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    Bruxelles pensa a una missione di addestramento per l’esercito di Kiev

    Bruxelles – Non più solo materiale militare. A Bruxelles prende forma l’idea di fornire aiuto di tipo organizzativo e addestramento alle forze armate ucraine contro l’invasione della Russia. L’Unione europea vuole organizzare una vera missione di “addestramento e assistenza” all’esercito ucraino, ne discuteranno lunedì prossimo a Praga i ministri della difesa dei Paesi membri Ue riuniti in un Consiglio informale e “spero che la proposta venga approvata”. A riferirlo oggi (22 agosto) l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, parlando in una conferenza stampa a margine dell’annuale seminario ‘Quo Vadis Europa?’, che si tiene in questi giorni a Santander, in Spagna.

    📹 Follow LIVE the press conference of HR/VP @JosepBorrellF and @uimp rector @carlosandradas.
    🇪🇺🌐 They will introduce the course ‘#QuoVadisEuropa: the birth of geopolitical Europe’ that is taking place this week in #Santander.https://t.co/5dLy5CYJiC
    — European External Action Service – EEAS 🇪🇺 (@eu_eeas) August 22, 2022

    Quella avviata dalla Russia lo scorso 24 febbraio ai danni dell’Ucraina “non è una guerra piccola, già dieci milioni di ucraini sono stati costretti a lasciare la propria casa”, ha osservato Borrell, precisando che la missione – al netto di un via libera da parte dei ministri – non sarà organizzata in Ucraina, ma nei Paesi vicini. Il capo della diplomazia europea ha poi definito “ragionevole” l’idea di fornire sostegno all’addestramento militare di Kiev. “Gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa, con i suoi stati membri, stanno fornendo materiale militare all’Ucraina e il relativo addestramento necessario per usarlo”, ha detto Borrell. Ha ricordato che l’Unione Europea già organizza 17 missioni di addestramento militare sparse per il mondo. “Lo abbiamo fatto in Mali, in Niger, nel Ciad e stiamo iniziando ora in Mozambico. E’ ragionevole che una guerra che sta durando richieda non solo uno sforzo per la fornitura dei materiali (militari) ma anche per l’addestramento e l’aiuto all’organizzazione”, ha aggiunto.
    La questione sarà politicamente affrontata la prossima settimana all’informale di Praga, ma non si è fatta attendere molto la risposta del Cremlino alla proposta anticipata oggi dall’alto rappresentante Ue.”Bisogna dire le cose come stanno: l’Unione europea allestirà dei campi per addestrare terroristi e i militanti del regime di Kiev”, ha accusato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, come riferito dall’agenzia di stampa russa Tass. “Anche cento anni fa gli europei non capirono subito cosa fosse il fascismo. Poi hanno capito ma era troppo tardi”, ha aggiunto.

    Da organizzare nei Paesi vicini all’Ucraina. Per l’alto rappresentante UE “è ragionevole” pensare di fornire sostegno sul piano organizzativo, non solo militare per una guerra che continua a protrarsi. Il tema sarà sul tavolo del Consiglio informale della difesa che si terrà a Praga la prossima settimana e la Commissione Ue spera nel via libera alla proposta

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    I tentativi dell’Unione europea per salvare l’accordo sul nucleare con l’Iran

    Bruxelles – Un accordo per superare le divergenze tra Stati Uniti e Iran e salvare l’accordo sul nucleare iraniano sembra più vicino. L’Unione europea “sta studiando, insieme ai suoi partner” internazionali la risposta che Teheran ha inviato ieri sera (15 agosto) al “testo finale” proposto da Bruxelles alla fine di luglio per salvare lo storico accordo sul nucleare del 2015. E superare oltre un anno di stallo nei negoziati tra Stati Uniti e Iran.
    La conferma che Bruxelles ha ricevuto la risposta del governo iraniano è arrivata questa mattina da un portavoce dell’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. “Stiamo studiando (la risposta, ndr) e ci stiamo consultando con gli altri partecipanti al JCPOA (l’accordo del 2015, il ‘Joint Comprehensive Plan of Action’) e gli Stati Uniti sulla strada da percorrere”, ha chiarito il portavoce dell’esecutivo, senza commentare le tempistiche sulla risposta da parte dell’Ue o fornire dettagli sul contenuto della controproposta.
    Lo storico accordo risale al 2015 ed era stato concluso tra l’Iran da un lato e Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Francia, Germania e Russia, dall’altro. Si tratta di un accordo politico (non legalmente vincolante) e prevedeva una limitazione alla capacità dell’Iran di sviluppare la tecnologia utile alla creazione di armi nucleari, vedendo riconosciuto in cambio un alleggerimento delle sanzioni internazionali imposte all’economia iraniana. Un tentativo di placare il timore di molti Paesi occidentali che il governo di Teheran potesse usare il programma nucleare per lavorare armi nucleari. L’intesa è saltata appena tre anni dopo. Nel 2018, l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’uscita unilaterale dall’accordo e la ripresa di alcune sanzioni economiche da parte di Washington (anche nel settore petrolifero), che hanno spinto Teheran a venire meno agli obblighi dell’accordo circa un anno dopo, superando il tasso di arricchimento dell’uranio autorizzato e arrivando nel 2021 a produrre uranio arricchito (utile per la produzione di energia nucleare) al 60 per cento.
    “Ciò che può essere negoziato è stato negoziato ed è ora in un testo finale. Ma dietro ogni questione tecnica e ogni paragrafo si cela una decisione politica che deve essere presa nelle capitali”, scriveva l’alto rappresentante Borrell lo scorso 8 agosto, annunciando di aver consegnato il testo finale della proposta nelle mani di Usa e Iran, nel tentativo di mediare un accordo.

    What can be negotiated has been negotiated, and it’s now in a final text.
    However, behind every technical issue and every paragraph lies a political decision that needs to be taken in the capitals.
    If these answers are positive, then we can sign this deal.
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) August 8, 2022

    Dopo mesi di stallo, i colloqui sono ripresi lo scorso 4 agosto in Austria, a Vienna, per salvare l’accordo sotto l’egida dell’UE. Se Washington si è detta pronta a siglare l’accordo mediato da Bruxelles in tempi rapidi, il ministro degli Esteri dell’Iran, Hossein Amirabdollahian, ha esortato Washington a mostrare “flessibilità” per risolvere tre questioni che per Teheran restano aperte sul tavolo e che, a detta del capo della diplomazia iraniana, sono imprescindibili per finalizzare un accordo politico. “Le differenze sono su tre punti, sui quali gli Stati Uniti hanno verbalmente espresso flessibilità in due casi, ma questo dovrebbe essere incluso nel testo”, ha riferito l’agenzia di stampa iraniana Irna, citando Amirabdollahian. Tra le questioni “aperte” da parte iraniana, la garanzia che l’accordo sia sostenibile e sul fatto che nessun futuro presidente degli Stati Uniti possa rinnegarlo, come fece Trump nel 2018.

    Bruxelles ha ricevuto la risposta di Teheran alla bozza di intesa promossa dall’UE per salvare l’accordo del 2015, da cui Trump chiamò fuori gli Stati Uniti nel 2018. “Stiamo studiando la risposta e ci stiamo consultando con gli altri firmatari dell’accordo e con gli Stati Uniti sulla strada da seguire”

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    Alla vigilia del vertice di Bruxelles tra Vučić e Kurti, l’Ue condanna la “retorica incendiaria” tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – I presupposti vanno tutti nella direzione di un vertice tanto atteso quanto delicato e difficilmente risolutivo. A due giorni dal nuovo incontro tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Ue, il clima rimane teso e da Bruxelles arrivano richiami alla collaborazione e alla distensione dei rapporti, che hanno conosciuto nuove tensioni nelle ultime settimane.
    “A breve saranno pubblicati i dettagli sui temi da affrontare al vertice di alto livello di giovedì 18 agosto, ma saranno discusse tutte le questioni più importanti“, ha confermato la portavoce della Commissione Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea. “Non voglio speculare sui possibili risultati, per noi rimane importante che entrambe le parti mettano fine alle ostilità e alla retorica incendiaria e mostrino piena responsabilità” nell’affrontare il sesto vertice di alto livello, ha poi precisato la portavoce. Il riferimento è alle dichiarazioni degli scorsi giorni di entrambi i leader balcanici sulla situazione nel nord del Kosovo, dove da inizio mese è tornata di attualità la questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera. I disordini – mai fuori controllo, nonostante alcuni incidenti tra le forze dell’ordine di Pristina e i cittadini kosovari di etnia serba – sono stati definiti “a un passo dalla catastrofe” dal presidente serbo Vučić, mente il premier kosovaro Kurti ha utilizzato una serie di interviste (anche a Repubblica) per mettere in guardia da una potenziale guerra serba fomentata dalla Russia di Putin.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    L’avvertimento di non seguire la strada della retorica “incendiaria” era già arrivato domenica (14 agosto) in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), preoccupato per le dichiarazioni sulla guerra e sul conflitto nei Balcani Occidentali: “I politici di alto livello delle due parti saranno ritenuti responsabili di qualsiasi escalation che porti a un aumento delle tensioni e, potenzialmente, della violenza nella regione”. Un richiamo esplicito al presidente della Serbia e al premier del Kosovo, richiamati alla “responsabilità” e al confronto costruttivo all’interno del dialogo facilitato dall’Ue: “Il raggiungimento di un accordo globale e giuridicamente vincolante sulla piena normalizzazione delle relazioni richiede un clima che contribuisca a ripristinare la fiducia, la riconciliazione e le buone relazioni”, è la posizione di Bruxelles, che continua a insistere sul rispetto e la “piena attuazione” degli accordi già raggiunti, come quello in ambito energetico del 21 giugno scorso e l’intesa del 2013 (che Pristina ancora si rifiuta di attuare sul punto dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo).
    Nel suo richiamo alle due parti l’Ue è forte anche dello “stretto coordinamento” con gli Stati Uniti e con la Nato, attraverso la collaborazione tra la missione civile Eulex e i 3.700 soldati della Kosovo Force (Kfor), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo. È anche per questo motivo che, prima del vertice di giovedì presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Vučić e Kurti incontreranno domani (mercoledì 17 agosto) il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg. Dopo le notizie delle barricate e dei disordini al confine tra Serbia e Kosovo dello scorso 31 luglio, proprio la missione Nato in Kosovo aveva rilasciato un comunicato in cui avvertiva di essere “pronta a intervenire se la stabilità viene messa a repentaglio” nella regione e a prendere tutte le misure necessarie per mantenere un ambiente sicuro e protetto in Kosovo in ogni momento, in linea con il suo mandato Onu”.

    Sul tavolo dell’incontro di alto livello con il presidente serbo e il premier kosovaro ci saranno “tutti i temi più importanti ancora aperti” tra Belgrado e Pristina. L’Ue si aspetta “piena responsabilità e la fine alle ostilità da entrambe le parti”, in particolare sulla questione delle targhe

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    La centrale nucleare di Zaporizhzhia al centro della guerra in Ucraina. Si cerca accordo per missione di esperti sicurezza

    Bruxelles – Rimane alta la tensione sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia, occupata dall’esercito russo da inizio marzo e nuovamente al centro del conflitto dopo l’intensificarsi della controffensiva di Kiev nel sud-est del Paese invaso dal Cremlino. Mentre i due fronti si scambiano accuse sulla responsabilità dell’aggravarsi dello stato di sicurezza dell’impianto, i leader internazionali chiedono con sempre più insistenza di mettere fine agli atti di ostilità nelle vicinanze della centrale nucleare e in particolare a Mosca di astenersi dall’utilizzare la struttura come base militare da cui partire attacchi al territorio dell’Ucraina.
    Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres
    “Sono molto preoccupato per l’evolversi della situazione all’interno e intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia”, ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, esortando le forze armate di Kiev e Mosca a “cessare immediatamente tutte le attività militari nelle immediate vicinanze dell’impianto e di non prendere di mira le sue strutture o i dintorni”. Guterres si è appellato al “buon senso e ragionevolezza” di tutti i responsabili in conflitto per “non intraprendere azioni che possano mettere in pericolo l’integrità fisica, la sicurezza o la protezione dell’impianto nucleare”. Tuttavia, “invece di un’attenuazione, negli ultimi giorni sono stati segnalati altri incidenti molto preoccupanti che, se dovessero continuare, potrebbero portare a un disastro”, ha avvertito il segretario generale dell’Onu. In serata è prevista a New York una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione, dopo la richiesta arrivata da Mosca. “È necessario un accordo urgente a livello tecnico su un perimetro sicuro di smilitarizzazione per garantire la sicurezza dell’area”, ha spiegato Guterres, che ha ricordato anche la necessità di “fornire alla missione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica un accesso immediato, sicuro e senza ostacoli al sito“.
    Le stesse richieste sono arrivate ieri (mercoledì 10 agosto) dai ministri degli Esteri del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) e dall’alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell. In una nota è stata richiesta la restituzione “immediata” del “pieno controllo” della centrale nucleare di Zaporizhzhia “e di tutti gli impianti nucleari all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Ucraina” alle autorità di Kiev. “Il personale ucraino deve essere in grado di svolgere le proprie mansioni senza subire minacce o pressioni”, dal momento in cui “è il continuo controllo della Russia sull’impianto a mettere in pericolo la regione“, hanno attaccato i ministri, ribadendo che “il sequestro delle strutture nucleari ucraine” aumenta “significativamente” il rischio di un incidente nucleare. È per questo motivo che anche per il G7 rimane cruciale la possibilità di organizzare una missione di esperti internazionali “in modo sicuro e senza impedimenti”.
    Dopo le preoccupazioni di Bruxelles espresse dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, domenica scorsa (7 agosto), anche la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, ha condannato “fermamente” i bombardamenti della centrale nucleare di Zaporizhzhia e dei suoi dintorni: “Questo comportamento sconsiderato delle forze militari russe rappresenta un grande pericolo per il funzionamento sicuro della centrale”. I combattimenti hanno causato “danni significativi alle infrastrutture, anche in prossimità dello stoccaggio a secco del combustibile nucleare esaurito“, ha precisato la commissaria Simson e, nonostante le informazioni ottenute dai sistemi di monitoraggio della radioattività da parte dell’Ue e delle organizzazioni internazionali “non indichino alcuna minaccia immediata di radiazioni”, le attività militari sono “pericolose in modo inaccettabile”. Al centro delle accuse di Bruxelles c’è il dispiegamento di personale e armamenti russi presso l’impianto nucleare, che “costituisce un’aperta violazione di tutte le disposizioni in materia di sicurezza, protezione e salvaguardia concordate a livello internazionale”, ha concluso la commissaria per l’Energia, attaccando il Cremlino: “Deve assumersi la piena responsabilità di fronte alla comunità internazionale per le azioni illegali e sconsiderate, anche in materia di sicurezza nucleare”.

    Mentre continuano i combattimenti nella zona dell’impianto nucleare nel sud del Paese, è in programma un Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite richiesto dalla Russia. Il segretario generale Guterres: “Cessare immediatamente tutte le attività militari nelle immediate vicinanze”

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    Estonia e Finlandia vogliono un coordinamento a livello Ue contro il rilascio di visti turistici ai cittadini russi

    Bruxelles – Una stretta su tutta la popolazione della Federazione Russa, non solo sugli oligarchi della cerchia di Putin. Estonia e Finlandia chiedono un ulteriore passo in avanti da parte dell’Unione Europea nel far pagare le conseguenze della guerra in Ucraina ai cittadini russi, tagliando anche il canale dei visti turistici rilasciati dai Paesi membri dell’area Schengen (con un allineamento anche di Bulgaria, Cipro, Croazia, Irlanda e Romania). La proposta è stata suggerita dalle prime ministre dei rispettivi Paesi, l’estone Kaja Kallas e la finlandese Sanna Marin, dopo alcuni episodi di propaganda del Cremlino attraverso cittadini russi in vacanza nell’Unione e l’attacco del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky: “I russi dovrebbero vivere nel loro mondo finché non cambiano filosofia”, ha dichiarato in un’intervista per il Washington Post.
    “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano“, è stato l’affondo della premier estone Kallas, spiegando le conseguenze dell’interruzione dei viaggi aerei dalla Russia: “Mentre i Paesi Schengen rilasciano visti, i vicini [Finlandia, Estonia, Lettonia, ndr] ne portano l’onere“. Di qui la necessità di “porre fine ora al turismo dalla Russia”. Un invito già arrivato lunedì (8 agosto) dall’omologa finlandese Marin, che in un’intervista per il programma televisivo Yle Uutiset ha definito “ingiusta” la possibilità per i cittadini russi di “vivere una vita normale, viaggiare in Europa, essere turisti” e ottenere visti dai Paesi membri dell’Ue, mentre Mosca “sta conducendo una guerra di aggressione aggressiva e brutale in Europa”.

    Stop issuing tourist visas to Russians. Visiting #Europe is a privilege, not a human right. Air travel from RU is shut down. It means while Schengen countries issue visas, neighbours to Russia carry the burden (FI, EE, LV – sole access points). Time to end tourism from Russia now
    — Kaja Kallas (@kajakallas) August 9, 2022

    Per i tre Paesi di confine la questione è vissuta in modo diretto, dal momento in cui ogni cittadino russo – non colpito dalle sanzioni internazionali – può attraversare la frontiera se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese dell’area Schengen. Il visto Schengen consente a un visitatore di soggiornare per un massimo di 90 giorni per turismo o affari, con la possibilità di viaggiare liberamente all’interno di una zona che comprende 22 Stati membri Ue, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein: è in questo modo che i cittadini russi, anche in assenza di collegamenti aerei diretti, possono ancora visitare per turismo la maggior parte dei Paesi dell’Ue. Estonia e Lettonia non rilasciano più visti Schengen a chi ne fa richiesta da Mosca e lo stesso ha deciso di fare la Bulgaria (con i propri visti nazionali) dopo il duro scontro diplomatico con la Russia a fine giugno.
    Ecco perché le due prime ministre stanno spingendo per portare a Bruxelles la questione dei visti turistici ai cittadini russi, alzando l’asticella ben oltre la raccomandazione della Commissione Ue di limitare i visti d’oro. Secondo quanto affermato dalla premier finlandese, il tema della libertà di movimento è già stato discusso in tutti i Consigli Ue dallo scoppio della guerra in Ucraina, ma è oggetto di non poche perplessità, in particolare per la discriminazione a priori di un’intera popolazione (che non necessariamente è allineata alle scelte del suo presidente) e per i rischi di chiudere le porte ai dissidenti ancora sul suolo russo e in cerca di una via d’uscita in futuro. “Ritengo che nelle future riunioni del Consiglio la questione si presenterà con ancora maggiore forza”, ha precisato Marin, anticipando una possibile discussione al Consiglio Affari Esteri informale di fine agosto.
    A Bruxelles intanto si temporeggia, con la Commissione Ue poco intenzionata a sbilanciarsi sul comunicare ulteriori sanzioni contro la Russia. “È importante sapere che i Paesi membri rilasciano i propri visti sulla base di norme nazionali e ci sono sempre casi in cui possono essere rilasciati, come a dissidenti politici, giornalisti e per questioni umanitarie”, ha spiegato la portavoce per gli Affari interni, Anitta Hipper, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea, precisando che “è competenza degli Stati membri decidere cosa fare”. A questo proposito, Estonia e Finlandia stanno già studiando misure da poter attuare autonomamente: per esempio, inasprire le condizioni per l’ottenimento dei visti turistici, dando priorità a quelli lavorativi e per motivi familiari o di studio, e introdurre sanzioni nazionali ad hoc da affiancare a quelle già in vigore a livello Ue.

    Se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese Schengen, per un cittadino russo è possibile attraversare la frontiera e viaggiare per 90 giorni nell’Unione. Le prime ministre Kallas e Marin vogliono portare la questione al Consiglio: “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano”

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    La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio

    Bruxelles – La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio. Transneft, la compagnia responsabile per il trasporto del greggio, ha chiuso i rubinetti per presunte conseguenze delle sanzioni dell’Unione europea. Non sarebbe stato possibile effettuare un pagamento, effettuato il 22 luglio ma rifiutato sei giorni più tardi. Dal 4 agosto dunque niente più trasporto via Ucraina, e Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca a secco. A non funzionare più è l’oleodotto UkrTransNafta, ramo della pipeline Druzhba che passa per l’Ucraina. Le consegne a Polonia e Germania, attraverso un altro ramo dell’oleodotto Druzhba che attraversa la Bielorussia, invece al momento “proseguono normalmente”, fa sapere Transneft.
    Il trasporto di petrolio attraverso l’oleodotto Druzhba è stato sospeso per diversi giorni, ma la raffineria Slovnaft di Bratislava continua a funzionare e a rifornire il mercato, ha dichiarato in un comunicato il portavoce della società slovacca Anton Molnar. “Secondo le nostre informazioni, ci sono stati problemi tecnici a livello bancario relativi al pagamento delle tasse di transito da parte russa”, ha aggiunto.
    C’è il timore che in realtà Mosca stia usando sempre di più l’energia per fare pressione sul blocco dei Ventisette, usando petrolio, gas e risorse come arma di ricatto. Prima dello stop del petrolio, per cui comunque è previsto l’embargo europeo, c’è stata la riduzione delle forniture di gas, se non addirittura lo stop completo. E’ stato il caso di Polonia e Bulgaria, Stati membri verso cui è stato impedito al gas di arrivare a destinazione. Lo stesso è capitato a Danimarca, Paesi Bassi e Finlandia, sempre per questioni legate a pagamenti, non effettuati in rubli.

    Our emergency plan to reduce gas demand across the EU is now in force.
    Several Member States have already taken valuable, voluntary measures towards our target:
    Together, we aim to reduce gas usage by at least 15%.
    Saving energy is vital to Europe’s energy security.#REPowerEU pic.twitter.com/Iy6b0O0g3O
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 9, 2022

    A Bruxelles si cerca di minimizzare. “Il nostro piano di emergenza per ridurre la domanda di Gas in tutta l’Ue è ora in vigore”, ha ricordato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Diversi Stati membri hanno già adottato misure preziose e volontarie per raggiungere il nostro obiettivo”, ovvero di “ridurre il consumo di Gas di almeno il 15 per cento”. La numero uno dell’esecutivo comunitario ribadisce che “il risparmio energetico è fondamentale per la sicurezza energetica dell’Europa” nel contesto della risposta alla guerra russa in Ucraina.

    Transneft ha smesso di trasportare il greggio. Il motivo sono problemi nei pagamenti

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    L’UE porta alla coppa del mondo in Qatar la questione LGBTQI

    Bruxelles – Diritti umani, e soprattutto diritti LGBTQI+, l’Unione europea è decisa a fare pressione sul Qatar in vista del campionato del mondo di calcio in programma quest’inverno. La questione “avrà un ruolo di primo piano nel prossimo quarto dialogo UE-Qatar sui diritti umani, che si terrà a settembre“, assicura l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell. Dunque nessuna scusa e nessuno sconto in vista della coppa del mondo, l’Unione europea continua a tenere alta l’attenzione su un tema che nel Paese ospitante trova invece tutt’altra gestione. 
    L’omosessualità in Qatar è illegale e punita in quanto fuorilegge. Human Rights Watch ha fortemente criticato la repressione della comunità LGBTQI+ nell’emirato, così come il modo in cui la FIFA, il massimo organismo sportivo internazionale, sta fin qui gestendo la cosa. Le autorità nazionali hanno già annunciato l’intenzione di confiscare le bandiere arcobaleno “per proteggere” tutti gli altri tifosi. Un messaggio che stride con il concetto di inclusione dello sport.
    L’Unione europea fin qui ha fatto molto per promuovere e riconoscere i diritti omosessuali e transgender. Ma questa posizione, nel caso specifico, riguarda uno Stato terzo. Servirà dunque una diversa linea d’azione. Può certamente svolgere un’opera di ‘moral suasion’, un’attività di convincimento attraverso un dialogo continuo e continuato. E’ proprio l’intenzione di Borrell. “L’UE continuerà a monitorare da vicino la situazione dei diritti umani in Qatar, compresi i diritti e le libertà delle persone della comunità LGBTQI+, in vista della Coppa del Mondo, durante l’evento e dopo la sua chiusura“. Si vuole insistere sui concetti di “tolleranza e inclusione”, che “hanno un ruolo di primo piano” nel vivere civile e che saranno al centro dei colloqui di settembre e oltre.
    E’ al momento il massimo che l’UE può fare per cercare di garantire a tutti, almeno durante lo svolgimento della manifestazione, il giusto trattamento. Il problema semmai è stata la scelta della FIFA, ma qui l’UE preferisce non entrare nel merito.

    L’impegno dell’Alto rappresentante Borrell. “Al centro del quarto dialogo UE-Qatar sui diritti umani, che si terrà a settembre. Ne parleremo anche durante e dopo”

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    L’Ue a difesa dei popoli indigeni contro minacce linguistiche, sfruttamento ambientale e omicidi di attivisti

    Bruxelles – Più di 4 mila lingue minacciate, 358 difensori dei diritti umani uccisi nel 2021, i più colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici e dal degrado ambientale causato da governi e aziende multinazionali. È questo il quadro in cui vivono le oltre 476 milioni di persone appartenenti ai popoli indigeni di tutto il mondo, dai San e i Khoekhoe del Sudafrica agli Aymara della Cordigliera delle Ande, dai Māori della Nuova Zelanda ai Saami del nord Europa, fino agli Inuit della Groenlandia.
    In occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha voluto ribadire con forza la solidarietà e l’impegno dell’Unione ai leader e agli attivisti dei diritti umani di tutto il mondo su più fronti, in linea con Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. In primis quello ambientale e climatico, dal momento in cui questi popoli abitano quasi un quarto della superficie terrestre del mondo e “sono custodi e difensori fondamentali di oltre l’80 per cento della nostra diversità biologica“, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell. Se possiedono “una profonda conoscenza della gestione sostenibile del territorio”, allo stesso tempo “sono tra i più colpiti dai gravi impatti del cambiamento climatico e del degrado ambientale“. Per questo motivo l’agenda internazionale dovrà occuparsi con urgenza di questo tema, rispettando gli impegni sottoscritti alla Cop26 di Glasgow dello scorso anno.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Strettamente legato alla questione della difesa dell’ambiente naturale c’è anche il tema della protezione dei difensori dei diritti umani. L’Ue ha “ripetutamente” lanciato l’allarme sul numero di omicidi nel 2021: almeno 358, di cui “quasi il 60 per cento era costituito da coraggiosi difensori dei diritti della terra, dell’ambiente o delle popolazioni indigene, e più di un quarto erano essi stessi indigeni”. L’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro senza mezzi termini che “ognuno di loro è uno di troppo” e Bruxelles “continuerà a far leva sulle sue politiche, sui dialoghi e sugli strumenti di finanziamento” per sostenere queste popolazioni e “porre fine all’impunità”.
    Impunità che coinvolge anche le imprese multinazionali e i processi decisionali: “L’Ue si impegna a promuovere la partecipazione dei leader e dei difensori dei diritti umani indigeni ai processi di sviluppo e ai principali forum globali”, tenendo come perno l’applicazione del “principio della consultazione in buona fede” per ottenere in ogni situazione il loro consenso “libero, preventivo e informato” nelle decisioni che li riguardano. A questo proposito Bruxelles si sta attivando per ottenere “norme più efficaci sulla condotta responsabile delle imprese“, con l’obiettivo di promuovere un comportamento aziendale “sostenibile e responsabile, anche nelle terre indigene”.
    Ultimo punto, ma non per importanza, la protezione dell’identità dei popoli indigeni, “spesso strettamente legata alle loro terre e alle loro lingue”. Entrati nel Decennio internazionale delle lingue indigene (2022-2032) – “sistemi di comunicazione complessi sviluppati nel corso di millenni” – l’Ue pone l’accento sulla necessità di proteggere le oltre 4 mila lingue a rischio di estinzione, “perché molte di esse non vengono insegnate a scuola né utilizzate nella sfera pubblica”, ha avvertito l’alto rappresentante Borrell.

    In occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, l’alto rappresentante Ue Borrell ha ribadito il sostegno dell’Unione a promuovere la partecipazione dei leader e dei difensori dei diritti umani ai processi di sviluppo e per norme più efficaci sulla condotta delle imprese