della Presidenza del consiglio dei ministri e del Parlamento. Simile a questo esiste anche il Telephone Denial Of service (TDos) un attacco informatico che, usando la medesima tecnica di mettere sotto pressione le linee telefoniche, è capace di interrompere le comunicazioni di una determinata area. Non mancano all’appello l’utilizzo di ransomware e phishing. I primi sono virus che possono bloccare l’accesso a un dispositivo o a un server richiedendo alle vittime di pagare un riscatto, mentre i secondi sono attacchi hacker in grado di sottrarre informazioni riservate. Interessante in questo senso l’annuncio di sostegno alla Russia lanciato via web dal team Conti – che usando l’omonimo ransomware ha fatto non pochi danni a enti pubblici, aziende sanitarie e imprese, anche in Italia. L’adesione non è certo stata una sorpresa visto che alcuni dei suoi componenti sarebbero basati in Russia e sembrerebbero collegati all’apparato di intelligence del Cremlino.
    Ma la domanda che ora tutti si pongono è se questo aspetto del conflitto potrà coinvolgere gli stati vicini. Italia compresa.
    Nicola Mugnato è co-founder di Gyala, startup che produce prodotti di cyber sicurezza

    Da anni ormai i conflitti conoscono un nuovo campo di battaglia, quello informatico: fra i confini, da attaccare o difendere, sempre più spesso, rientra anche questo e il recente attacco della Russia all’Ucraina non fa eccezione