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    I Ventisette hanno autorizzato la Commissione ad avviare i negoziati per dispiegare Frontex nei Balcani Occidentali

    Bruxelles – Il dispiegamento degli agenti Frontex su tutte le frontiere dei Balcani Occidentali si avvicina sempre di più. Dopo la raccomandazione della Commissione Europea dello scorso 26 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha deciso oggi (venerdì 18 novembre) di autorizzare i negoziati con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia per ampliare gli accordi sulla cooperazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
    Gli accordi negoziati nell’ambito del nuovo mandato di Frontex consentiranno all’agenzia di assistere i quattro Paesi balcanici nella gestione delle persone migranti in arrivo, nel contrastare l’immigrazione irregolare e nell’affrontare la criminalità trans-frontaliera. I nuovi accordi consentiranno al personale Frontex di esercitare poteri esecutivi, come i controlli di frontiera e la registrazione delle persone.
    In altre parole, se il nuovo quadro giuridico sarà negoziato secondo i termini di Bruxelles, i corpi permanenti dell’Agenzia Ue potranno essere dispiegati in tutta regione: non più solo alle frontiere esterne dell’Ue ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi. In questo scenario, Frontex potrà operare con pieni poteri esecutivi anche alle frontiere tra Macedonia del Nord-Albania, Macedonia del Nord-Serbia, Albania-Montenegro, Montenegro-Serbia, Montenegro-Bosnia ed Erzegovina e Serbia-Bosnia ed Erzegovina. Rimane anche sul fronte della gestione congiunta delle frontiere il buco nero del Kosovo, dal momento in cui non c’è ancora l’unanimità tra i Ventisette sul riconoscimento della sua sovranità (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia si oppongono).
    A oggi, il dispiegamento degli agenti può avvenire solo alle frontiere degli Stati membri dell’Unione (e senza poteri esecutivi). “Le sfide migratorie nella rotta dei Balcani Occidentali non iniziano alle frontiere dell’Unione”, ha commentato il ministro dell’Interno della Repubblica Ceca e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Vít Rakušan: “La cooperazione con i nostri partner, anche attraverso l’invio di personale Frontex, è essenziale per individuare e bloccare tempestivamente i movimenti migratori irregolari“. Secondo il ministro ceco, questo accordo “migliorerà la protezione delle frontiere esterne dell’Unione”, contribuendo allo stesso tempo “agli sforzi dei Paesi dei Balcani Occidentali per impedire ai contrabbandieri di utilizzare i loro territori come tappe di transito“.
    Lo stato dell’arte degli accordi Frontex con i Balcani Occidentali
    Gli accordi sullo status di Frontex nell’ambito del precedente mandato dell’Agenzia europea sono stati conclusi con l’Albania nell’ottobre 2018, con il Montenegro nell’ottobre 2019 e con la Serbia un mese più tardi, mentre dal 2017 è in stallo quello con la Bosnia ed Erzegovina, mai firmato dal momento dell’entrata in vigore del regolamento rivisto. È per questo motivo che per la Commissione era considerato cruciale il via libera alle raccomandazioni dal Consiglio dell’Ue, per autorizzare lo stesso esecutivo ad avviare i negoziati con Tirana, Podgorica, Belgrado e Sarajevo.
    Nel corso del tappa a Skopje dello scorso 26 ottobre (nel contesto del suo viaggio nei Balcani Occidentali), la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo il cappello sulla firma del secondo accordo con la Macedonia del Nord, che permetterà a Frontex di dispiegare squadre di gestione delle frontiere, sia alle frontiere con l’Unione (Grecia e Bulgaria) sia con gli altri Paesi balcanici extra-Ue (Serbia, Kosovo e Albania). Si tratta del primo documento ufficiale firmato dal momento dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Macedonia del Nord, in cui ha rivestito un ruolo significativo la traduzione anche in lingua macedone, “senza note, senza asterischi, su un piano di parità con tutte le 24 lingue dell’Unione Europea”, ha sottolineato von der Leyen.
    A questo si aggiunge un nuovo pacchetto di assistenza da 39,2 milioni di euro nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione (IPA III) per rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani Occidentali. I finanziamenti di Bruxelles – arrivati a 171,7 milioni di euro – serviranno principalmente per l’acquisto di attrezzature specializzate, come sistemi di sorveglianza mobile, droni, dispositivi biometrici, formazione e sostegno ai Centri nazionali di coordinamento e creazione di strutture per “accoglienza e detenzione”, specifica l’esecutivo Ue.

    Con il via libera del Consiglio dell’Ue, l’esecutivo comunitario potrà negoziare con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia l’operatività dei corpi permanenti non più solo alle frontiere esterne dell’Unione ma anche alle frontiere interne tra Paesi terzi, garantendo poteri esecutivi

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    L’iniziativa per il grano del Mar Nero è stata estesa per altri 4 mesi. L’Ue accoglie l’accordo contro la crisi alimentare

    Bruxelles – Altri quattro mesi di accordo per le esportazioni di grano dai porti del Mar Nero dell’Ucraina, per non aggravare la crisi alimentare globale nel corso dell’inverno. Le quattro parti coinvolte nell’iniziativa per il grano del Mar Nero (Turchia, Ucraina, Russia e le Nazioni Unite) hanno confermato questa mattina (giovedì 17 novembre) l’estensione dell’intesa “senza alcun cambiamento”, con l’annuncio arrivato dal presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan: “A seguito di colloqui a quattro ospitati dalla Turchia, l’accordo sul corridoio del grano del Mar Nero è stato prorogato di 120 giorni dal 19 novembre“.
    A celebrare l’intesa arrivata in extremis sono stati i vertici delle istituzioni comunitarie. “L’iniziativa Black Sea Grains delle Nazioni Unite aiuta a evitare carenze alimentari globali e ad abbassare i prezzi dei prodotti nonostante la guerra della Russia” in Ucraina, ha sottolineato in un tweet la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, congratulandosi con il segretario generale dell’Onu, António Guterres, e con il leader turco per il risultato raggiunto. Anche il numero uno del Consiglio, Charles Michel, ha ricordato che “con 10 milioni di tonnellate già esportate nell’ambito di questa iniziativa dall’Ucraina, è una buona notizia per un mondo che ha un disperato bisogno di accesso a cereali e fertilizzanti“.

    I congratulate @antonioguterres and President @RTErdogan for the agreement on the continuation of the Black Sea Grain Initiative
    Together with EU Solidarity Lanes the UN Black Sea Grain Initiative helps avoid global food shortages and bring down food prices despite Russia’s war. https://t.co/PWW2p6oE5F
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 17, 2022

    In vista della scadenza imminente dell’accordo, nelle ultime settimane sono stati condotti intensi negoziati sotto l’egida Onu, per garantire la proroga dell’intesa. Mentre oltre 10 milioni di tonnellate di creali sono ancora bloccate nei silos in Ucraina, a essere più colpiti sono i Paesi in via di sviluppo (che a oggi hanno ricevuto il 40 per cento di tutte le esportazioni dai porti ucraini del Mar Nero). I cereali sono essenziali per stabilizzare i prezzi sui mercati internazionali e per rifornire le popolazioni più vulnerabili al rischio fame, in particolare in Africa. Poco più di due settimane fa la Russia si era temporaneamente sfilata dall’accordo e ne aveva chiesto la sospensione, dopo l’attacco subito dalla sua flotta al largo di Sebastopoli (principale città della Crimea annessa illegalmente da Mosca).
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Nel quadro della stessa intesa sul grano dal Mar Nero, l’Onu ha anche agevolato la consegna di 260 mila tonnellate di fertilizzante russo, il cui primo carico andrà in Malawi (uno dei Paesi più poveri dell’Africa australe). “Sebbene la Russia sia impegnata in campagne di manipolazione delle informazioni e di diffusione della propaganda”, l’Ue è sempre stata chiara sul fatto che “le nostre sanzioni non riguardano il commercio di prodotti agricoli e alimentari, compresi cereali e fertilizzanti, tra la Russia e i Paesi terzi”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.
    Nella stessa nota Borrell ha ricordato che il rinnovo dell’iniziativa delle Nazioni Unite sul grano del Mar Nero “rimane fondamentale per continuare a far scendere i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale e per garantire la sicurezza alimentare in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più vulnerabili”. Nonostante “il cibo non dovrebbe mai essere usato come arma di guerra”, Mosca ha “esacerbato l’impennata dei prezzi alimentari”, anche a causa degli attacchi “deliberati” contro le strutture agricole e le rotte di esportazione ucraine.
    È qui che si inserisce l’iniziativa per il grano del Mar Nero mediata dalle Nazioni Unite, che “insieme alle rotte terrestri che attraversano l’Ue” nel quadro del corridoi di solidarietà – potenziati recentemente con un ulteriore miliardo di euro – ha contribuito a “stabilizzare e ad allentare la pressione sui prezzi alimentari globali, facilitando l’esportazione di cereali e prodotti agricoli verso i mercati mondiali”. Le due iniziative combinate hanno soprattutto permesso l’esportazione di “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali e altri prodotti agricoli“, ha sottolineato con forza l’alto rappresentante Borrell, contribuendo al “calo dei prezzi degli alimenti negli ultimi mesi”.

    Le quattro parti coinvolte nell’intesa Black Sea Grains (Turchia, Ucraina, Russia e Nazioni Unite) hanno confermato l’estensione dell’accordo “senza alcun cambiamento”. Insieme ai corridoio di solidarietà di Bruxelles sono stati esportati “oltre 25 milioni di tonnellate di cereali”

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    L’Ue al lavoro per un nuovo accordo con l’Australia sulle materie prime

    Bruxelles – Al G20 in corso a Bali, le istituzioni Ue hanno incontrato questa mattina (16 novembre) in un bilaterale il primo ministro australiano, Anthony Albanese: Ursula von der Leyen e Charles Michel, presidenti della Commissione e del Consiglio europeo, hanno colto l’occasione del summit indonesiano per rinsaldare i legami con Canberra in materia economica e di politiche climatiche.
    “Benvenuto il Framework Agreement con l’Australia, nuova pietra miliare nelle nostre relazioni”, ha twittato Michel: a 5 anni dalla sua firma, il 21 ottobre scorso è entrato in vigore il nuovo accordo tra Ue e Australia, volto a intensificare la collaborazione su una serie di asset, dalla politica estera all’economia, dallo sviluppo sostenibile alla ricerca e innovazione, da energia e trasporti alla pesca marittima. I tre leader hanno ribadito tutte queste intenzioni a Bali, aggiungendo una ferma condanna all’invasione russa in Ucraina, poche ore dopo l’allarme per i missili caduti in territorio polacco, parzialmente rientrato dopo le conferme che si trattava di razzi ucraini lanciati per intercettare un attacco russo.

    Good meeting among like-minded partners.
    🇪🇺🇦🇺 are aligned in our response to Russia’s war and we share an interest to cooperate in the Indo-Pacific.
    We agreed to intensify negotiations on an ambitious trade agreement.
    We will also work on a new partnership on raw materials.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 16, 2022

    “Un bell’incontro tra due partner che la pensano allo stesso modo”, ha scritto in un tweet von der Leyen, annunciando di essere al lavoro con le autorità australiane per un nuovo accordo sulle materie prime. Nel contesto della crisi energetica e della diversificazione dalle fonti russe, l’Ue “riconosce il ruolo che l’Australia può svolgere per la stabilità dei mercati mondiali di gas, attraverso il suo costante approvvigionamento all’Indo-Pacifico”, si legge nel comunicato stampa congiunto.
    Canberra è il maggiore esportatore di gas naturale liquefatto (LNG) al mondo, con una capacità di 87.6 milioni di tonnellate all’anno. Per questo “le due parti approfondiranno gli scambi su questi temi, anche relativamente al piano REPowerEu”, che annovera tra i propri obiettivi anche la costruzione di nuove partnership affidabili per le forniture di gas e LNG.
    Forte la comunione di intenti anche nella lotta ai cambiamenti climatici. Da Sharm el Sheik, dove è ancora in atto la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, a Bali, il messaggio dei tre leader non cambia: Bruxelles e Canberra rimangono “profondamente impegnati per la piena attuazione dell’accordo di Parigi” e per “raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050”.  In vista del meeting tra l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico e l’Ue, che si terrà a Bruxelles il prossimo 14 dicembre, von der Leyen e Michel hanno ribadito al primo ministro australiano la volontà di avere un ruolo importante nell’Indo-pacifico, “per lo sviluppo sostenibile e la transizione verde” dell’intera regione.

    A un mese dall’entrata in vigore del nuovo Framework Agreement con Canberra, i vertici Ue hanno incontrato a Bali il primo ministro australiano, Anthony Albanese: al centro del dialogo la condanna all’invasione russa, le relazioni nell’Indo-pacifico e le fonti energetiche. L’Australia è infatti il primo esportatore al mondo di gas LNG

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    La Nato studia la dinamica del missile caduto in Polonia: “Nessuna indicazione di un attacco diretto dalla Russia”

    Bruxelles  – La Nato cerca di evitare a tutti i costi un’escalation con la Russia, dopo l’incidente del missile caduto in Polonia. È lo stesso segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, Jens Stoltenberg, a spiegarlo alla stampa dopo la riunione d’emergenza degli ambasciatori dell’Alleanza Atlantica di questa mattina (mercoledì 16 novembre), in cui sono stati discussi i dettagli delle indagini portate avanti da Varsavia e delle informazioni dell’intelligence statunitense, per chiarire la dinamica e l’origine delle esplosioni che hanno causato la morte di due persone nel villaggio di Przewodów (a un centinaio di chilometri da Leopoli).
    “Le indagini sono ancora in corso, dobbiamo aspettare gli esiti definitivi, ma al momento non abbiamo indicazioni che ci sia stata un’intenzione di un attacco diretto da parte di Mosca, né che la Russia stia preparando azioni militari contro la Nato”, ha spiegato Stoltenberg. Quanto accaduto in Polonia è stato “molto probabilmente causato dai sistemi di contraerea ucraini per la difesa dai bombardamenti russi“, che hanno colpito per tutto il pomeriggio infrastrutture critiche e obiettivi civili sull’intero territorio nazionale. Il segretario generale dell’Alleanza Atlantica ha però voluto sottolineare che “non è colpa dell’Ucraina, ma la Russia ha una responsabilità indiretta, a causa degli attacchi all’Ucraina“, a partire dal fatto che il missile (di fabbricazione russa) sarebbe stato lanciato dalla contraerea di Leopoli per distruggerne un altro indirizzato contro la città.
    Il luogo dell’esplosione nel villaggio di Przewodów, Polonia (15 novembre 2022)
    Quello che dallo stesso Stoltenberg è stato definito un “incidente” oltre il confine ucraino in Polonia “non ha le caratteristiche di un attacco deliberato contro il territorio dell’Alleanza” e questo spiega il perché delle reazioni caute dal primo minuto da parte di tutti i leader internazionali. “Siamo sempre pronti per situazioni come queste, in caso di incidenti sappiamo che dobbiamo gestire la situazione con calma e risolutezza, per prevenire ulteriori escalation“, ha sottolineato il segretario generale della Nato. In ogni caso però è necessario un “aumento dell’attenzione sul confine orientale” dell’Alleanza, con un “continuo rafforzamento via terra e via aria”, in attesa del responso finale delle indagini di Varsavia: “Avrà conseguenze cruciali per il tipo di risposta, rimaniamo pronti a intraprendere tutte le azioni necessarie per garantire la sicurezza dei nostri membri“.
    Rispondendo alle domande della stampa, il segretario generale Stoltenberg non si è voluto sbilanciare sul fatto che quello di ieri possa essere stato il momento di tensione più grave nei rapporti tra Nato e Russia dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina: “Starei attento a fare paragoni, ma dimostra che la guerra russa continua a creare situazioni pericolose“. Non è un caso se le esplosioni sul territorio di un Paese membro Nato si sono verificate nello stesso pomeriggio dei “pesanti bombardamenti” missilistici sulle città ucraine:  “È in sé una situazione pericolosa e quanto accaduto in Polonia ne è una conseguenza”, ha puntualizzato Stoltenberg.
    La Nato tra contraerea ucraina e no-fly zone
    L’appello alla calma da Bruxelles va di pari passo con l’atteggiamento cauto di Varsavia. Il presidente Andrzej Duda ha confermato che “non abbiamo prove precise che ci permettano di concludere che si è trattato di un attacco alla Polonia”, mentre il premier Mateusz Morawiecki per il momento esclude l’attivazione dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico: si tratta del processo per consultazioni di emergenza, se un membro dell’Alleanza teme un’aggressione esterna (nel giorno dell’invasione russa dell’Ucraina era stato attivato da Estonia, Lettonia e Lituania). In ogni caso dalla Nato rimane “forte” il supporto alla Polonia, sia nella fase di indagini, sia per un’eventuale resa necessaria dall’esito finale.
    Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg
    Lo stesso tipo di atteggiamento si dimostra nei confronti di Kiev. “La Nato non è parte della guerra, ma i suoi membri forniscono armamenti all’Ucraina, perché ha il diritto di difendersi dagli attacchi illegali della Russia”, ha messo in chiaro il segretario generale, precisando che “forniremo più aiuti per la difesa aerea” al Paese invaso dal 24 febbraio. Questo però ha un’altra implicazione implicita, cioè che gli alleati non sono disposti ad aprire alla possibilità di una no-fly zone sul territorio ucraino: “I nostri sistemi di difesa anti-aerea entrano in funzione solo se c’è un’aggressione a un membro dell’Alleanza, ma non abbiamo evidenze che in Polonia ci sia stato un attacco deliberato”.
    L’obiettivo degli alleati rimane sempre lo stesso ed è compatibile con l’aumento delle forniture militari (ma non di una no-fly zone), come ricordato da Stoltenberg: “A un certo punto questa guerra finirà ai tavoli dei negoziati, ma le posizioni di partenza dipenderanno dalla situazione sul campo“. È per questo che le forze ucraine vanno sostenute “ora” e la responsabilità indiretta della Russia nell’incidente in Polonia avrà comunque conseguenze pesanti per il Cremlino in questo scenario.

    Nel corso della riunione d’emergenza tra gli ambasciatori dell’Alleanza Atlantica sono state condivise le informazioni d’intelligence statunitensi, secondo cui il missile (di fabbricazione russa) sarebbe partito dalla contraerea ucraina: “Responsabilità indiretta di Mosca, non colpa di Kiev”

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    L’escalation della guerra russa in Ucraina tocca la Polonia. Un missile cade sul territorio Nato: condanna Ue e G7

    Bruxelles – Quasi nove mesi di guerra e alle 15:40 del 15 novembre la guerra russa in Ucraina ha toccato il punto più delicato, quasi di non ritorno. Perché, per la prima volta dal 24 febbraio, l’aggressione armata del Cremlino ha sconfinato in Polonia, un Paese membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), con un missile che ha causato la morte di due persone nel villaggio di Przewodów (a un centinaio di chilometri da Leopoli).
    Un frammento del missile russo caduto in Polonia
    La notizia è arrivata nella serata di ieri, quando il governo guidato da Mateusz Morawiecki ha convocato urgentemente una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale. Da subito si è respirata cautela – in particolare a Bruxelles, dove hanno sede non solo le istituzioni comunitarie, ma anche la Nato – nella condanna alla Russia. Tutti i leader hanno voluto aspettare l’esito della valutazione della Polonia, perché, se confermato un attacco russo, questo significherebbe un’escalation inedita della guerra, con il coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica. La linea rossa è l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico: quello che afferma che “un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza” e che permette a ciascuna di esse, “nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva”, di assistere la parte attaccata “intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata“.
    Da subito però questo scenario è apparso il meno probabile, considerati gli scenari di malfunzionamento del missile in questione o delle conseguenze dell’impatto con la contraerea ucraina a Leopoli, o addirittura di missili anticarro di Kiev su una trattoria sbagliata. Per tutto il pomeriggio di ieri sono state bombardate le città e le infrastrutture ucraine con una novantina di missili e droni e – come reso noto in nottata dai portavoce del governo della Polonia – in questo contesto “un missile di fabbricazione russa” è caduto sul villaggio di Przewodów. Di qui la decisione di convocare l’ambasciatore della Federazione Russa in Polonia per “immediate spiegazioni dettagliate”. A questo si aggiunge la possibilità di attivare l’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico, ovvero il processo per consultazioni di emergenza se un membro dell’Alleanza teme un’aggressione esterna (l’ultima volta era stato attivato da Estonia, Lettonia e Lituania nel giorno dell’invasione russa dell’Ucraina).

    Due missili 🇷🇺 avrebbero ucciso due civili in #Polonia nella città di città di Przewodów, al confine con l’#Ucraina. Ci sarebbero due morti. pic.twitter.com/g2ycVP61ZG
    — OSINT-I (@OSINTI1) November 15, 2022

    La reazione al missile russo in Polonia
    Mentre oggi (mercoledì 16 novembre) a Bruxelles il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, presiederà una riunione d’emergenza degli ambasciatori dell’Alleanza Atlantica, da Bali (Indonesia) – dove si sta svolgendo il summit dei leader del G20 – arriva la prima reazione dei partner Nato e G7, compresa l’Ue. “Condanniamo i barbari attacchi missilistici che la Russia ha perpetrato su città e infrastrutture civili ucraine”, si legge in una dichiarazione congiunta al termine della riunione Nato-G7. I leader hanno anche discusso dell’esplosione oltre il confine ucraino e hanno offerto “pieno sostegno e assistenza alle indagini in corso in Polonia“, rimanendo “in stretto contatto per determinare i passi successivi appropriati”. Si tenta così di smorzare la tensione fino a quando la dinamica dell’episodio non sarà chiarita definitivamente, anche se rimane ferma la condanna al Cremlino per gli “sfacciati attacchi alle comunità ucraine, anche mentre il G20 si riunisce per affrontare le più ampie conseguenze della guerra”.
    La riunione straordinaria dei leader Nato e G7 a Bali, Indonesia (16 novembre 2022)
    Dopo un confronto con il premier della Polonia Morawiecki, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha fatto sapere che proporrà “una riunione di coordinamento con i leader dell’Ue che partecipano al G20 qui a Bali”, nel corso della giornata di oggi. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è rimasto in contatto “durante la notte” con il ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau, assicurandogli il “pieno sostegno del Consiglio Affari Esteri” (al momento non sono previste riunioni straordinarie dei ministri degli Esteri o della Difesa a Bruxelles). Da parte della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sono arrivate le condoglianze e un “forte messaggio di sostegno e solidarietà” alla Polonia, mentre Bruxelles monitora “attentamente” la situazione nel Paese membro Ue coinvolto – probabilmente in modo accidentale – nella guerra in Ucraina.

    Il governo polacco ha confermato che il missile caduto nel villaggio di Przewodów (uccidendo due persone) “è di fabbricazione russa”. A margine del G20 a Bali i leader puntano il dito contro gli “attacchi massicci sulle città ucraine”, ma c’è cautela sulla dinamica dello sconfinamento

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    L’Ue ha lanciato la missione di addestramento per l’esercito ucraino: 16 milioni di euro e 15 mila soldati da addestrare

    Bruxelles – Una decisione a supporto dell’esercito ucraino “attuata in tempi record, non ho mai visto qualcosa del genere”. Fa capire così la portata della nuova missione di assistenza militare dell’Unione europea a sostegno dell’Ucraina (Eumam) l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Con uno stanziamento pari a 16 milioni di euro e una durata complessiva di 24 mesi, il Consiglio Affari Esteri e Difesa ha dato il via libera alla missione di addestramento “individuale, collettivo e specializzato” per 15 mila membri delle Forze Armate ucraine.
    Dopo l’istituzione formale dello scorso 17 ottobre, i ministri Ue hanno messo sulla carta i dettagli del nuovo supporto operativo all’esercito ucraino, per potenziarne le capacità militari, proteggere la popolazione civile e difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Paese dall’invasione russa “all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. La missione “sarà operativa entro la fine del mese”, è quanto anticipato dall’alto rappresentante Borrell.
    Il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto (15 novembre 2022)
    La gestione dei membri dell’esercito ucraino sarà affidata agli Stati membri “in diverse località” dell’Unione e a capo della struttura sarà il direttore della capacità di pianificazione e condotta militare (Mpcc), il viceammiraglio francese Hervé Bléjean. La cellula di controllo sarà posta a Bruxelles, mentre il comando operativo sarà svolto in Polonia, con un’altra base logistica in Germania. “Anche l’Italia parteciperà, perché da mesi portiamo avanti la richiesta di formazione specifica“, ha confermato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in un punto con la stampa post-vertice.
    I 16 milioni di euro di stanziamento finanziario si inseriscono come ulteriore misura di assistenza all’esercito ucraino nell’ambito dell’European Peace Facility, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Ue. L’obiettivo dichiarato è quello di sviluppare le capacità di difesa e attacco per guidare la controffensiva nel territorio nazionale occupato dalle forze armate del Cremlino: “Sia l’Eumam sia la misura di assistenza sono state concepite sulla base dei requisiti operativi dell’Ucraina”, si legge nella nota pubblicata dal Consiglio dell’Ue, e andranno a finanziare la fornitura da parte degli Stati membri di munizioni ed equipaggiamento militare, ma anche trasporto, custodia, manutenzione e riparazione delle attrezzature.
    Questo si aggiunge ai 3,1 miliardi di euro già sborsati dall’Ue come supporto all’esercito ucraino attraverso l’European Peace Facility. Ma nel corso della conferenza stampa post-Consiglio Affari Esteri di ieri (lunedì 14 novembre) l’alto rappresentate Borrell ha voluto fare una precisazione: “Non dobbiamo confonderli con gli aiuti militari arrivati complessivamente dall’Unione intesa come Stati membri, posso anticipare che si tratta di 8 miliardi di euro in attrezzature militari già fornite a Kiev, pari al 45 per cento dello sforzo degli Stati Uniti”. Proprio nel corso del Consiglio Difesa di oggi (martedì 15 novembre) i 27 ministri Ue hanno discusso “nei dettagli” come queste attrezzature sono state utilizzate “e con quale efficacia”, ha precisato Borrell.
    Lo scenario bellico e i successi dell’esercito ucraino
    La decisione di supportare ulteriormente l’esercito ucraino è arrivata mentre il Paese invaso dal 24 febbraio si trova in un momento cruciale della controffensiva. Venerdì scorso (11 novembre) le forze armate di Kiev sono entrate nella città di Kherson, l’unica conquista della Russia sulla riva destra del Dnepr nei quasi nove mesi di guerra: “Con la ritirata da Kherson l’esercito russo ha subito una grossa sconfitta, non hanno nemmeno combattuto”, ha ricordato l’alto rappresentante Ue, che definendola “una prova che le apparecchiature militari dall’Europea e dagli Stati Uniti si stanno rivelando straordinariamente utili”. Sono in particolare i sistemi antiaerei a “fare la differenza”, dal momento in cui “in guerra la logistica e le apparecchiature critiche sono vitali” e, non a caso, “Kiev ha già riconquistato il 50 per cento dei territori occupati“.
    Il bombardamento di Kiev del 10 ottobre 2022 (credits: Maryna Moiseyenko / AFP)
    Tuttavia, proprio oggi sono stati lanciati una settantina di missili sulle città ucraine, con le sirene dall’antiaerea che risuonano in tutto il Paese. L’allerta sul rischio di attacco imminente era arrivata ieri sera in conferenza stampa da Borrell, tracciando lo scenario bellico oltre la frontiera orientale dell’Unione: “La forza russa è ancora grande, ma non viene usata per combattere, quanto per distruggere le infrastrutture critiche“. Anche il ministro italiano Crosetto ha confermato che “nessuno ha mai pensato di sottovalutare la forza della Russia e la capacità di resistere” per mesi alle sanzioni internazionali. Nonostante l’antiaerea dell’esercito ucraino stia intercettando “con grande efficacia” i droni forniti anche dall’Iran a Mosca, “Putin vuole distruggere il Paese”, dimostrato che “le intenzioni della Russia sono chiare, la guerra va avanti e la distruzione aumenta“. Questo però “è il momento della difesa, ma i parametri della pace saranno decisi dall’Ucraina”, ha voluto precisare Borrell.

    Dopo l’istituzione formale del 17 ottobre, il Consiglio dell’Ue ha definito i dettagli della missione Eumam, che fornirà addestramento “individuale, collettivo e specializzato” a parte delle forze armate di Kiev per 24 mesi. Il sostegno dallo strumento European Peace Facility

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    Dal cibo all’energia, a Bali prende il via il G20: leader al tavolo con Mosca per affrontare le conseguenze della guerra

    Bruxelles – Vaccini, clima, tassa minima globale. Poco più di un anno fa, nella cornice di Roma, i leader dei 19 Paesi più industrializzati al mondo (oltre l’Unione europea) che rappresentano due terzi della popolazione (e l’85 per cento del prodotto interno lordo mondiale) chiudevano il vertice G20 ospitato da Mario Draghi con un timido accordo sul taglio delle emissioni, ma rilanciavano lo slancio verso il multilateralismo. Nella notte (ore italiane) a Bali, in Indonesia, si è aperta a distanza di dodici mesi la nuova riunione del G20, ma lo scenario è tutto diverso e le venti economie più grandi al mondo si trovano a fare i conti con le conseguenze più o meno dirette della guerra di Russia in Ucraina, dall’insicurezza alimentare globale alla crisi energetica passando per la sicurezza più in generale. 
    E proprio all’insicurezza globale e alla crisi energetica era dedicata la prima sessione della riunione del consesso (che riunisce nello specifico Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Corea del Sud, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia, Regno Unito, Usa e UE) che andrà avanti fino a domani nell’isola indonesiana. E a sottolineare quanto diverso sia lo scenario in cui prende le mosse questo G20 sono anche i due vertici comunitari che rappresentano l’Unione europea, Ursula von der Leyen per la Commissione europea e Charles Michel per quanto riguarda il Consiglio europeo.
    Charles Michel, presidente del Consiglio europeo
    “Uno dei più difficili che ci siano mai stati”, ha scandito quest’ultimo nel suo primo intervento di questa mattina al panel sulla sicurezza alimentare ed energetica. Per il capo del Consiglio europeo, “l’unico modo migliore per porre fine all’acuta crisi alimentare ed energetica è che la Russia metta fine a questa guerra insensata e rispetti la Carta delle Nazioni Unite”. La “complessità” della due giorni non è radicata solo nel fatto di dover affrontare le conseguenze della guerra ma nel fatto che a scatenarla sia stata la Russia, membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e membro dello stesso G20. Dopo varie indiscrezioni, solo giovedì scorso è stata ufficializzata la decisione del presidente russo Vladimir Putin di non partecipare di persona ai lavori, ma di far rappresentare fisicamente la Federazione russa dal suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. Essendo il primo G20 dei leader dall’inizio dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, nei fatti sarebbe stata anche la prima occasione per mettere tutti i leader mondiali seduti allo stesso tavolo.
    La prima giornata di summit è scandita dalla necessità per i leader di mandare un messaggio di unità nel condannare l’aggressione immotivata della Russia ai danni della sovranità territoriale dell’Ucraina. A chiusura della prima giornata, la presidente Ursula von der Leyen ha assicurato in una nota che la “maggior parte dei leader ha preso una posizione chiara contro la guerra della Russia e le sue disastrose conseguenze globali. Questo G20 sta riaffermando il diritto internazionale e l’ordine di pace”, ha detto ancora, rivendicando che insieme alle economie emergenti, “l’Europa sta svolgendo un ruolo chiave nei risultati del vertice, mantenendo l’unità di idee simili e costruendo ponti”. Per qualcuno il G20 non è la sede opportuna per affrontare la questione, ma nei fatti è anche il principale forum dei leader mondiali, dunque la sede per affrontare le sfide globali e le loro conseguenze.

    A quanto apprendiamo, i leader stanno lavorando alle conclusioni della due giorni – che dovrebbero essere approvate domani – per includere la condanna “nei termini più forti” dell’aggressione da parte di Mosca ai danni di Kiev. La bozza di 16 pagine dichiarazione comune – vista da Eunews – riconosce l’aggressione dell’Ucraina come una “guerra” (termine che per il momento Mosca rifiuta riferendosi a una “operazione militare speciale”. Nel testo si legge che “la maggior parte dei membri ha condannato fermamente la guerra in Ucraina e ha sottolineato che sta causando immense sofferenze umane e aggravando le fragilità esistenti nell’economia globale”. Ma si legge ancora che esistono “altri punti di vista e diverse valutazioni della situazione e delle sanzioni”, in riferimento al fatto che al tavolo è seduta anche Mosca.
    Critiche a Mosca sono arrivate anche dal presidente cinese Xi Jinping ha invitato i leader del G20 a “opporsi fermamente” a qualsiasi “strumentalizzazione” di cibo ed energia. “Dobbiamo opporci fermamente a qualsiasi politicizzazione, strumentalizzazione e uso come arma delle questioni alimentari ed energetiche”, ha dichiarato il leader cinese al vertice del G20 sull’isola indonesiana di Bali, chiedendo al contempo la revoca delle sanzioni, come quelle contro la Russia. Xi Jinping, che ha avuto alla vigilia del vertice un bilaterale con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è rimasto sempre vicino a Putin negli ultimi anni, pur rimanendo attendo a non fornire un sostegno materiale diretto che potesse far scattare sanzioni occidentali nei suoi confronti come accaduto con la Bielorussia.
    G20, estensione accordo sul grano e insicurezza energetica
    Nella bozza si legge ancora la richiesta a estendere l’iniziativa per sbloccare l’esportazione di grano attraverso il Mar Nero, mediata a luglio dalle Nazioni Unite e dalla Turchia, in scadenza a fine novembre. L’iniziativa era stata firmata il 22 luglio scorso, per sbloccare le esportazioni di almeno 20 milioni di tonnellate di grano, rimaste bloccate nei principali porti ucraini da quando l’invasione della Russia è iniziata lo scorso 24 febbraio, facendo temere per la sicurezza alimentare globale.
    La richiesta di estensione dell’accordo oltre novembre è arrivata congiuntamente da entrambi i vertici comunitari, che ancora tenuto inoltre a ribadire che tutte le sanzioni varate dall’Ue contro la Russia non bloccano in alcun modo l’esportazione di grano e altri cereali indispensabili per scongiurare una carestia mondiale. “Non sono previste sanzioni su prodotti agroalimentari e fertilizzanti”, ha assicurato von der Leyen “sostenendo con tutto il cuore l’Iniziativa per i cereali del Mar Nero mediata dal segretario generale Guterres e dal presidente Erdoğan”. Michel ha menzionato che l’Ucraina esporta nel mondo 45 miliardi di tonnellate di prodotti agricoli attraverso le rotte di solidarietà dell’UE. “Siamo riusciti ad aiutare l’Ucraina a esportare 15 milioni di tonnellate e altri 10 milioni sono stati esportati grazie alla Black Sea Grain Initiative”, ha detto, motivando così la necessità di estendere l’accordo.
    Sul fronte energetico, la guerra “ha aperto gli occhi all’Unione europea. Vediamo letteralmente che la Russia, invece di vendere gas, preferisce bruciare gas”, ha accusato von der Leyen, che ha rivendicato di sostenere “l’introduzione di un prezzo massimo del petrolio” il meccanismo su cui si sono accordati i ministri dell’economia dei Paesi G20 alla riunione di fine estate. Per la presidente dell’esecutivo europeo la risposta alla crisi energetica e ai prezzi mirabolanti dell’energia è accelerare “la transizione verde verso l’energia pulita” non solo dell’Europa, ma anche degli altri partner dell’Ue, a partire dall’Indonesia che ospita il vertice. A margine del G20, von der Leyen ha siglato insieme al presidente dell’Indonesia Joko Widodo e i leader dell’International Partners Group (co-guidato da Stati Uniti e Giappone e comprendente Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Norvegia e Regno Unito) una partnership per la giusta transizione energetica con l’Indonesia, con l’obiettivo di mobilitare 20 miliardi di dollari (circa 19,4 miliardi di euro) in finanziamenti pubblici e privati ​​per un periodo da tre a cinque anni, tra sovvenzioni, prestiti agevolati, prestiti a tasso di mercato, garanzie e investimenti privati.

    Nell’isola indonesiana prende il via la prima riunione G20 da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina. Bruxelles: “La guerra ci ha aperto gli occhi su Mosca”. I leader delle venti economie più industrializzate al mondo lavorano alle conclusioni per condannare la guerra

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    L’alto rappresentante Ue Borrell avverte che le tensioni in corso tra Serbia e Kosovo “sono le più pericolose dal 2013”

    Bruxelles – Un fine settimana intenso, in cui “Serbia e Kosovo mi hanno tenuto davvero molto occupato” a Parigi. È senza filtri l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nel descrivere alla stampa il clima di tensione che si respira a proposito dei rapporti tra i due Paesi balcanici, dopo il resoconto ai 27 ministri Ue degli Esteri sui due confronti con il presidente serbo, Aleksander Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, a margine del Paris Peace Forum. Borrell ha avvertito che “abbiamo raggiunto il livello di tensione più pericoloso dal 2013“, con riferimento alla situazione pre-Accordo di Bruxelles, due anni dopo l’avvio del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    Tutto è legato agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano a tappe del governo di Pristina dal primo novembre fino alla primavera 2023 per la re-immatricolazione delle auto con targa serba nel Paese. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia). “Il ritiro dei serbi dalle istituzioni ha creato un vuoto nel nord del Kosovo e in questo vuoto tutto può succedere“, è l’allarme dell’alto rappresentante Ue: “Ora dobbiamo evitare lo scontro frontale”.
    Inevitabilmente l’appello è al “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte della Serbia di Vučić. Ma anche Pristina è chiamata a “rientrare nel dialogo sulle targhe”, che al momento non soddisfa Bruxelles. In altre parole “entrambe le parti devono dimostrare la volontà di ridurre le tensioni” ed è per questo che i capi-negoziatori di Serbia e Kosovo “inizieranno in questi giorni a lavorare sulle tappe future” di un dialogo che deve dare frutti in tempi strettissimi: “Convocherò i leader [Vučić e Kurti, ndr] solo se i negoziatori raggiungeranno un accordo entro il 21 novembre“, ha messo in chiaro Borrell, precisando che “se non dovessimo raggiungerlo, ci troveremmo in una situazione molto pericolosa”.
    Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a margine del Paris Peace Forum (11 novembre 2022)
    I due partner dell’Unione Europea “sono a un bivio, devono decidere se imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato“, che ha già visto una guerra etnica tra il 1998 e il 1999. E da Bruxelles ci si aspetta “volontà a cercare soluzioni europee”. L’alto rappresentante Borrell ha riportato alla stampa che dal Consiglio Affari Esteri di oggi (lunedì 14 novembre) è uscito un messaggio di spinta verso “progressi chiari”, che coinvolgono sia missioni sul campo – come quella dell’italiano Antonio Tajani la settimana prossima a Pristina e Belgrado – sia un quadro di compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È qui che si inserisce la “proposta chiara” dell’inedita coppia Francia-Germania (qui tutti i dettagli), definita da Borrell “una proposta europea, una bussola di due pagine” che dovrebbe portare a un nuovo orizzonte per Serbia e Kosovo.
    “Dobbiamo riuscire a leggere il problema con lenti diverse”, ha spiegato l’alto rappresentante Ue, parlando “non più di gestione delle crisi, ma di soluzioni strutturali, perché il percorso europeo richiede questo”. La modalità ‘gestione delle crisi’ è ciò che ha caratterizzato finora il dialogo: “Ne abbiamo avute in continuazione, una volta usciti da una, ce ne troviamo un’altra da affrontare”, come l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, il riconoscimento dei documenti di identità, le rispettive targhe per i veicoli alla frontiera e sul territorio nazionale. Invece il nuovo approccio – che “nessuna delle due parti a Parigi ha rifiutato, è già un successo” – deve puntare sulla prevenzione alla radice dei problemi, per “evitare che si manifestino crisi”. A oggi però Serbia e Kosovo si trovano nel pieno della più grave degli ultimi dieci anni e hanno solo una settimana per trovare una soluzione sostenibile e non rendere ancora più spinosa la situazione già delicatissima nel cuore dei Balcani Occidentali.

    Dopo i colloqui bilaterali a Parigi con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti, Borrell ha messo in chiaro che i capi-negoziatori hanno tempo fino al 21 novembre per trovare un’intesa: “Sono a un bivio, tra imboccare la strada verso l’Ue o verso il passato”