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    I leader UE al lavoro sulla proposta della comunità politica europea. La palla nelle mani del presidente Charles Michel

    Bruxelles – Si mette in moto la macchina dell’Unione Europea sulle idee che circolano ormai da più di un mese nelle sedi delle istituzioni comunitarie. Nelle conclusioni del vertice dei leader UE ha trovato spazio anche la proposta della comunità politica europea, un tentativo di ridisegnare la politica di integrazione sul continente che superi l’attuale visione binaria dentro/fuori l’Unione.
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e della Francia, Emmanuel Macron (di spalle)
    Durante la prima giornata di Consiglio Europeo (giovedì 23 giugno) i Ventisette hanno tenuto una “discussione strategica” su come far evolvere il rapporto con i partner in Europa, partendo da quanto avanzato dal presidente francese, Emmanuel Macron, all’evento conclusivo della Conferenza sul Futuro dell’Europa del 9 maggio scorso (in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’UE). Si tratterebbe di “un’organizzazione che permetterà a nazioni europee democratiche che condividono gli stessi valori di trovare nuovo spazio di cooperazione politica, economica, energetica, di sicurezza, di trasporti, investimenti e infrastrutture, e di circolazione di persone”, aveva spiegato l’inquilino dell’Eliseo. E nel documento approvato questa notte dai Ventisette questa idea inizia a prendere corpo: l’obiettivo della comunità politica europea sarebbe quello di “offrire una piattaforma di coordinamento politico per i Paesi europei in tutto il continente“, in particolare con quelli con cui l’UE ha già “strette relazioni”.
    È evidente che sono profonde le implicazioni per il processo di allargamento che, come si è visto al vertice UE-Balcani Occidentali di ieri mattina a Bruxelles, sta rischiando di arrivare al capolinea per l’incapacità dell’Unione di rispettare le promesse fatte negli anni. Il presidente Macron aveva promesso che la creazione della comunità politica europea “aiuterà l’avvicinamento e lo faciliterà per chi vorrà proseguirlo, senza rendere obbligatoria l’adesione all’Unione” e proprio su queste basi sono arrivate le risposte positive di tutta la regione balcanica. Anche nel corso di una conferenza stampa particolarmente polemica, i tre leader dell’iniziativa Open Balkan – il premier albanese, Edi Rama, il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier macedone, Dimitar Kovačevski – si sono dimostrati tutti aperturisti su una proposta che “potrebbe essere l’unico modo per noi di essere ascoltati dai nostri colleghi dell’Unione”.
    Il quadro entro cui si dovrebbe iscrivere questa iniziativa “non sostituirà le politiche e gli strumenti dell’UE esistenti, in particolare l’allargamento“, specificano le conclusioni, “e rispetterà pienamente l’autonomia decisionale dell’Unione Europea”. Come fanno sapere fonti europee, la comunità politica europea si baserebbe su incontri regolari a livello di leader per creare uno spazio per le discussioni politiche e per contribuire alla “comprensione reciproca e a una cultura strategica comune”. A questo punto la palla passa nelle mani del presidente del Consiglio UE, Charles Michel, che sarà responsabile di portare avanti il progetto insieme alle presidenze di turno del Consiglio dell’UE, quella francese uscente e quella ceca in carica dal primo luglio. È proprio il presidente Michel il secondo maggiore sostenitore della proposta francese, che vorrebbe legare anche a una riforma del processo di adesione all’UE, che diventi “più rapido, graduale e reversibile”.

    Approdata in Consiglio l’idea del leader francese, Emmanuel Macron, di creare una piattaforma per promuovere il dialogo e la cooperazione “su questioni di interesse comune” con i Paesi europei “con i quali abbiamo strette relazioni”, attraverso incontri regolari tra leader

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    Perché Bulgaria e Macedonia del Nord non riescono a trovare una soluzione alla disputa che blocca l’adesione UE di Skopje

    Bruxelles – Raccolte le macerie del fallimento del vertice UE-Balcani Occidentali, per tutti i convenuti a Bruxelles è tempo di guardare oltre e capire quali sono le prospettive per mettere in salvo i resti del processo di allargamento dell’Unione nella regione. Senza entrare nel merito delle aspettative tradite su Kosovo e Bosnia ed Erzegovina (a cui solo in serata i leader UE hanno cercato di mettere una pezza), può essere utile capire in quale direzione può andare la questione del veto della Bulgaria all’apertura dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord, ma anche dell’Albania, che è legata a Skopje dallo stesso dossier. “Niente è mai facile per i Balcani Occidentali, ma penso che ci potrebbe essere una probabilità del 50, forse 60 per cento di una svolta entro la prossima settimana”, ha fatto sapere alla stampa il premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, a margine del vertice.
    Il primo ministro (sfiduciato) della Bulgaria, Kiril Petkov (23 giugno 2022)
    Ciò a cui si riferisce Rutte è il voto del Parlamento bulgaro sulla proposta francese per risolvere la disputa sull’avvio dei negoziati: questo pomeriggio la commissione Esteri ha dato il via libera e domani (venerdì 24 giugno) si svolgerà la decisiva votazione della sessione plenaria. Contro la proposta del presidente francese, Emmanuel Macron – che prevede di inserire buona parte delle richieste bulgare nel quadro dei negoziati a livello UE – si sono schierati i socialisti di BSP, i nazionalisti filo-russi di Vazrazhdane e il movimento populista fondato dallo showman Slavi Trifonov C’è un popolo come questo (ITN), co-responsabile della caduta del governo guidato da Kiril Petkov e del voto di sfiducia arrivato ieri (mercoledì 22 giugno). Proprio la sfiducia all’esecutivo da parte del Parlamento di Sofia ha impedito di arrivare a una rimozione immediata del veto bulgaro già al vertice UE-Balcani Occidentali di questa mattina. A favore della scelta di affidare in extremis allo stesso primo ministro sfiduciato il mandato di negoziare a Bruxelles lo sblocco dei negoziati sull’adesione della Macedonia del Nord sono il partito Noi continuiamo il cambiamento di Petkov, Il Movimento dei Diritti e delle Libertà (minoranza turca) e i conservatori di GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) dell’ex-premier Boyko Borissov.
    “Abbiamo messo pressione sulla Bulgaria, con la proposta di integrare richieste compatibili con ciò che la Macedonia del Nord può rispettare“, ha spiegato in conferenza stampa il presidente francese Macron. “Nelle prossime ore dobbiamo aspettarci che il Parlamento bulgaro voti sulla strada europea comune che abbiamo concordato” e, se questo avverrà, “possiamo ritornare al Coreper [gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio, ndr] e sbloccare i negoziati”, ha precisato Macron. Il problema a Sofia è che quasi nessun partito vuole assumersi una responsabilità storica di fronte all’elettorato, in vista di probabili elezioni anticipate. Nonostante il gabinetto Petkov si sia speso per trovare una soluzione alla disputa storico-culturale con Skopje, è compito del Parlamento prendere posizione sulla revoca del veto. Secondo l’ormai ex-premier bulgaro, l’opposizione ha utilizzato la questione macedone per ricattare l’esecutivo ogni volta che si poneva il rischio di mettere in luce i casi di corruzione del precedente gabinetto Borissov, definito da Petkov alla stampa europea “la persona più disonesta che conosca”.
    Il primo ministro della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski (23 giugno 2022)
    Dall’altra parte della barricata, sponda macedone, il premier Dimitar Kovačevski ha messo in chiaro quali sono le linee rosse di Skopje sulla proposta francese, che “deve garantire alcuni elementi-chiave imprescindibili”. Nel corso della conferenza stampa congiunta con il premier albanese, Edi Rama, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, Kovačevski ha sottolineato che ci deve essere un “chiaro riconoscimento della lingua e dell’identità macedone nel quadro negoziale” a livello UE e che “le questioni storiche non possono essere criteri vincolanti”. Con particolare enfasi, il primo ministro macedone ha messo in chiaro che “i negoziati tra Skopje e l’Unione devono essere avviati prima dell’inizio della procedura per i cambiamenti costituzionali” per l’inclusione nel preambolo della Costituzione macedone di “bulgari, croati e montenegrini come minoranze tutelate al pari delle altre”. Dovranno essere fornite “forti garanzie dalla Bulgaria e dall’UE che Sofia non farà nuove richieste vincolanti su quanto dovrà essere concordato sul quadro negoziale e sul protocollo bilaterale” e che “qualsiasi soluzione dovrà passare dalla consultazione e dall’accordo con le istituzioni macedoni”.
    La cause della disputa
    È dalla fine del 2020 che la Bulgaria ha posto il veto all’adesione UE della Macedonia del Nord per questioni di natura storico-culturale e identitaria, che spaziano dai padri fondatori delle due nazioni alla lingua in uso. Tre anni prima, il primo agosto 2017, era stato firmato il Trattato di amicizia tra i due Paesi, che aveva istituito una commissione accademica congiunta per valutare eventi storici comuni e questioni identitarie controverse. Coincidenza ha voluto che la firma arrivasse a un giorno dell’anniversario della rivolta di Ilinden del 1903, l’insurrezione anti-ottomana che è il caposaldo dell’identità nazionale di entrambi i Paesi (anche se per Skopje sarebbe più corretto riferirsi agli slavo-macedoni, la componente maggioritaria di una società multietnica composta anche di minoranze consistenti di albanesi, serbi, turchi e rom).
    La questione identitaria è dominante nella disputa tra Bulgaria e Macedonia del Nord. Sofia non riconosce l’esistenza di una nazione macedone distinta da quella bulgara, negando la possibilità di utilizzare l’attributo ‘macedone’ in ogni aspetto socio-culturale. Ne deriva di conseguenza l’opposizione al riconoscimento dell’esistenza di una minoranza macedone sul proprio territorio, o di una bulgara in Macedonia del Nord, dal momento in cui si tratterebbe dello stesso popolo (anche se Sofia esige che venga inserita nel preambolo della Costituzione macedone, tra i popoli costituenti). Questa intransigenza si riflette anche in ambito linguistico: secondo il governo di Sofia la lingua macedone altro non è che un dialetto del bulgaro, artificialmente elevato a lingua sotto il regime di Tito (tra il 1944 e il 1991 la Repubblica Socialista di Macedonia era una delle sei repubbliche della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia).
    La storia – come spesso accade – è fonte delle divisioni più dure tra Sofia e Skopje. Se non esiste un’identità macedone nel presente, non poteva esistere nemmeno nel passato: è così che entrambi i Paesi sostengono di essere eredi esclusivi di alcuni personaggi storici, in particolare Goce Delčev, il patriota che ha dato il via all’insurrezione balcanica anti-ottomana del 1903. Qualche decennio prima, il territorio macedone era stato acquisito dal neonato regno di Bulgaria con il trattato di Santo Stefano, stipulato dopo la guerra russo-turca (1877-78), ma con la seconda guerra balcanica del 1913 era divenuto parte del Regno dei Serbi (poi Regno dei Serbi, Croati e Sloveni al termine della prima guerra mondiale). In virtù di tutte queste considerazioni, Sofia si rifiuta categoricamente di considerare come un’invasione la sua occupazione militare del territorio macedone nel maggio del 1941, quando la Bulgaria monarchica era alleata della Germania nazista. Il motivo è sempre lo stesso: non esiste una nazione macedone distinta da quella bulgara e, al tempo, si trattava di un territorio sottratto alla Bulgaria ingiustamente.

    Quali sono le cause della disputa storico-culturale tra Sofia e Skopje che dal 2020 sono alla base del veto bulgaro sull’apertura dei negoziati di adesione macedone (e albanese) all’UE. Si guarda ai prossimi giorni per una svolta, le cui possibilità di riuscita vengono date al 50/60 per cento

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    Il vertice dell’UE aggiorna l’agenda per l’Ucraina: ulteriore sostegno militare, ricostruzione e attuazione delle sanzioni

    Bruxelles – Sostegno militare, che deve arrivare fin da subito dagli Stati membri. Sostegno alla ricostruzione, che deve partire dalla strategia della Commissione europea, fermezza sulle sanzioni. I leader dell’UE aggiornano l’agenda politica sull’Ucraina. Le conclusioni adottate dai Ventisette riuniti a Bruxelles non si limitano alla decisione storica di riconoscere lo status di Paese candidato, che avvia un percorso di lungo periodo in termini di riforme e rispetto delle condizioni richieste. C’è soprattutto un percorso per l’immediato, che parte da “ulteriore sostegno militare”.
    I capi di Stato e di governo ribadiscono una volta di più che il blocco a dodici stelle “resta fermamente impegnata a fornirlo” per aiutare l’Ucraina a esercitare “il suo diritto intrinseco all’autodifesa” contro l’aggressione russa e a difendere la propria integrità territoriale e sovranità. Per questo motivo i leader invitano i ministri responsabili a “lavorare rapidamente per un ulteriore aumento del sostegno militare”.
    Sempre nell’immediato, serve non avere indecisioni sul percorso sanzionatorio intrapreso fin qui quale risposta all’aggressione russa. Quindi “proseguiranno i lavori sulle sanzioni, anche per rafforzare l’attuazione e prevenire l’elusione”. In questa ottica i leader invitano “tutti i paesi ad allinearsi” con le sanzioni dell’UE, “in particolare i paesi candidati”, vale a dire Turchia (dal 1999), Macedonia del Nord (dal 2004), Montenegro (dal 2010), Serbia (dal 2012) e Albania (dal 2014), e ovviamente Ucraina e Moldova.

    PM Orbán: We say yes to peace, but say no to more sanctions. Besides the war in Ukraine, the main cause of economic problems are the sanctions. We need peace now, not more sanctions, as the only antidote to war inflation is peace.
    — Zoltan Kovacs (@zoltanspox) June 23, 2022

    L’Ungheria tiene però a precisare che oltre il sesto pacchetto di sanzioni Budapest non intende spingersi. “Sì alla pace, no a più sanzioni”, la posizione espressa da Viktor Orban ai partner. “Oltre alla guerra in Ucraina, la principale causa di problemi economici sono le sanzioni. Abbiamo bisogno di pace ora, non di più sanzioni, poiché l’unico antidoto all’inflazione di guerra è la pace”.
    I leader non sembrano intenzionati a discutere di nuove sanzioni, ma di rendere il più efficaci possibili quelle già concordate. Per questo “dovrebbero essere rapidamente finalizzati i lavori sulla decisione del Consiglio che aggiunge la violazione delle misure restrittive dell’Unione all’elenco dei reati dell’UE“. Questo per l’immediato futuro. Per quello prossimo serve un’Ucraina tutta nuova. Perciò il Consiglio invita “la Commissione a presentare rapidamente le sue proposte sul sostegno dell’UE alla ricostruzione dell’Ucraina, in consultazione con partner, organizzazioni ed esperti internazionali”.
    Non solo ulteriore sostegno militare, dunque. Difesa, determinazione, ricostruzione. Questi gli imperativi che i leader dell’UE si sono imposti per aiutare l’Ucraina.

    I leader danno istruzioni a ministri, commissari europei e Paesi candidati. Ma Budapest frena su nuove restrizioni: “Sì alla pace, no alle sanzioni”

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    Questa volta è un fallimento su tutta la linea. L’UE non riesce a rispettare nessuna promessa ai Balcani Occidentali

    Bruxelles – C’è un limite anche all’ottimismo esibito. E al vertice UE-Balcani Occidentali del 23 giugno 2022 è stato superato abbondantemente. Sia chiaro, non è una questione nuova, né inedita, ma a forza di fare promesse e di non rispettarle, prima o poi ci si deve aspettare che la frustrazione si trasformi in disillusione. Dopo anni di negoziati, incontri bilaterali, vertici di alto livello in cui è stata portata avanti la “prospettiva europea” e l’inevitabile “prospettiva dell’adesione” all’Unione per i sei Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), il summit di Bruxelles che avrebbe dovuto imprimere una svolta all’inerzia nel processo di allargamento UE nella regione si è dimostrato un nuovo fiasco. Come quello dello scorso anno in Slovenia, ma più grave, perché è passato un altro anno e perché intanto è scoppiata una guerra sul continente europeo.
    Il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, con il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e della Commissione, Ursula von der Leyen (23 giugno 2022)
    Il fallimento dei Ventisette nei confronti dei Balcani Occidentali si è concretizzato nell’assenza: di progressi su tutti i dossier in agenda, di una dichiarazione conclusiva, di una conferenza stampa al termine del vertice (giustificata dai portavoce del Consiglio con i ritardi della riunione e con l’inizio a stretto giro del vertice dei leader UE). “Sono stati politicamente intelligenti a non presentarsi alla stampa, si sentivano male per quello che è successo dopo essersi spesi tanto, ma c’è qualcosa di guasto nel processo”, ha attaccato il premier albanese, Edi Rama, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski (che sarebbe dovuta essere parallela a quella dei vertici delle istituzioni comunitarie).
    Oggi si parla di fallimento e non più di fiasco perché gli intensi sforzi degli ultimi mesi per risolvere lo stallo del veto bulgaro all’avvio dei negoziati di adesione all’UE della Macedonia del Nord (e dell’Albania, legata dallo stesso dossier) non hanno prodotto, ancora, nessun risultato concreto. Le speranze di una revoca immediata al veto – che a causa della regola dell’unanimità in Consiglio sta bloccando tutto il processo di adesione – durante il vertice era iniziata a tramontare già ieri, con il voto di sfiducia al governo bulgaro guidato da Kiril Petkov, ma ancora rimanevano delle speranze sul voto favorevole del Parlamento per consegnare in extremis allo stesso primo ministro sfiduciato il mandato di negoziare a Bruxelles lo sblocco dei negoziati sull’adesione di Skopje. Niente di tutto questo è successo e nei confronti di Sofia sono arrivati duri attacchi dai leader balcanici. “Sono passati quasi 18 anni dalla nostra candidatura, ma siamo ancora qui fermi, è un serio problema per la credibilità dell’Unione“, è stato il commento secco del premier macedone, mentre l’omologo albanese ha sottolineato che “anche cambiare nome per la Macedonia non è stato abbastanza [in riferimento all’accordo del 2018 con la Grecia sul cambio di nome in Macedonia del Nord, ndr], pensate se dovessero farlo Francia o Italia per entrare nell’UE”. Secondo Rama, “bisogna dire la verità, la Bulgaria è una disgrazia, ma è solo l’espressione più evidente di un processo di allargamento ormai guasto“.
    Se il biasimo è indirizzato contro Sofia, il “dispiacere” è tutto per l’Unione Europea, “incapace di liberare due ostaggi, che sono anche membri NATO, dalla Bulgaria, proprio nel giorno che chiamano storico”, ha continuato nel suo affondo il premier albanese. “Mentre nel cortile d’Europa c’è la guerra, dentro ci sono 26 Paesi impotenti“, con riferimento alla guerra russa in Ucraina che “ha dimostrato che le minacce non sono teoriche, ma reali”. L’invasione dell’Ucraina ha invece portato “molti problemi” alla Serbia, come ha sottolineato il presidente Vučić: “Non nascondo che c’è stata molta pressione sulla questione del nostro rapporto con la Russia“, in particolare per il non-allineamento alle sanzioni internazionali. Facendo un riferimento implicito alla questione energetica – per cui il Paese si vedrà quasi sicuramente tagliare i rifornimenti di petrolio russo in transito via oleodotto dalla Croazia – il leader serbo ha avvertito che “speriamo di rivederci a dicembre con uno spirito più positivo, ma dovremo superare l’inverno“. Uno strappo sulla questione delle sanzioni è arrivato invece da Tirana: “Non capisco perché Bruxelles voglia spingere così tanto con un Paese che al momento non potrebbe impegnarsi fino a questo punto, senza avere contraccolpi pesanti a livello sociale”, ha dichiarato un po’ a sorpresa Rama, facendo notare che “in Serbia la popolarità di Putin è all’80 per cento, ma Belgrado ha comunque condannato l’aggressione”.
    Un altro fallimento del vertice UE-Balcani Occidentali è stato sul fronte del Kosovo. Per l’ennesima volta non è stato trovato un accordo tra i Paesi membri sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, nonostante la Commissione abbia già riconosciuto da tempo che Pristina ha soddisfatto tutte le richieste: “Sono ancora in ostaggio, sono l’unico popolo sul suolo europeo che non può muoversi liberamente“, ha riassunto il problema il premier albanese, molto vicino alle posizioni di Pristina: “Ai tempi della Jugoslavia potevano viaggiare anche a Berlino, oggi invece no. È assurdo e impensabile”. Intanto si levano anche malumori sullo stato della Bosnia ed Erzegovina, ferma alla domanda di adesione del 2016, e che proprio oggi senza troppe sorprese sarà sorpassata da destra da Ucraina e Moldova (i leader UE dovrebbero raggiungere l’unanimità sulla concessione dello status di Paesi candidati). Nessun passo avanti sulla proposta di Slovenia, Croazia e Austria di concedere anche a Sarajevo lo status di candidato all’adesione. Per i tre leader balcanici la soluzione al momento è l’iniziativa Open Balkan, “la nostra idea per prenderci cura della nostra regione, senza essere frenati dall’esterno”, come ha rivendicato Vučić. “Ho chiesto il supporto inequivocabile, ma qui a Bruxelles sono divisi anche su quello che facciamo tra di noi“, ha continuato il suo affondo ai Ventisette Rama.
    L’unica prospettiva positiva per la regione al momento rimane la proposta del presidente francese, Emmanuel Macron, di creare una comunità politica europea per rendere più flessibile la cooperazione nel continente europeo e superare la visione binaria dentro/fuori dell’attuale processo di allargamento. “Può essere una piattaforma per il dialogo, ma non può sostituire l’adesione all’UE“, ha precisato il premier Kovačevski, mentre il presidente Vučić ha messo in chiaro che “questa proposta potrebbe essere l’unico modo per noi di essere ascoltati dai nostri colleghi UE”. A riassumere gli umori generali ci ha pensato, di nuovo, il premier Rama: “Dobbiamo supportare l’idea di Macron sugli obiettivi strategici comuni, intanto accettiamo la comunità politica europea per essere insieme nella stessa famiglia, magari nel prossimo secolo saremo anche membri dell’Unione Europea”.

    Anche nel 2022 il summit tra i leader dell’Unione e dei sei Paesi balcanici si chiude con un nulla di fatto. Ma questa volta i malumori nella regione per lo stallo sono espliciti: “La Bulgaria è una disgrazia, ma è solo l’espressione più evidente di un processo di allargamento ormai guasto”

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    Il Bulgaria il governo Petkov è stato sfiduciato. Appese a un filo le speranze di revoca immediata al veto su Skopje nell’UE

    Bruxelles – Non è ancora un naufragio, ma poco ci manca. Con il voto di sfiducia da parte del Parlamento della Bulgaria al governo guidato da Kiril Petkov, si allontanano le speranze per una revoca immediata del veto di Sofia all’avvio dei negoziati per l’adesione UE della Macedonia del Nord (e dell’Albania), possibilmente già durante il vertice UE-Balcani Occidentali di oggi a Bruxelles.
    Il primo ministro della Bulgaria, Kiril Petkov
    Il voto di sfiducia al governo è arrivato nel tardo pomeriggio di ieri (mercoledì 22 giugno) ed è stata una prima volta nella storia politica della Bulgaria: mai nessun esecutivo era caduto in questo modo. A mettere fine a un’esperienza di governo di soli sei mesi sono stati 123 deputati contro 116, complici le divergenze sul bilancio, la linea dura contro la Russia di Putin e anche la disputa sulla proposta francese di far decadere il veto all’avvio dei negoziati di adesione UE per Skopje, inserendo le richieste bulgare nel quadro degli stessi negoziati. A Bruxelles si temeva che fosse l’esecutivo macedone a rischio (ancora molto probabile) e invece a cadere per primo è stato il governo Petkov, che in questi mesi si è speso per trovare una soluzione alla disputa storico-culturale tra Sofia e Skopje con più decisione rispetto al precedente governo di Boyko Borissov, responsabile del veto nel dicembre 2020.
    A proposito dell’ex-premier Borissov, il suo partito conservatore GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) prima del voto di sfiducia ha voluto precisare che se tornerà al governo sosterrà la revoca del veto ai negoziati con Macedonia del Nord e Albania, rinfocolando l’ultima fiammella di speranza che il processo di allargamento UE non sia davvero arrivato al capolinea. Ma per i due Paesi che attendono rispettivamente da 17 e 8 anni di ottenere la luce verde all’apertura dei capitoli negoziali con l’Unione, credere ancora solo alle promesse per il futuro non è più sufficiente. Ecco perché la destituzione del governo Petkov in Bulgaria rischia di essere un colpo durissimo non solo per la regione balcanica, ma anche per gli altri 26 Paesi membri dell’UE che puntavano al vertice di oggi per dare uno scossone al processo di allargamento.
    La svolta dei Ventisette rispetto all’attendismo generale è arrivata dopo l’invasione russa dell’Ucraina, con la dimostrazione di cosa potrebbe implicare una destabilizzazione su scala maggiore nella penisola balcanica. Oltre alle decisioni che i leader UE dovranno prendere sulle richieste di adesione di Ucraina, Moldova e Georgia, le speranze della vigilia per il vertice UE-Balcani Occidentali – programmato nella stessa giornata del Consiglio – erano rappresentate da qualche risultato concreto che dimostrasse il nuovo approccio dell’Unione alla politica nella regione.
    L’accordo che Petkov era pronto a trovare con il governo macedone di Dimitar Kovačevski poteva essere la punta di diamante di questa strategia, che potrà ancora realizzarsi solo se il Parlamento bulgaro dovesse dare in extremis allo stesso primo ministro sfiduciato il mandato di negoziare a Bruxelles lo sblocco dei negoziati sull’adesione della Macedonia del Nord. “Esortiamo il Parlamento della Bulgaria e tutti i partiti a rispettare il loro impegno e a mettere la proposta sulla Macedonia del Nord e l’Albania all’ordine del giorno, per approvarla oggi come proposto“, ha esortato in un tweet il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “L’opposizione di GERB di Boyko Borissov ha già dato prova di leadership presentando la proposta sul tavolo”, ha aggiunto il commissario, sottolineando che “abbiamo bisogno che tutti facciano lo stesso, l’UE deve muoversi“.

    We urge 🇧🇬 Parl & all parties to fulfill their engagement & to put the proposal on 🇲🇰 & 🇦🇱 on agenda of Parl for approval today as proposed. Opposition #GERB @BoykoBorissov already showed leadership by putting the proposal on table. We need everybody to do same. EU needs to move.
    — Oliver Varhelyi (@OliverVarhelyi) June 23, 2022

    La mozione di sfiducia all’esecutivo bulgaro è stata presentata da GERB, dopo che il movimento populista fondato dallo showman Slavi Trifonov C’è un popolo come questo (ITN) era passato all’opposizione, accusando Petkov di non aver tenuto conto degli interessi della Bulgaria durante i colloqui con Skopje, sotto la pressione degli alleati dell’UE e della NATO. Oltre a GERB e ITN – fatta eccezione per alcuni fuoriusciti – hanno votato a favore della sfiducia anche i centristi di Movimento per i Diritti e le Libertà (MRF) e i nazionalisti filo-russi di Vazrazhdane. A questo punto, se le consultazioni per la formazione di un nuovo governo non daranno risultati positivi, il presidente della Repubblica, Rumen Radev, dovrà indire nuove elezioni entro due mesi. Nel frattempo, fino a quando non verrà nominato un esecutivo provvisorio o non si troverà una nuova intesa di governo, Petkov rimarrà in carica per svolgere l’ordinaria amministrazione e per tentare di trovare i sei deputati che servono per formare una nuova maggioranza. Tutte opzioni al momento improbabili, per cui ci si aspetta che la Bulgaria si appresti ad affrontare la quarta tornata elettorale dall’aprile dello scorso anno.

    L’esecutivo in carica da soli sei mesi è stato destituito dopo il voto di sfiducia. Il maggiore partito di opposizione GERB promette di sostenere lo sblocco dei negoziati di adesione con Macedonia del Nord (e Albania), mentre si attende il voto del Parlamento sulla proposta

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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina

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    Monta il ‘caso Kaliningrad’ a Bruxelles. I leader UE discuteranno delle conseguenze dello stop a export da Mosca

    Bruxelles – Sotto le pesanti minacce del Cremlino di ritorsioni “pratiche, più che diplomatiche” contro la Lituania, si alza l’allarme nell’Unione Europea sulla questione dello stop alle esportazioni di Mosca per le merci colpite dalle sanzioni internazionali dirette verso l’exclave russa di Kaliningrad. Come fanno sapere fonti UE, il caso sarà portato sul tavolo dei Ventisette, che si riuniranno domani (giovedì 23 giugno) a Bruxelles per il Consiglio Europeo.
    Secondo quanto riferito dalle stesse fonti, il transito verso Kaliningrad di carbone, metalli, legno, cementi, tecnologie avanzate e altre merci sottoposte a misure restrittive “è nella lista delle sanzioni”, ma deve essere tenuta in considerazione la “continuità territoriale con la Russia”. Per questo motivo la Commissione Europea è stata invitata a “fornire un aggiornamento delle linee-guida alla Lituania nelle prossime 24 ore”, mentre dovranno essere “studiati tutti i dettagli” prima delle discussioni tra i capi di Stato e di governo dell’UE, anche per quanto riguarda la “chiara” solidarietà alla Lituania sulle minacce russe: “Alcune delegazioni hanno espresso la volontà di non entrare nel merito” del caso, hanno precisato funzionari europei.
    Nel frattempo, dalla Commissione sono arrivate chiare indicazioni su quanto sta succedendo tra la Lituania e l’exclave russa di Kaliningrad (con le merci in transito dalla Bielorussia, alleata di Mosca). Come spiegato in un lungo thread su Twitter dal portavoce dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, la posizione del gabinetto von der Leyen è chiara: “La Lituania sta attuando le misure restrittive dell’Unione Europea imposte all’unanimità alla Russia dal Consiglio negli ultimi mesi”. Non si tratta di un blocco a tutte le merci in arrivo dalla Russia (a cui Kaliningrad appartiene politicamente) – considerato che “l’approvvigionamento dei beni essenziali non è ostacolato” – ma l’applicazione “dopo un breve periodo di transizione” delle sanzioni contro “specifiche esportazioni russe”, ha puntualizzato Mamer.
    Tutto questo significa che la Lituania “deve applicare controlli aggiuntivi sul transito stradale e ferroviario attraverso il territorio dell’UE”, che siano “mirati, proporzionati ed efficaci”. Tali controlli si baseranno su “una gestione intelligente del rischio, per evitare l’evasione delle sanzioni e consentire al contempo il libero transito” dei beni non soggetti alle sanzioni internazionali. Come spiegato dal portavoce, la Commissione rimane “in stretto contatto” con le autorità lituane e fornirà “ulteriori indicazioni man mano che procederemo” con l’analisi della situazione e delle minacce in arrivo dal Cremlino

    In view of the frequent questions related to the transit of goods through Lithuania towards Kaliningrad, here a thread on the Commission’s position. (1/6)
    — Eric Mamer (@MamerEric) June 22, 2022

    Dopo le minacce di ritorsioni dal Cremlino, la questione del divieto di transito sul territorio della Lituania alle merci sottoposte alle sanzioni arriverà sul tavolo del Consiglio. La Commissione precisa che “non è ostacolato l’approvvigionamento di beni essenziali”

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    Serbia e Kosovo hanno raggiunto a Bruxelles un’intesa per l’attuazione degli accordi in ambito energetico

    Bruxelles – Piccoli passi di disgelo sulla strada del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’UE. I negoziati a livello tecnico condotti oggi (martedì 21 giugno) a Bruxelles tra i capi-negoziatori di Kosovo, Besnik Bislimi, e Serbia, Petar Petković, hanno prodotto un’intesa per una tabella di marcia che fissa obiettivi specifici per l’attuazione degli Accordi sull’energia del 2013 e del 2015, finora attuati solo parzialmente.
    Come rilevato dal Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE), l’importanza di questa intesa sulla roadmap per l’energia riguarda il fatto che i due accordi siglati da Serbia e Kosovo presentavano “elementi rilevanti ancora in sospeso”. Dopo mesi di tensione tra Pristina e Belgrado, questo primo – parziale – gesto di riavvicinamento è considerato da Bruxelles “un passo avanti nella normalizzazione delle relazioni, a beneficio di tutti i cittadini“, che dovrebbe dare la spinta per “compiere progressi in tutte le altre attività di attuazione ancora in sospeso”. Tra queste c’è anche quella relativa alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, e che al momento Pristina non vuole riconoscere (non rispettando così l’accordo del 2013).

    Good news from the #Brussels-led 🇽🇰 – 🇷🇸 #Dialogue.
    After the year of tensions, we’ve a concrete Action Plan on the implementation of 2013 Energy provisions that will facilitate the energy situation in North of Kosovo. Full trust in @MiroslavLajcak to keep up with the progress. https://t.co/WBV0vPVRFr
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) June 21, 2022

    L’ottimismo di Bruxelles non è ingiustificato, dal momento in cui l’intesa sull’energia siglata tra Serbia e Kosovo riguarda proprio uno dei punti più controversi del rapporto tra i due Paesi balcanici: la fornitura di elettricità alle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. L’accordo garantisce a Elektrosever (società di proprietà serba stabilita in Kosovo e soggetta alla legge kosovara) di operare nelle quattro municipalità settentrionali, “aprendo la strada verso la fine dell’attuale pratica non trasparente e non regolamentata“. Il segretariato della Comunità dell’Energia sarà incaricato di monitorare l’attuazione tecnica dell’accordo commerciale tra Elektrosever e KEDS, la società kosovara di distribuzione dell’energia. Dal 2008 – dopo la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – queste quattro municipalità hanno goduto di un regime non legale di gratuità dalle bollette dell’energia elettrica, il cui deficit è stato coperto fino al 2017 dai contribuenti del resto del Paese e che ha aperto la strada fino all’inizio di quest’anno a un’intensa attività di estrazione di criptovalute.
    Particolare soddisfazione per l’accordo tra Serbia e Kosovo sulla tabella di marcia per l’energia è stata espressa dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una conversazione telefonica con il premier kosovaro, Albin Kurti, e con il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Si tratta di un grande e importante passo in avanti nel dialogo facilitato dall’UE e porterà a risultati concreti per tutti i cittadini”, ha ribadito Borrell, dicendosi “fiducioso” di continuare a lavorare sui prossimi obiettivi dell’intesa tra i due Paesi.

    Spoke to @avucic and @albinkurti to congratulate them on reaching an agreement on the energy roadmap today.
    This is a big & important step forward in the EU-facilitated Dialogue and will deliver concrete results for all citizens. We look forward to continue working on next steps https://t.co/5r2jS0SX8n
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 21, 2022

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    All’interno del dialogo facilitato dall’Unione Europea, i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado hanno concordato la tabella di marcia che specifica anche obblighi e diritti per la fornitura di elettricità alle quattro municipalità settentrionali del Kosovo a maggioranza serba