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    Ue e Regno Unito hanno raggiunto un’intesa post-Brexit per mettere fine alle contese sul Protocollo sull’Irlanda del Nord

    Bruxelles – Un accordo che dovrebbe porre fine alle tensioni costanti tra Unione Europea e Regno Unito sulla delicatissima questione del commercio nel Mare d’Irlanda, a due anni dalla separazione ufficiale tra Londra e Bruxelles. “Possiamo annunciare con orgoglio di essere riusciti a raggiungere un’intesa di principio sul Protocollo sull’Irlanda del Nord, che può offrire soluzioni di lungo termine per le preoccupazioni reciproche”, è l’annuncio in conferenza stampa della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al termine del confronto con il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, al castello di Windsor.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)
    Da mesi si sono intensificati i contatti tra Londra e Bruxelles per trovare una soluzione sostenibile alle controversie riguardanti la tessera più complicata del puzzle Brexit. “Ci siamo impegnati duramente, non è stato facile”, ha confessato la numero uno dell’esecutivo comunitario. Ma quello che viene definito ‘quadro Windsor‘ è un “pacchetto comprensivo di misure per affrontare in modo definitivo le sfide della vita di tutti i giorni” nell’isola d’Irlanda in generale e in Irlanda del Nord in particolare. Come confermato dal premier britannico, “ci sarà un sistema di corsie verdi e corsie rosse” per le merci in transito dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord (parte del Regno Unito). Le corsie verdi garantiranno un “commercio fluido” tra le due sponde del Mare d’Irlanda per tutte le merci che non saranno riesportate verso il Mercato Unico dell’Ue (“la burocrazia sarà eliminata per ristoranti, supermercati, negozi e farmacie”, ha puntualizzato Sunak), mentre le corsie rosse garantiranno il rispetto degli standard stabiliti dall’Unione per le merci che interessano il mercato dei Ventisette.
    È questa l’introduzione più rilevante del ‘Windsor framework’ aggiunto al Protocollo dell’accordo di recesso tra Ue e Regno Unito, redatto per preservare l’unità dell’isola secondo l’accordo del Venerdì Santo del 1998. “Assicurerà che lo stesso cibo sia disponibile sugli scaffali dei supermercati dell’Irlanda del Nord come nel resto del Regno Unito e permetterà che tutte le medicine siano garantite alle stesse condizioni”, sono gli esempi forniti dalla numero uno della Commissione Ue. Allo stesso tempo però saranno di fondamentale importanza le “salvaguardie” per l’Unione, come l’accesso alla sorveglianza IT e alle procedure di implementazione degli accordi. In questo senso si inserisce il ruolo della Corte di Giustizia dell’Ue, che avrà “l’ultima parola sulle questioni legali”, compreso sul nuovo “freno d’emergenza” che l’Assemblea dell’Irlanda del Nord potrà attivare in caso di “preoccupazioni per la modifica di leggi Ue” sul quadro commerciale nell’isola. Come rendono noto funzionari europei, il meccanismo d’emergenza potrà essere attivato dal governo di Londra su richiesta di “almeno 30 membri” (su 90) del Parlamento di Belfast per questioni che coinvolgono aspetti del Protocollo.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)
    Nonostante gli ultimi due anni non siano stati particolarmente semplici per le relazioni tra le due sponde della Manica sulla questione del commercio nell’Irlanda del Nord, tra Londra e Bruxelles le nubi di tempesta sembrano diradarsi. “Il clima è molto più costruttivo da quando Sunak è diventato premier” il 24 ottobre dello scorso anno, confermano le stesse fonti Ue. E anche se l’inquilino di Downing Street 10 ci tiene a rimarcare che “l’unica legge Ue in vigore è il minimo necessario per evitare il confine duro sull’isola d’Irlanda e per garantire l’accesso delle merci al Mercato Unico” per l’Irlanda del Nord, non passano inosservati i ringraziamenti calorosi a von der Leyen: “Ha avuto una visione che ci ha spianato la strada, e anche se abbiamo avuto differenze nel passato, siamo alleati, amici e partner commerciali“. Di qui l’inizio oggi (27 febbraio) di “un nuovo capitolo delle nostre relazioni” che “preserva il delicato equilibrio dell’Accordo del Venerdì Santo”, ha sottolineato Sunak. Si potranno ora aprire le discussioni anche sulla “partecipazione del Regno Unito al programma Horizon Europe“, ha anticipato von der Leyen, mentre funzionari a Bruxelles precisano che al momento Londra non ha manifestato interesse per il programma Erasmus.
    I due anni di contesa sull’Irlanda del Nord
    La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi – con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso, che da oggi potrebbe mettere fine alle ultime scorie di tensione tra le due sponde della Manica.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il premier britannico, Rishi Sunak, hanno messo nero su bianco i termini per un nuovo accordo a due anni dalla separazione. Corsie differenziate per merci destinate al mercato nordirlandese e quelle da riesportare nell’Unione

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    L’Ue approva il decimo pacchetto di sanzioni alla Russia ma l’accordo arriva in extremis

    Bruxelles – Un accordo sul filo di lana per non venire meno alla promessa di approvare il decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia nella data simbolica del 24 febbraio. A due ore dalla mezzanotte, dopo trattative dell’ultimo minuto, gli ambasciatori dei 27 Stati membri hanno raggiunto ieri un accordo sul decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, nel giorno del primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. “Insieme, gli Stati membri dell’Ue hanno imposto le sanzioni più forti e di vasta portata mai viste per aiutare l’Ucraina a vincere la guerra”, ha annunciato la presidenza della Svezia alla guida dell’Ue su Twitter. “L’Ue è unita all’Ucraina e al popolo ucraino. Continueremo a sostenere l’Ucraina finché sarà necessario”.

    Together, the EU Member States have imposed the most forceful and far-reaching sanctions ever to help Ukraine win the war.
    The EU stands united with Ukraine and the Ukrainian people. We will keep supporting Ukraine, for as long as it takes.
    (3/3)
    — Swedish Presidency of the Council of the EU (@sweden2023eu) February 24, 2023

    Tra le altre cose, le sanzioni proposte prevedono nuovi divieti commerciali su componenti di macchinari, pezzi di ricambio per camion e motori che possono essere diretti alle forze armate della Russia e restrizioni all’esportazione di 47 componenti elettronici utilizzati nei sistemi armati russi, come droni, missili, elicotteri, ma anche tecnologie a duplice uso presenti sui campi di battaglia. Il valore del blocco delle esportazioni, secondo von der Leyen, è di circa 11 miliardi di euro. Per la prima volta Bruxelles colpisce anche la macchina della propaganda russa, elencando i propagandisti di Putin così come altri comandanti militari e politici nella lista nera Ue ed estende le sue sanzioni prendendo di mira sette entità connesse alle Guardie rivoluzionarie iraniane, l’organizzazione paramilitare che secondo Bruxelles fornisce armi a Mosca.
    Nonostante un sostanziale accordo tra 26 Paesi Ue raggiunto già a inizio settimana, il pacchetto è rimasto in stallo al Consiglio Ue per circa due giorni, bloccato dal veto della Polonia che si è detta contraria ad ammorbidire le restrizioni sulle importazioni di gomma sintetica russa. Per le sanzioni è necessaria l’approvazione all’unanimità in seno al Consiglio. Secondo Varsavia, le restrizioni proposte sulle importazioni di gomma russa prevedevano talmente tante esenzioni e periodi di transizione così lunghi che non avrebbero alcun effetto in pratica.
    Dopo aver sospeso i lavori della riunione tra gli ambasciatori convocata per ieri mattina, la presidenza di Stoccolma ha portato avanti nel pomeriggio colloqui bilaterali con i Paesi per riuscire a trovare un accordo sulle misure. A quanto si apprende, in cambio del via libera, la Polonia avrebbe ottenuto un impegno (pur non vincolante) dalla presidenza su una serie di questioni, come portare avanti il lavoro per sanzionare i diamanti e report della Commissione sulla gomma sintetica con la promessa di una eventuale rimodulazione delle sanzioni sulle relative importazioni. La presidenza ha lanciato la procedura scritta di approvazione del pacchetto con scadenza questa mattina, se non ci saranno obiezioni le sanzioni saranno formalmente pubblicate in Gazzetta. L’accordo politico è stato raggiunto entro la scadenza simbolica della mezzanotte del 24 febbraio, ma secondo molti il ritardo complessivo accumulato ha impedito all’Unione europea di confermare un impegno simbolico nei tempri previsti dalla giornata.

    Intesa sul filo di lana sulle nuove sanzioni con il via libera della Polonia che ottiene in cambio l’impegno (non vincolante) della presidenza Ue di una eventuale rimodulazione delle sanzioni sulle importazioni di gomma sintetica

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    Dentro la risoluzione Onu per la pace giusta in Ucraina: chi sono i Paesi astenuti e i contrari

    Bruxelles – Le Nazioni Unite, dopo due giorni di bagarre, hanno approvato con una maggioranza schiacciante la risoluzione per una “pace giusta” in Ucraina. 141 i voti a favore, 7 i contrari, 32 gli astenuti: a un anno dall’inizio dell’invasione russa e dalla prima risoluzione Onu, lo scacchiere internazionale rimane pressoché invariato. Il 2 marzo 2022 infatti, in un clima sconvolto dalle immagini dei primi tank dell’esercito di Mosca che oltrepassavano il confine con l’Ucraina, 141 Paesi votarono in fretta e furia una risoluzione in cui si chiedeva il ritiro delle truppe russe. In quell’occasione, i contrari furono 5, gli astenuti 35.
    Nel club filorusso che un anno fa contava, oltre al Cremlino, Bielorussia, Corea del Nord, Siria e Eritrea, figurano ora anche Nicaragua e Mali, che nel 2022 si erano astenute in sede Onu. Entrambe d’altronde, nell’ultimo periodo hanno rinsaldato i legami con Mosca: nella repubblica centro-americana, il presidente Daniel Ortega ha autorizzato lo scorso luglio l’ingresso nel Paese a truppe, aerei e navi russe per scopi di addestramento e pubblica sicurezza, rafforzando così la storica vicinanza politica, che esiste dai tempi del supporto dell’Unione Sovietica alla rivoluzione sandinista del 1979. In Mali invece, per mantenere il potere la giunta militare di Assimi Goïta si appoggia al gruppo Wagner, la milizia di mercenari legata al Cremlino e al Ministero della Difesa russo.
    I partner dell’Ue che si sono astenuti all’Onu
    Tra i 32 astenuti, oltre a Cina e India, spiccano soprattutto alcuni Paesi partner dell’Unione europea: Algeria, Sud Africa, Etiopia, Kazakistan. L’Algeria, “partner chiave per l’Ue nell’ambito del vicinato meridionale”, con cui nel 2017 sono state adottate le priorità comuni del partenariato per un “impegno politico e cooperazione rafforzata”; il Sud Africa, dove l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue, Josep Borrell, si è recato solo un mese fa per la 15esima sessione del Dialogo politico ministeriale, e in cui proprio Borrell aveva sottolineato il contributo potenziale del governo di Pretoria per mettere fine all’aggressione della Russia contro l’Ucraina; il Kazakistan, che nel 2015 ha firmato con l’Ue l’Accordo di Partnership e Cooperazione rafforzata (Epca), entrato in vigore nel 2020. E l’Etiopia, che a novembre ha trovato l’accordo per il cessate il fuoco con il Fronte popolare del Tigray, e la cui popolazione è stata sostenuta da Bruxelles con aiuti allo sviluppo e aiuti umanitari prima e durante il conflitto. Due invece i Paesi che si erano astenuti un anno fa e che si sono convinti della necessità di fermare l’aggressione militare di Mosca: si tratta di Iraq e Madagascar.
    “Prenderemo nota dei Paesi che si sono astenuti“, ha commentato a proposito la portavoce della Commissione europea, Nabila Massrali, a cui ha fatto immediatamente eco il rappresentante capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, che ha promesso: “Continueremo i nostri sforzi pedagogici per spiegare la posizione dell’Ue, che è quella del rispetto del diritto internazionale, a tutti i nostri Partner nel mondo”. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha preferito rimarcare la “schiacciante maggioranza” che ha “affermato chiaramente che la Russia deve fermarsi”, e che deve farlo “ora”. Le zone d’ombra lasciate dalla risoluzione delle Nazioni Unite, definita dal vicepresidente del Consiglio italiano, Antonio Tajani, “un grande successo”, per il momento non preoccupano Bruxelles, decisa a continuare “a discutere con tutti i partner per far comprendere sempre di più le origini di questo conflitto e la necessità di porvi fine“.

    The United Nations General Assembly #UNGA has voted today.
    141 countries called for a just, lasting and comprehensive peace in #Ukraine.
    The overwhelming majority of the international community has spoken clearly: Russia must stop its aggression.
    It needs to stop now. pic.twitter.com/pL5ic7gUoe
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 23, 2023

    Con 141 voti favorevoli, 7 contrari e 32 astenuti, le Nazioni Unite hanno ribadito la necessità che Mosca fermi la sua guerra di aggressione. Ma rispetto alla prima risoluzione del marzo del 2022, anche Nicaragua e Mali si sono schierate con il Cremlino. E tra gli astenuti figurano alcuni partner dell’Ue

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    L’Ue studia il documento della Cina sulla soluzione politica alla crisi ucraina: “Non è piano di pace, ma principi politici”

    Bruxelles – L’Unione Europea è pronta a supportare “qualsiasi sforzo di mediazione e piano di pace genuino e significativo” per mettere fine a all’invasione russa dell’Ucraina che proprio oggi (24 febbraio) arriva al primo anno dal suo inizio. Ma il documento in 12 punti che arriva da Pechino sulla Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina è considerato “selettivo e insufficiente” dalla Commissione Europea, soprattutto per il fatto che “non prende in considerazione chi è l’aggressore e chi è la vittima” nel contesto di guerra.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (24 febbraio 2023)
    A spiegare nel dettaglio la visione dell’esecutivo comunitario sul cosiddetto piano di pace della Cina – pubblicato questa mattina dal ministero degli Esteri cinese – è la portavoce responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, facendo riferimento alle parole della numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Il documento della Cina non è un piano di pace, ma sono principi politici, e bisogna considerarlo alla luce del contesto generale”, ha commentato con cautela la presidente in conferenza stampa a Tallinn (Estonia). “Non possiamo dimenticare che prima dell’invasione dell’Ucraina Pechino ha firmato un partenariato senza limiti con Mosca“, ha continuato von der Leyen, con riferimento all’intesa tra i due Paesi del 4 febbraio dello scorso anno: “Considereremo i principi presentati dalla Cina, ma nel quadro generale” dei rapporti internazionali.
    Parlando con la stampa europea, la portavoce dell’esecutivo Ue ha fornito ulteriori dettagli sulla posizione del Berlaymont. “Si tratta di una posizione politica che prende in considerazione solo alcuni aspetti della Carta delle Nazioni Unite” e che “si basa su un focus errato sui cosiddetti interessi legittimi di sicurezza e preoccupazioni delle parti coinvolte“, con implicazioni su una presunta “giustificazione” della guerra di aggressione. Secondo il copione dell’ultimo anno, Bruxelles continua a fare pressioni sulla Cina perché “si impegni a premere sulla Russia per mettere fine agli attacchi e rispettare i confini internazionalmente riconosciuti” dell’Ucraina, è quanto ribadito dalla portavoce Massrali, parlando di una “pace giusta basata interamente sulla Carta delle Nazioni Unite, compresa l’integrità territoriale e il diritto all’autodifesa” e biasimando Pechino per l’astensione sulla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di ieri (23 febbraio), che ha rinnovato il monito alla Russia di ritirare il suo esercito dal territorio ucraino.
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    Sempre a Tallinn anche il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, si è esposto sul documento cinese, con più durezza rispetto alla presidente della Commissione Ue: “Pechino non ha molta credibilità perché non ha mai condannato l’invasione russa e prima della guerra ha firmato il partenariato senza limiti con Mosca”. Stoltenberg ha poi ribadito quanto già affermato martedì (21 febbraio) in risposta al discorso alla nazione di Vladimir Putin: “Quello che vediamo in Ucraina non è una preparazione alla pace, ma a una nuova offensiva russa” e anche se la prospettiva rimane quella di “finire prima o poi questa guerra ai tavoli dei negoziati”, questo dipende da “ciò che succederà sul campo di battaglia”.
    In altre parole, “l’unico modo per creare le condizioni perché Putin capisca che non può vincere sul campo di battaglia e si sieda al tavolo dei negoziati accettando l’Ucraina come nazione indipendente e sovrana” è un ulteriore “supporto militare a Kiev ora” da parte della comunità internazionale. Tornando alla Cina, il segretario generale della Nato ha precisato che “non vediamo nessun segno di invio di armamenti leggeri a Mosca, ma ci sono indicazioni che potrebbe considerarlo“. Di qui l’avvertimento a Pechino di “non farlo, perché significherebbe un supporto alla guerra di aggressione e una violazione della Carta delle Nazioni Unite”. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, “la Cina ha un compito speciale per proteggerla”, ha sottolineato con forza Stoltenberg.

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    Tra crisi energetica e rischio recessione, un anno di guerra in Ucraina

    Bruxelles – Il primo colpo, il primo sparo, e l’inizio di un periodo fatto non solo di aggressione, morti e distruzione, ma pure di crisi delle materie prime, shock energetici, rischio di una crisi alimentare mondiale, inflazione a doppia cifra, rincaro dei generi alimentari. 24 febbraio 2022–24 febbraio 2023, un anno di guerra russo-ucraina che ha ridisegnato anche l’agenda europea per la sostenibilità. Da un punto di vista a dodici stelle l’ha fatto imprimendo un’accelerazione verso la realizzazione di una vera green-economy, ma innescando all’interno della stessa unione un dibattito tutto nuovo sul nucleare tradizionale considerato come necessità, in tempi di corsa alla ricerca di alternative al gas per decenni pompato da Gazprom. Un dibattito che non ha lasciato indifferente l’Italia, dove il cambio di governo avvenuto a settembre ha visto riproporre la questione dell’energia prodotta da atomo. La Lega di Matteo Salvini torna a insistere su questo punto.
    Le sfide nella sfida. L’Unione europea che ha saputo varare nove pacchetti di sanzioni contro la Russia, in questo anno di attività militare su suolo ucraino ha dovuto cercare soprattutto di trovare un’unità non scontata. Perché sull’energia i 27 modelli economici, interconnessi ma non identici, sono andati in difficoltà. Eppure in nome dell’obiettivo di privare le casse di Mosca di risorse utili al finanziamento della guerra la Germania ha saputo liberarsi dei gasdotti NordStream e Nordstream 2, l’Ue ha prima messo una moratoria al carbone russo, poi al petrolio, quindi trovato il meccanismo per calmierare i listini del gas naturale. Una richiesta posta sul tavolo da Mario Draghi, ai tempi in cui sedeva a palazzo Chigi, e che ha richiesto mesi prima di una realizzazione pratica e condivisa. Adesso scatterà automatica un ‘price cap’ di fronte a due condizioni contemporaneamente: quando il prezzo della risorsa sul mercato olandese TTF supera i 180 euro per Megawattora per 3 giorni lavorativi e quando il prezzo TTF mensile è superiore di 35 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL sui mercati globali per gli stessi tre giorni lavorativi.
    E’ questo uno dei successi dell’Ue, non immediato né semplice. Ma doveroso. Perché l’aumento dei prezzi dell’energia ha trainato l’inflazione, rendendo complicata la vita di famiglie e imprese, e facendo paventare rischi di una nuova recessione per l’Eurozona. Rischi scongiurati, ma solo alla fine del 2022, quando la contrazione data per scontata non si è materializzata. Merito della sospensione delle regole europee di finanza pubblica e dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che hanno permesso di contrastare il caro-bollette. Merito anche di un accordo trovato grazie alle mediazione della Turchia che ha permesso la partenza delle navi cariche di grano ferme nel porto di Odessa.
    Uno dei mantra ripetuti è quello per cui la guerra innescata il 24 febbraio di un anno fa offre l’opportunità di accelerare la transizione verde, e il passaggio ad un’economia davvero a prova di surriscaldamento del pianeta. In questo non semplice esercizio l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. La sostituzione del gas naturale con quello liquefatto (Gnl) rimette in moto i cantieri, crea occupazione, e può permettere al Paese di diventare il terzo hub dell’Ue per capacità. Qui, la sfida nella sfida è fare presto e bene. Presto e bene è anche la condizione numero uno per l’attuazione dei piani di ripresa, divenuti centrali per la Commissione Ue e anche per l’insieme degli Stati riuniti in Consiglio. Con l’Europa a caccia di materie prime necessarie per realizzare pannelli fotovoltaici, batterie elettriche, turbine eoliche, e alla ricerca di fornitori più affidabili di energia, si ridisegna anche la cartina geopolitica, con l’Italia anche qui protagonista. Da Draghi a Meloni il governo ha iniziato a scrivere una nuova pagina di relazioni con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Fondamentali, in tempi in cui gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere massicciamente la propria industria tecnologica pulita.
    La Casa Bianca produce l’Inflation Reduction Act, piano da circa 369 miliardi di dollari per rispondere all’aumento generalizzato dei prezzi. Sovvenzioni e sgravi fiscali per rilanciare l’industria, quella al centro dell’agenda dell’Ue, che sulla scia delle conseguenze della guerra vede anche lo spettro della concorrenza del partner transatlantico, e i dubbi che non sia leale. Non si vuole lo scontro, ma l’Ue si trova comunque a dover correre e rispondere in un contesto che resta di incertezza e instabilità.
    Vale anche per il piano ambientale. L’occupazione delle centrale nucleare di Zaporizhzhia, con combattimenti tutt’attorno tiene col fiato sospeso non solo l’Unione europea, per i rischi di incidenti dalle conseguenze irreparabili per natura e salute. I pacchetti di sanzioni dell’Ue includono personalità ritenute responsabili anche di questo atto. Il blocco dei Ventisette vorrebbe annunciare il decimo pacchetto di misure restrittive nelle prossime ore, per ragioni simboliche: un anno dall’inizio della guerra.
    In un anno che ha scompaginato agende e logiche, si è assistito anche all’accelerazione dei processi di allargamento, quello Ue da una parte e quello Nato dall’altro. Ucraina e Moldova hanno visto ricevere lo status di candidati all’adesione all’Unione europea, con le stesse prospettive concesse alla Georgia. Mentre Finlandia e Svezia hanno sfatato il tabù della neutralità per iniziare il percorso di adesione all’Alleanza atlantica.

    Messa al bando per carbone e petrolio, l’impegno per la ricostruzione, azzerato il sistema bancario. Dieci pacchetti di sanzioni e molto di più. Un anno di conflitto in pillole

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    Fumata nera sul decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, mentre Kiev spinge per colpire l’industria nucleare di Mosca

    Bruxelles – Fumata nera. A poche ore dalla scadenza del 24 febbraio, quando ricorrerà il primo anniversario dell’inizio dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, gli ambasciatori dei 27 Stati membri ancora non riescono a trovare un accordo sul decimo pacchetto delle sanzioni e rimandano a domani. I rappresentanti permanenti presso l’Ue si sono riuniti questa mattina al Coreper, il comitato in cui si riuniscono, per approvare il nuovo pacchetto di misure restrittive annunciate da Ursula von der Leyen lo scorso 15 febbraio che prenderanno di mira non solo Mosca, ma anche Teheran.
    Tra le altre cose, le sanzioni proposte prevedono nuovi divieti commerciali su componenti di macchinari, pezzi di ricambio per camion e motori che possono essere diretti alle forze armate della Russia e “restrizioni all’esportazione di 47 componenti elettronici utilizzati nei sistemi armati russi, come droni, missili, elicotteri, ma anche tecnologie a duplice uso presenti sui campi di battaglia. Il valore del blocco delle esportazioni, secondo von der Leyen, è di circa 11 miliardi di euro. Per la prima volta Bruxelles colpisce anche la macchina della propaganda russa, elencando “i propagandisti di Putin così come altri comandanti militari e politici” nella lista nera Ue.
    A quanto si apprende, restano ancora dei punti di distanza, in particolare sul nuovo criterio di designazione dei familiari di persone già oggetto di sanzioni, richiesto da Polonia e Paesi baltici, e sugli obblighi di informativa dettagliata del settore finanziario sugli asset e riserve della Banca Centrale Russa (e relative sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto dell’obbligo di informativa dettagliata), con l’obiettivo di rafforzare il monitoraggio su asset immobilizzati e congelati. Una misura fortemente voluta dalla Commissione Ue, ma su cui alcune delegazioni hanno continuato a sollevare dubbi sulla realizzabilità. Pur con queste distanze, a quanto si apprende, è comunque stata riconfermata la volontà dei Ventisette di dare un segnale di unità con un accordo sul decimo pacchetto entro la data simbolica del 24 febbraio, e dunque la discussione è stata riaggiornata a domani pomeriggio con un nuovo Coreper. Nel frattempo proseguiranno contatti bilaterali dell’Esecutivo comunitario con gli Stati membri per definire gli ultimi dettagli rimasti da chiarire.
    Mentre i governi Ue fanno fatica a raggiungere la quadra politica sul decimo pacchetto di sanzioni, gli ambasciatori dei Ventisette sono stati raggiunti nelle discussioni questa mattina dalla vicepremier ucraina e ministro dell’Economia, Yulia Svyrydenko. La ministra di Kiev è tornata a insistere sulla necessità di colpire l’industria nucleare di Mosca nelle sanzioni, una questione riportata sul tavolo anche dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky che il 9 febbraio era a Bruxelles per prendere parte al Vertice Ue insieme ai leader dei 27.“Credo che sia importante persuadere i nostri partner sull’inserimento dell’industria nucleare e l’azienda russa Rosatom”, ha detto parlando in un punto stampa al termine della riunione. Si è detta consapevole del fatto che l’industria nucleare di Mosca ha un impatto globale su molti Paesi “ma questo non può essere una ragione per evitare le sanzioni sull’industria nucleare russa”. La vicepremier ha incalzato Ue e Usa sull’industria nucleare, altrimenti Mosca “continuerà a comportarsi da Stato terrorista”. Per Kiev è necessario prendere di mira con più sanzioni non solo l’industria dell’atomo, ma anche nel settore dei diamanti e in quello finanziario, su cui le discussioni vanno avanti da tempo, ma senza fare progressi.
    Rosatom è il colosso di stato russo, fondato nel 2007,che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi dell’atomo del Paese, oltre che l’attuale gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia, nell’Ucraina orientale. L’Unione europea dipende dalla Russia anche per le importazioni di uranio, una componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime disponibili dell’agenzia di approvvigionamento di EURATOM (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato in UE arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger.
    ’agenzia EURATOM stima inoltre che il 26 per cento dell’uranio arricchito, usato nel processo di produzione dell’energia nucleare, arrivi dalla Russia, con un calo deciso rispetto all’anno precedente (circa il 25 per cento) ma che ancora testimonia una forte dipendenza tra la Russia e l’UE nel settore della tecnologia nucleare. Bruxelles importa da Mosca anche reattori nucleari e parti di reattori. Ad oggi, ci sono 18 reattori nucleari nella UE che fanno affidamento sulle barre di combustibile esagonali in arrivo dalla Russia: due in Bulgaria, sei nella Repubblica Ceca, due in Finlandia, quattro in Ungheria e quattro in Slovacchia.
    Secondo i dati del think tank Bruegel, Mosca nel 2019 ha esportato beni nucleari per un valore di circa 3 miliardi di dollari (circa 2,7 miliardi di euro), con il 60 per cento delle sue esportazioni di materiale nucleare e tecnologia rappresentato da uranio arricchito e plutonio (utilizzabile anche come combustibile nei reattori) in Germania, Francia, Paesi Bassi e Svezia e gli Stati Uniti. Complessivamente, il think tank di Bruxelles stima la Russia rappresenta il 33 per cento delle esportazioni mondiali di uranio arricchito usato per i reattori nucleari.
    Tra i governi Ue per ora non c’è consenso sulla questione, con Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Irlanda che spingono su questo fronte, mentre altri come l’Ungheria frenano. “Le sanzioni a Rosatom minaccerebbero la sicurezza nucleare globale, dato si tratta di uno dei principali attori dell’industria nucleare mondiale”, ha ribadito oggi il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, in conferenza stampa al termine dell’incontro a Budapest con Rafael Grossi, direttore generale della Agenzia internazionale per l’energia atomica. Il ministro ha poi sottolineato la necessità di “intraprendere un’azione energica per garantire che le sanzioni dell’Ue non influiscano in alcun modo sul settore nucleare russo, poiché – ha aggiunto – questo potrebbe danneggerebbe gli interessi nazionali fondamentali dell’Ungheria, minacciando al contempo anche la sicurezza nucleare globale”.

    Giovedì nuova riunione degli ambasciatori al Coreper per approvare il decimo pacchetto di sanzioni entro la data simbolica del 24 febbraio, quando sarà trascorso un anno dall’inizio dell’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina

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    La leader bielorussa Tsikhanouskaya esorta a distinguere tra popolo e regime: “Lukashenko alleato di Putin, noi con Kiev”

    Bruxelles – Ripartire dalla società civile per impedire alla Russia di Putin di continuare a sfruttare la Bielorussia come un sostegno e uno Stato vassallo nella guerra contro l’Ucraina. Ma anche per mettere fine a generalizzazioni e discriminazioni nei confronti del popolo bielorusso (e verrebbe da estendere il ragionamento anche a quello russo) come co-belligerante al fianco del Cremlino, anche chi lotta contro il regime di Alexander Lukashenko. Con questi messaggi rivolti a Bruxelles e ai 27 Paesi membri Ue è intervenuta oggi (22 febbraio) alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese), Christa Schweng (22 febbraio 2023)
    “Sono qui in questa Aula a nome del popolo bielorusso”, ha rivendicato Tsikhanouskaya, aprendo il suo discorso di fronte ai rappresentanti della società civile, dei lavoratori e dei datori di lavoro dell’Ue ed elogiandone l’operato: “È cruciale che l’Ue implementi le raccomandazioni del report sui media indipendenti in Bielorussia“, perché “siamo in un momento decisivo per l’Europa, il suo destino si decide sul campo di battaglia in Ucraina ma anche in tutte le capitali europee“. È qui che si inserisce la necessità di supportare la società civile bielorussa: “O difendiamo la democrazia, o lasciamo i dittatori vincere”, ha incalzato la presidente ad interim. Dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, “sono 1.500 i prigionieri politici in tutto il Paese e il numero cresce ogni giorno“, mentre nelle prigioni del regime di Lukashenko “vengono negati i diritti umani basilari”.
    Continuando il suo intervento alla plenaria del Cese, Tsikhanouskaya ha ricordato come “nel suo disperato tentativo di rimanere al potere, Lukashenko sta cercando di colpire anche chi è all’estero” con gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, che hanno introdotto la possibilità di privare della cittadinanza chi è condannato per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia” – anche in assenza dell’imputato a processo – e rendendo queste persone potenziali apolidi. A questo si aggiunge il voto favorevole di lunedì (20 febbraio) del “Parlamento fantoccio” alla possibilità di punire con la pena di morte soldati e ufficiali per tradimento: in altre parole “chi critica il regime può essere fucilato”.
    L’intervento della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (22 febbraio 2023)
    La leader delle forze di opposizione è direttamente coinvolta nella repressione del regime, anche se ormai da due anni e mezzo esule in Lituania. Lo scorso 17 gennaio è iniziato il processo in contumacia a suo carico, “una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, ha attaccato Tsikhanouskaya, ricordando come suo marito, Siarhei Tsikhanouski, stia affrontando nuove accuse penali – dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e già condannato a 18 anni di reclusione – “per spezzarlo e fare pressione su di me”. Tsikhanouskaya ha poi ricordato Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2022, che rischia dai 7 ai 12 anni di carcere per le accuse di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste. In carcere c’è anche Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020, che a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni e da allora non sono più arrivate notizie. “Non riusciranno a spezzarci, siamo più forti, e intanto la dissidenza continua in piccoli gruppi sotterranei”, ha sottolineato con forza la leader dell’opposizione.
    Tra Bielorussia e Ucraina
    La situazione interna è direttamente collegata allo scenario bellico nel Paese confinante. “Bielorussia e Ucraina stanno combattendo lo stesso demone, cioè l’imperialismo della Russia, la nostra lotta è intrecciata”, ha assicurato Tsikhanouskaya, richiamandosi a quanto già dichiarato a ottobre dello scorso anno di fronte ai membri della commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Europeo: “Dalla vittoria dell’Ucraina dipende il futuro democratico in Bielorussia e viceversa”, dal momento in cui il regime di Lukashenko “minaccia non solo il suo popolo, ma anche i nostri vicini ucraini”. È l’autoproclamato presidente bielorusso ad aver “permesso, facilitato ed essersi unito alla Russia in questa guerra in Ucraina” e, mentre il Parlamento Ue continua a chiedere un allineamento delle misure restrittive contro Minsk a quelle applicate a Mosca, la leader delle forze democratiche propone “una task force per controllare l’applicazione delle sanzioni, perché non devono essere aggirate”.
    Allo stesso tempo i Ventisette devono evitare di cadere in un errore grossolano nei confronti del popolo bielorusso (e, di nuovo, il discorso dovrebbe essere esteso anche al popolo russo). “Da quando è scoppiata la guerra, i bielorussi che vivono all’estero subiscono discriminazioni, anche chi combatte contro il tiranno Lukashenko”. Ma è una questione cruciale “distinguere tra il popolo e il regime” in Bielorussia: “Il popolo che vuole libertà e indipendenza sta con Kiev, il regime invece collabora ed è alleato di Putin, anche Lukashenko deve essere portato davanti alla giustizia internazionale”. A Bruxelles e in tutte le capitali europee “va ascoltata la voce del popolo”, che indica come “illegale” la scelta di sospendere il Partenariato orientale: “Per noi è uno strumento cruciale per aiutare il nostro popolo e per continuare la strada che ci porta nell’Ue”, ha concluso con decisione la leader bielorussa Tsikhanouskaya, appoggiata dalla presidente del Cese, Christa Schweng: “Tutti i politici autoritari hanno paura del potere del popolo, investire in Bielorussia significa investire in Europa”.

    🗣️@Tsihanouskaya at the #EESCplenary:
    “The future of Europe is being decided right now on the battlefields of Ukraine, in the Belarusian underground resistance, and in 🇪🇺 capitals.
    Are we as Europeans able to defend democratic values or will we let tyrannies take over again?” pic.twitter.com/UOmX5O42dV
    — EESC President Christa Schweng (@EESC_President) February 22, 2023

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo, la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue ha denunciato le “discriminazioni dei bielorussi all’estero da quando è scoppiata la guerra, ma stiamo combattendo lo stesso demone”

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    Un anno di guerre e insicurezza economica, nel 2022 un milione di richieste d’asilo in Ue

    Bruxelles – Quasi un milione di richieste d’asilo in Ue in un solo anno non si vedevano dal 2016, l’anno dei record degli arrivi alle frontiere europee. Secondo l’ultima analisi pubblicata dall’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa), nel 2022 nei Paesi membri, più Svizzera e Norvegia, sono state presentate 966 mila domande di protezione internazionale, con un aumento di oltre il 50 per cento rispetto al 2021.
    Se a queste si aggiungono i 4 milioni di profughi ucraini in fuga dalla guerra, per i quali l’Unione europea ha attivato tempestivamente lo status di protezione temporanea, i numeri complessivi sono per distacco i più alti mai registrati sul continente. L’aumento significativo sarebbe dovuto non tanto ai famosi “pull factor” evocati da diversi Paesi Ue quando a Bruxelles si discute di gestione dei flussi migratori , ma al contrario da diversi “push factor“, fattori di spinta, come i conflitti logoranti e l’insicurezza economica e alimentare in molte regioni di origine. Sono infatti ancora cittadini siriani (132 mila) e afghani (129 mila) di gran lunga i richiedenti più numerosi, con aumenti rispettivamente del 24 e del 29 per cento rispetto all’anno precedente. E poi, in ordine, 55 mila turchi, 51 mila venezuelani e 43 mila colombiani. Anche dal Nord Africa, regione colpita duramente dalle conseguenze economiche e alimentari della guerra in Ucraina, i richiedenti asilo sono aumentati significativamente, con 59 mila domande provenienti da Marocco, Egitto e Tunisia.

    Due richiedenti asilo su cinque hanno ricevuto una decisione positiva dalle autorità Ue: il tasso di riconoscimento delle richieste d’asilo è stato del 40 per cento nel 2022, con un aumento di cinque punti percentuali rispetto al 2021 e il massimo negli ultimi cinque anni. Tassi particolarmente alti per siriani, bielorussi, ucraini, eritrei, yemeniti e maliani. Non è andata altrettanto bene ai cittadini di India, Macedonia del Nord, Moldavia, Vietnam, Tunisia, Bosnia-Erzegovina, Serbia e Nepal, con tassi di riconoscimento delle domande di protezione internazionale inferiori al 4 per cento.
    Secondo l’Euaa, i sistemi di asilo europei hanno evitato il collasso grazie alla scelta di “offrire un canale dedicato che non richiedesse un esame individuale” per i cittadini ucraini. Tuttavia, rimarca l’Agenzia europea per l’asilo, “i cinque milioni di persone in cerca di protezione in Europa hanno sottoposto i sistemi di accoglienza nazionali a una notevole pressione“.

    Aumentate di oltre il 50 per cento le domande di protezione internazionale rispetto al 2021: Siria, Afghanistan e Turchia i tre Paesi con più richiedenti. Dall’Ucraina 4 milioni di profughi, a cui l’Ue ha però concesso lo status di protezione temporanea