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    Di Maio è più vicino alla nomina a rappresentante speciale Ue per il Golfo Persico. Possibile via libera già il 15 maggio

    Bruxelles – Il ritorno nei palazzi delle istituzioni comunitarie, non più da ministro del governo italiano ma come rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Golfo Persico. Continua la corsa di Luigi Di Maio verso l’incarico voluto dall’alto rappresentante speciale Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e – nonostante le aspre polemiche che hanno agitato l’opinione pubblica italiana – già lunedì prossimo (15 maggio) potrebbe arrivare il via libero definitivo a Bruxelles.
    L’ex-ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio
    Secondo quanto si apprende da fonti diplomatiche, nella riunione di questa mattina (10 maggio) del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) è stata approvata senza dibattito la proposta dell’alto rappresentante Borrell su Di Maio. Il punto in agenda dei 27 ambasciatori presso l’Ue era previsto secondo i passaggi consiliari per la scelta del candidato alla nuova carica di rappresentante speciale per il Golfo Persico, dopo l’ok al Comitato politico e di sicurezza (Cops) – sempre senza discussioni – e al Gruppo dei Consiglieri per le relazioni esterne (Relex). A questo punto il nome di Di Maio ha bisogno della ratifica finale da parte del Consiglio nella prima formazione dei 27 ministri disponibile e, anche in questo caso si tratta di un punto procedurale che non richiede alcuna discussione. Sempre secondo quanto riferiscono le fonti, la data plausibile potrebbe essere quella del 15 maggio, quando si riunirà a Bruxelles il Consiglio Istruzione, gioventù, cultura e sport.
    L’ex-ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e l’alto rappresentante speciale Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (7 gennaio 2020)
    La Commissione Europea aveva affidato la selezione a un panel di tecnici indipendenti, che aveva poi presentato all’alto rappresentante Borrell una rosa finale di quattro nomi, con il suggerimento caduto su Di Maio “sulla base delle prestazioni fornite dai candidati”. Oltre all’ex-ministro degli Esteri italiano tra il governo Conte 2 e quello Draghi, la lista comprendeva anche l’ex-inviato delle Nazioni Unite in Libia, lo slovacco Jan Kubis, l’ex-ministro degli Esteri greco ed ex-commissario europeo, Dimitris Avramopoulos, e il politico cipriota Markos Kyprianou. Come spiegano le fonti, dal momento della scelta del candidato da parte dell’alto rappresentante Ue tutto l’iter si è composto di una serie di passaggi formali. Anche se per la nomina dei rappresentanti speciali a livello procedurale sarebbe richiesta la maggioranza qualificata, nella pratica la figura indicata dall’alto rappresentante Ue viene semplicemente “accolta” dai rappresentanti diplomatici degli Stati membri, senza un vero e proprio voto. Proprio Borrell aveva indicato l’ex-ministro degli Esteri italiano come “il candidato più adatto” per ricoprire questo nuovo incarico in una lettera del 21 aprile scorso indirizzata agli ambasciatori del Comitato politico e di sicurezza degli Stati membri.
    Cosa farà Di Maio come rappresentante speciale per il Golfo
    In qualità di rappresentante speciale – se la nomina passerà come previsto senza problemi dal Consiglio – l’obiettivo di Di Maio sarà quello di rafforzare e approfondire i rapporti energetici con la regione del Golfo, dal momento in cui per l’Unione è cruciale diversificare l’approvvigionamento di gas dalla Russia e cercare nuovi fornitori di idrocarburi. Il mandato dovrebbe durare 21 mesi, a partire dal primo giugno 2023 fino al 28 febbraio 2025.
    I rappresentanti speciali dell’Ue promuovono le politiche e gli interessi dell’Unione “in regioni e Paesi specifici” e svolgono un ruolo “attivo” negli sforzi per consolidare la pace, la stabilità e lo Stato di diritto, è quanto si legge nella pagina del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae) dedicato alle figure che sostengono il lavoro dell’alto rappresentante Ue nelle regioni interessate. Si tratta di rappresentanti che forniscono all’Unione una “presenza politica attiva” in Paesi e regioni considerati chiave per i Ventisette, agendo come “voce e volto” delle politiche comunitarie.
    A oggi esistono nove rappresentanti speciali che sviluppano la politica estera e di sicurezza dell’Ue: in Bosnia ed Erzegovina (Johann Sattler), per l’Asia centrale (Terhi Hakala), per il Corno d’Africa (Annette Weber), per i diritti umani (Eamon Gilmore), per il Kosovo (Tomáš Szuyog), per il processo di pace in Medio Oriente (Sven Koopmans), per il Sahel (l’italiana Emanuela Claudia Del Re), per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia (Toivo Klaar) e per il dialogo Belgrado-Pristina e altre questioni regionali dei Balcani Occidentali (Miroslav Lajčák).

    Il Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) ha approvato senza dibattito la proposta dell’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per affidare l’incarico all’ex-ministro degli Esteri italiano. La decisione dovrebbe essere ratificata al primo Consiglio disponibile, sempre senza dibattito

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    Tre pilastri per un unico obiettivo nell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia: evitarne l’elusione da Paesi terzi

    Bruxelles – Se i portavoce della Commissione Europea solo ieri (8 maggio) preferivano non sbilanciarsi troppo sul contenuto dell’undicesimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, oggi si capisce il perché. A fornire i primi dettagli della proposta dell’esecutivo comunitario che sono ora sul tavolo del Consiglio dell’Ue è stata la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita al numero uno ucraino, Volodymyr Zelensky, a Kiev nella Giornata dell’Europa. “Permettetemi di approfondire brevemente tre elementi di questo pacchetto”, ha annunciato in conferenza stampa von der Leyen, parlando per la prima volta apertamente della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca a oltre due mesi dall’ultimo pacchetto.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Dopo un mese di lavori “venerdì scorso [5 maggio, ndr] la Commissione ha adottato la sua proposta per l’undicesimo pacchetto di sanzioni”, ha ricordato von der Leyen. Come accennato dai portavoce durante il punto quotidiano con la stampa di 24 ore fa, “questo pacchetto si concentra ora sulla repressione dell’elusione” delle misure restrittive già in vigore, con uno “stretto coordinamento con i nostri partner internazionali, in particolare con il G7”, è quanto puntualizzato dalla leader dell’esecutivo Ue. Sanzioni che, sempre secondo le parole di von der Leyen, “stanno funzionando”, come dimostrato dalle stime che ciclicamente la Commissione tende a ricordare: “Abbiamo ridotto le nostre importazioni dalla Russia di quasi due terzi, privandola così di flussi di reddito cruciali”, ha precisato al fianco del presidente ucraino Zelensky. Dopo dieci tornate “abbiamo già imposto un prezzo pesante al Cremlino” per la sua invasione dell’Ucraina e Bruxelles continuerà a “fare tutto ciò che è in nostro potere per erodere la macchina da guerra di Putin e le sue entrate”.
    È per questo motivo che, prima di andare a colpire nuovi settori dell’economia russa, secondo il gabinetto von der Leyen è necessario azzerare le entrate che ancora sono possibili grazie all’aggiramento delle misure restrittive attraverso Paesi terzi. Per farlo la Commissione ha deciso di fondare la propria strategia su tre fondamenta. “In primo luogo stiamo affinando i nostri strumenti esistenti, con altri prodotti al nostro divieto di transito“, ha spiegato von der Leyen: “Prodotti tecnologici avanzati o parti di aeromobili destinati a Paesi terzi attraverso la Russia non finiranno più nelle mani del Cremlino”. Sarà poi messo in campo un lavoro di contrasto alle “entità ‘ombra’ della Russia e dei Paesi terzi che aggirano intenzionalmente le nostre sanzioni”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Ma è soprattutto la terza parte della strategia a interessare l’opinione pubblica e la diplomazia di tutto il mondo, con reazioni minacciose che arrivano anche dalla Cina. “Di recente abbiamo assistito a una crescita di flussi commerciali molto insoliti tra l’Unione Europea e alcuni Paesi terzi, queste merci finiscono poi in Russia“, è il duro avvertimento di von der Leyen. Per Bruxelles è arrivato il tempo di mettere fine a un commercio quasi di contrabbando e con questa intenzione “stiamo proponendo un nuovo strumento per combattere l’elusione delle sanzioni”. Cosa significa, lo spiega la stessa presidente della Commissione Ue: “Se ci accorgiamo che le merci passano dall’Unione Europea a Paesi terzi e poi finiscono in Russia, potremmo proporre agli Stati membri di sanzionare l’esportazione di queste merci“. Si tratterà comunque di una “risorsa ultima, da usare con cautela”, a seguito di una “analisi dei rischi molto accurata e dopo l’approvazione degli Stati membri dell’Ue”.

    We are proposing an 11th package of sanctions:
    The focus is now on cracking down on circumvention, together with our international partners.
    We are:
    1 – Sharpening our existing tools, adding more products to our transit ban.
    2 – Proposing a new tool to combat sanctions… pic.twitter.com/kWIiQnTBfb
    — European Commission (@EU_Commission) May 9, 2023

    Cosa non c’è nell’undicesimo pacchetto di sanzioni
    Nel discorso di von der Leyen c’è però un grande assente: il nucleare russo. “È un lavoro duro, ma alcuni Paesi membri stanno facendo progressi e potete contare che continueremo a spingere in questo senso“, ha voluto specificare la presidente dell’esecutivo comunitario, rispondendo a una domanda specifica sulla presenza o meno del settore nucleare del Cremlino nel nuovo pacchetto di misure restrittive. Gli umori dei 27 governi sono stati testati dalla Commissione attraverso i cosiddetti ‘confessionali’, colloqui riservati tra l’esecutivo comunitario e ciascun ambasciatore presso l’Ue dei 27 Stati membri per raccogliere considerazioni senza filtri da parte dei governi prima di presentare la proposta di sanzioni. Quanto emerge dalle parole di von der Leyen a Kiev è che l’unità ancora non c’è su questo punto e difficilmente si assisterà a un colpo di scena dell’ultimo momento. Secondo quanto confermano fonti europee, la prima discussione tra gli ambasciatori è in programma domani (10 maggio) al Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper), a cui ne seguirà una seconda venerdì.
    È proprio il presidente ucraino Zelensky a chiedere insistentemente da tempo a Bruxelles di inserire l’industria nucleare russa nelle misure restrittive internazionali, come evidenziato anche nella prima storica visita di persona a Bruxelles lo scorso 9 febbraio. Nel mirino in particolare c’è Rosatom, il colosso di Stato fondato nel 2007 che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi nucleari del Cremlino e che nell’ultimo anno di invasione dell’Ucraina è diventato anche gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia. Le resistenze di parte dei Ventisette alle intenzioni di Bruxelles e Berlino derivano soprattutto dal fatto che l’Unione dipende dalla Russia per le importazioni di uranio, componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime dell’agenzia di approvvigionamento di Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato nell’Ue arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger. “Stiamo lavorando molto intensamente con i nostri Stati membri per diversificare ed essere indipendenti”, è l’ultima promessa di von der Leyen al presidente Zelensky. Con vista già a un possibile dodicesimo pacchetto di sanzioni.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fornito qualche dettaglio sulle nuove misure restrittive. Divieto di transito di prodotti tecnologici avanzati, contrasto alle entità ‘ombra’ e nuovo strumento per sanzionare l’esportazione di merci che finiscono a Mosca

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    Von der Leyen è arrivata a Kiev: “I nostri valori difesi ogni giorno, appropriato festeggiare qui la Giornata dell’Europa”

    Bruxelles – Il quinto viaggio, uno dei più simbolici almeno da un punto di vista nella scelta della data. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è arrivata questa mattina (9 maggio) a Kiev, nella capitale di un’Ucraina che da oltre un anno resiste all’invasione russa e punta dritto all’ingresso nell’Unione Europea. E l’occasione non potrebbe essere più adatta: “È bello tornare a Kiev dove i valori a noi cari vengono difesi ogni giorno, è quindi un luogo appropriato per celebrare la Giornata dell’Europa“, ha commentato su Twitter la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario, pubblicando la foto del suo arrivo in stazione a Kiev.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    La Giornata dell’Europa, il 9 maggio, è il giorno in cui in tutta l’Unione si celebra la pace e l’unità sul continente – dal 24 febbraio 2022 minacciata dall’autocrate russo, Vladimir Putin – e che presto sarà festeggiato anche nel Paese che aspira ad aderire all’Ue: “Accolgo la decisione del presidente Volodymyr Zelensky di rendere il 9 maggio Giornata dell’Europa anche qui in Ucraina“. A oggi il 9 maggio in Ucraina si celebra la Giornata della vittoria, la festa nazionale nei Paesi dell’Europa orientale in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, ieri il leader ucraino ha reso noto di voler spostare la festività all’8 maggio (quando effettivamente fu firmata nel 1945 la resa a Berlino), in modo da poter unirsi alle celebrazioni della Giornata dell’Europa il giorno successivo insieme ai Ventisette.
    Arrivata a Kiev la presidente von der Leyen ha visitato il muro della memoria dei caduti per l’Ucraina di fronte al monastero di San Michele, prima di spostarsi nella piazza dove ha potuto osservare i resti dei carri armati e mezzi russi esposti. Parlando in conferenza stampa, la numero uno della Commissione ha ricordato che “stiamo continuando ad aumentare la pressione sulla Russia, l’attenzione è ora rivolta alla rigorosa attuazione delle sanzioni e all’adozione di misure contro l’elusione”, facendo riferimento all’undicesimo pacchetto di sanzioni oggi sul tavolo dei Ventisette: “Siamo determinati a chiudere le scappatoie esistenti, nessuno ne dubiti“. Se la presenza nella capitale ucraina “è simbolica”, non è da sottovalutare il “segno molto concreto del fatto che l’Ue lavora fianco a fianco con l’Ucraina su molte questioni”, ha puntualizzato von der Leyen.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (9 maggio 2023)
    È proprio su questo che si sono concentrate le discussioni con il presidente Zelensky a Kiev: dalla ricostruzione post-bellica del Paese al percorso di adesione Ue, dall’export di grano ucraino (su cui il presidente ucraino ha denunciato “restrizioni assolutamente inaccettabili”) alla responsabilità di Mosca per i crimini di guerra, incluso il tema della costituzione di un tribunale internazionale e dell’utilizzo dei beni confiscati agli oligarchi russi. “I nostri valori comuni possono essere portati a compimento solo se siamo insieme, conto che a giugno sarà presentata una relazione positiva sui progressi dell’Ucraina“, ha dichiarato in conferenza stampa il presidente Zelensky. A questo proposito a partire da oggi si dovrà valutare approfonditamente il percorso di riforme per mettere davvero in campo questo impegno: oltre le parole e i simboli, la verifica minuziosa da parte dell’esecutivo comunitario per puntare a raccomandare al Consiglio l’apertura dei negoziati di adesione entro la fine dell’anno.
    A questi si aggiunge la questione dell’invio delle armi. “Abbiamo discusso la questione della rapidità di consegna delle munizioni, perché ne abbiamo bisogno ora sul campo di battaglia”, ha ricordato Zelensky, ringraziando von der Leyen per la “prontezza dell’Unione Europea nel fornirci un miliardo di proiettili di artiglieria”. La numero uno della Commissione ha messo in chiaro che “la prima priorità è aiutare ad assicurare le munizioni di cui l’Ucraina ha bisogno”, lavorando su tre percorsi: “Il più veloce è il rilascio immediato di munizioni dalle riserve degli Stati membri, abbiamo stanziato un miliardo di euro e sta funzionando”, considerato il fatto che “un numero considerevole di munizioni è stato inviato o è in dirittura di arrivo, ma va fatto di più, urgentemente”. Il secondo percorso è l’accordo della scorsa settimana per “fornire un miliardo di euro per l’approvvigionamento congiunto di munizioni da 152 e 155 millimetri” e “per accelerare questo, il terzo percorso è aiutare gli Stati membri ad aumentare la produzione e accelerare la consegna delle munizioni per rispondere ai bisogni dell’Ucraina e degli Stati membri”.
    Il quinto viaggio di von der Leyen a Kiev
    È la quinta volta dallo scoppio della guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022 che la presidente von der Leyen si reca in viaggio a Kiev. La prima visita è datata 8 aprile 2022, quando la numero uno dell’esecutivo comunitario – insieme con l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell – aveva prima visitato i luoghi dei massacri russi sui civili ucraini a Bucha e poi aveva consegnato nelle mani del presidente Zelensky il questionario per l’adesione del Paese all’Ue. Il ritorno a Kiev aveva avuto luogo due mesi più tardi, con un nuovo round di colloqui con il leader ucraino sul supporto Ue e sull’allargamento dell’Unione l’11 giugno.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, con i 15 commissari europei a Kiev con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro, Denys Shmyhal (2 febbraio 2023)
    Dopo l’estate la terza visita. Il 15 settembre è stato il momento dell trionfo diplomatico per la presidente von der Leyen, quando ha assistito all’incisione del suo nome nella ‘Walk of the Brave’, la strada dei valorosi che hanno combattuto contro la Russia. Con una pausa temporale di cinque mesi, il 2023 si è aperto con la visita ‘doppia’ a Kiev a inizio febbraio. Il 2 febbraio von der Leyen si è messa alla testa di 15 commissari del suo gabinetto per un incontro con le rispettive controparti del governo Shmyhal. Il giorno successivo è andato in scena il 24esimo vertice Ue-Ucraina alla presenza di Zelensky e del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il primo svoltosi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.

    Incontro tra la numero uno della Commissione e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ha annunciato la volontà di anticipare di un giorno la Giornata della vittoria per festeggiare il 9 maggio insieme ai Ventisette la pace e unità in Europa. Confronto su ricostruzione adesione Ue

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    Metsola apre la plenaria del Parlamento Europeo chiedendo la liberazione degli ostaggi europei in Iran

    Bruxelles – Dopo l’esecuzione capitale di Habib Chaab, cittadino iraniano-svedese accusato dal regime teocratico di corruzione e di aver condotto azioni terroristiche, la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, lancia l’ennesimo appello a Teheran: la liberazione “immediata e senza condizioni” di tutti gli ostaggi europei dalle carceri iraniane.
    Manifestazione per la liberazione di Ahmad Reza Jalali a Stoccolma (Photo by Anders Wiklund / Tt News Agency / AFP) / Sweden Out)
    Tra le decine di detenuti con cittadinanza europea nel Paese, la leader Ue ha menzionato il caso di Ahmad Reza Jalali, medico e ricercatore iraniano naturalizzato svedese che si trova in carcere dall’aprile del 2016. Dopo un anno di ingiustificata detenzione, nell’ottobre del 2017 Jalali è stato condannato a morte con l’accusa di spionaggio per conto di Israele.
    Ma non è l’unico caso della vergognosa diplomazia degli ostaggi messa in pratica da Teheran, che cerca in questo modo di esercitare pressioni sui governi occidentali e di raggiungere concessioni politiche in cambio della liberazione dei connazionali. Olivier Vandecasteele, operatore umanitario belga arrestato nel febbraio 2022 e condannato a 40 anni di carcere per spionaggio contro la Repubblica islamica, Benjamin Briére, viaggiatore e blogger francese detenuto da oltre due anni e in sciopero della fame dallo scorso 28 gennaio, Jamshid Sharmhad, giornalista iraniano naturalizzato tedesco, contro cui è stata emessa una condanna a morte lo scorso 26 aprile. E altri ancora.
    Davanti all’Eurocamera riunita per la sessione plenaria a Strasburgo, Metsola ha lanciato un messaggio alla Repubblica Islamica, che ha nuovamente risposto alle sanzioni europee aggiungendo altri membri del Parlamento Europeo alla propria lista di individui soggetti a misure restrittive. “Nessuna minaccia, intimidazione o sanzione potrà zittire quest’Aula”, ha avvertito la presidente, convinta che le sanzioni imposte da Teheran non faranno altro che “rafforzare la nostra determinazione nel supportare le donne e la libertà in Iran”.

    La presidente dell’Eurocamera ha commentato le sanzioni imposte da Teheran a diversi europarlamentari: “Nessuna minaccia, intimidazione o sanzione potrà zittire quest’Aula”. Si cerca di evitare la condanna a morte del ricercatore iraniano-svedese Ahmad Reza Jalali

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    Ue contro Israele sulla demolizione di una scuola palestinese. Cancellato il ricevimento per la Giornata dell’Europa

    Bruxelles – Un’altra scuola palestinese finanziata dall’Ue demolita dalle forze di difesa di Israele. Un’altra condanna di Bruxelles a Tel Aviv e alla sua aggressività nei territori occupati. Con la distruzione dell’istituto nel villaggio di Jubbet Adh Dhib, che si trova a pochi chilometri da Betlemme in Cisgiordania, sono già 301 le strutture palestinesi demolite dalle autorità israeliane dall’inizio del 2023.
    La scuola di Jubbet Adh Dhib prima della demolizione
    Un trend “preoccupante” che ricalca quello dello scorso anno, nel quale secondo i dati dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) sono state demolite o sequestrate 954 strutture in tutta la Cisgiordania, il numero più alto registrato dal 2016, provocando 1032 sfollati palestinesi. Nell’episodio di domenica mattina (7 maggio), la demolizione della scuola di Jubbet Adh Dhib impedirà agli 81 studenti dell’istituto di proseguire il proprio percorso di istruzione. “L’Ue ricorda che le demolizioni sono illegali ai sensi del diritto internazionale e che il diritto dei bambini all’istruzione deve essere rispettato”, ha dichiarato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Peter Stano.
    In gioco non c’è solamente il diritto all’istruzione dei bambini palestinesi, ma anche i rapporti tra Bruxelles e il partner israeliano. Delle oltre 9 mila strutture demolite dal 2009 a oggi, ben 1647 erano finanziate da donatori esterni: lo scorso anno, Tel Aviv ha demolito 101 costruzioni finanziate dall’Unione Europea o dai suoi Stati membri, per un valore di circa 337 mila euro. Come sottolineato da un rapporto pubblicato il 27 marzo dall’Ufficio della Rappresentanza dell’Ue all’Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi), la maggior parte delle strutture sono state prese di mira per mancanza di permessi di costruzione, che tuttavia per i palestinesi sono quasi impossibili da ottenere.
    Dal Seae dunque l’invito a Israele a “fermare tutte le demolizioni e gli sgomberi, che non faranno che aumentare le sofferenze della popolazione palestinese e rischiano di infiammare le tensioni sul terreno”. Un appello che arriva pochi giorni dopo la visita a Bruxelles del ministro degli Esteri di Tel Aviv, Eli Cohen, a cui il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, aveva espresso la propria preoccupazione per la situazione incandescente nei territori palestinesi occupati.
    Lo strappo tra Ue e Israele sulla Giornata dell’Europa
    Il ministro per la Sicurezza Nazionale di Israele, Itamar Ben-Gvir (Photo by GIL COHEN-MAGEN / AFP)
    Se il governo ultra conservatore guidato da Benjamin Netanyahu rimane sordo alle condanne europee, Bruxelles ha preso oggi una decisione più incisiva e destinata a creare attriti con il partner mediorientale. La delegazione Ue in Israele ha cancellato il ricevimento diplomatico previsto per domani a Tel Aviv, in occasione della Giornata dell’Europa, per non “offrire un palcoscenico a chi ha punti di vista che contraddicono i valori dell’Unione Europea”. Si tratta in particolare del ministro per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, leader del partito religioso di estrema destra, incaricato dall’esecutivo Netanyahu di pronunciare un discorso durante l’evento.
    Ben-Gvir si è reso più volte protagonista di dichiarazioni di sfida verso gli alleati europei e statunitensi, per esempio quando, in risposta a un comunicato congiunto di Stati Uniti, Francia, Germania, Italia e Regno Unito in cui si esprimeva forte preoccupazione per l’espansione delle colonie in territorio palestinese, il ministro aveva risposto “ne vogliamo ancora di più, il territorio di Israele appartiene al popolo di Israele”.
    Come raccontato dal portavoce Stano, l’Ue aveva inoltrato l’invito all’evento alle autorità israeliane, che hanno confermato la presenza del ministro. A quel punto, si sono tenute in mattinata alcune consultazioni interne che hanno portato alla radicale decisione di sospendere il ricevimento, perché “il pensiero di Ben-Gvir e del suo partito è in netta contraddizione con tutti i principi e valori per cui combatte l’Ue“. Su Twitter, la delegazione Ue fa tuttavia sapere che si terrà un evento culturale aperto ai cittadini israeliani, “per celebrare con i nostri amici e partner in Israele la forte e costruttiva relazione bilaterale”.

    Nel 2022 le forze di difesa israeliane hanno distrutto “in modo illegale” 101 strutture finanziate da Bruxelles nei territori palestinesi occupati. La delegazione Ue nel Paese sospende il ricevimento diplomatico a causa della presenza del ministro di estrema destra Ben-Gvir

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    Von der Leyen sarà in visita in Ucraina per la Giornata dell’Europa. A Kiev nuovo incontro con il presidente Zelensky

    Bruxelles – La Giornata dell’Europa, in Ucraina. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha deciso di trascorrere il 9 maggio – il giorno che celebra la pace e l’unità in Europa – a Kiev, nella capitale del Paese assediato da un anno dall’esercito russo, portando al presidente Volodymyr Zelensky l’ennesimo segno di “sostegno incondizionato” dell’Unione all’Ucraina.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (15 settembre 2022)
    A renderlo noto sono stati i portavoce della Commissione Europea, sia su Twitter sia nel corso del punto quotidiano con la stampa, confermando i sospetti dei giornalisti (il nome della presidente von der Leyen non era presente nella lista dei membri dell’esecutivo Ue che parteciperanno ai dibattiti alla sessione plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo e non è prevista per domani la consueta riunione del Collegio dei commissari). Il portavoce-capo della Commissione, Eric Mamer, non ha fornito molti dettagli sulla riunione, ma ha specificato che von der Leyen e Zelensky si concentreranno su “tutte le dimensioni della nostra relazione reciproca, compreso l’allargamento dell’Unione all’Ucraina e altre questioni“.
    I viaggi di von der Leyen a Kiev
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky (8 aprile 2022)
    Quello di von der Leyen a Kiev domani sarà il quinto viaggio nella capitale ucraina in poco più di un anno dallo scoppio della guerra. La prima visita congiunta con l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è datata 8 aprile 2022, quando la numero uno dell’esecutivo comunitario aveva prima visitato i luoghi dei massacri russi sui civili ucraini a Bucha e poi aveva consegnato nelle mani del presidente Zelensky il questionario per l’adesione del Paese all’Ue. Il ritorno a Kiev aveva avuto luogo due mesi più tardi, con un nuovo round di colloqui con il leader ucraino sul supporto Ue e sull’allargamento dell’Unione l’11 giugno. La terza visita del 15 settembre è stata invece quella del trionfo diplomatico per la presidente von der Leyen, quella dell’incisione del suo nome nella ‘Walk of the Brave’, la strada dei valorosi che hanno combattuto contro la Russia.
    Dopo i tre viaggi del 2022, il nuovo anno si è aperto con la visita ‘doppia’ a Kiev. Il 2 febbraio von der Leyen si è messa alla testa di 15 commissari del suo gabinetto per un incontro con le rispettive controparti del governo guidato da Denys Shmyhal. Il giorno successivo è seguito il 24esimo vertice Ue-Ucraina alla presenza di Zelensky e del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il primo svoltosi dall’inizio della guerra.

    I portavoce della Commissione Ue hanno annunciato che in occasione del 9 maggio la leader dell’esecutivo comunitario porterà nella capitale del Paese invaso da oltre un anno un nuovo segno di “supporto incondizionato”. Sul tavolo anche il processo di adesione all’Unione

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    Elezioni amministrative nel Regno Unito, laburisti e liberaldemocratici conquistano terreno sui Tories di Rishi Sunak

    Bruxelles – Primo e ultimo banco di prova elettorale nel Regno Unito per il primo ministro, il conservatore Rishi Sunak, in vista delle elezioni politiche che dovrebbero tenersi nell’autunno del 2024. È in corso lo spoglio dei voti per gli oltre 8 mila seggi in palio in 230 autorità locali per le elezioni amministrative in Inghilterra: l’esito finale non arriverà che in serata, ma dalle urne sta iniziando a profilarsi una netta vittoria di laburisti e liberal democratici, che avrebbero già conquistato alcuni consigli comunali chiave ai danni dei tories di Sunak.
    Secondo i dati pubblicati dalla Bbc, i Laburisti hanno ottenuto la maggioranza a Plymouth, Medway e Stoke-on-Trent, mentre i Lib dems hanno strappato ai Tories due roccaforti come Windsor e Maidenhead. Il partito di governo ha perso finora il controllo di 11 consigli comunali. Di particolare importanza la scelta dei primi cittadini in città come Bedford, Leicester, Mansfield e Middlesbrough: in quest’ultima ha vinto il laburista Chris Cooke, mentre nelle altre, in mano a progressisti e liberal democratici, ancora si attendono i risultati ufficiali.
    Risultati che, in caso di ulteriori guadagni di terreno da parte della sinistra e dell’area liberale, sconfesserebbero il cambiamento introdotto alle urne dal partito conservatore con la speranza di togliere voti agli avversari: per la prima volta infatti, per votare è obbligatorio presentare un documento d’identità con una foto. A farne le spese rischiano di essere migliaia di elettori, soprattutto giovani e minoranze etniche, disoccupati e disabili gravi, che tendono a votare laburista e che potrebbero incontrare ostacoli nella registrazione per il voto.
    Il primo ministro si è detto “deluso” della perdita di diversi consiglieri comunali,  ma a caldo ha aggiunto di non rilevare “alcuna massiccia ondata di movimento verso il partito laburista o entusiasmo per la loro agenda”. Il leader della sinistra Keir Starmer, anche lui al primo test elettorale da quando ha assunto l’incarico, si è immediatamente recato a Medway per celebrare la vittoria e ha dichiarato che i laburisti sono “sulla buona strada” per ottenere la maggioranza alle prossime elezioni politiche. Uno scenario che potrebbe ulteriormente incidere sulle relazioni tra il Regno Unito e l’Unione Europea, che dopo forti momenti di tensione post-Brexit si stanno avviando lentamente verso una cauta e necessaria distensione, confermata dal recente accordo sul Protocollo sull’Irlanda del Nord.

    In corso lo spoglio dei voti in 230 autorità locali in Inghilterra, i conservatori hanno già perso il controllo di 11 consigli comunali. Si vota anche per i sindaci di Bedford, Leicester, Mansfield e Middlesbrough. “Deluso” il primo ministro, il leader laburista Starmer ottimista per le prossime elezioni politiche

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    Se il sultano cade. L’Ue osserva le presidenziali in Turchia, tra Erdoğan e il rinnovamento di Kılıçdaroğlu

    Bruxelles – Il momento è di quelli storici, forse epocali. Sia per la Turchia, sia per l’Unione Europea. Fra una settimana, sabato 14 maggio, i cittadini turchi saranno chiamati alle urne per eleggere il presidente della Repubblica per i prossimi cinque anni, in una sfida tra l’uomo forte di Ankara, Recep Tayyip Erdoğan, e lo sfidante che incarna il rinnovamento della politica nazionale secondo le opposizioni, l’economista Kemal Kılıçdaroğlu. Un testa a testa che anche per Bruxelles avrà un impatto significativo. Dal quasi scontato doppio turno di elezioni (che si concluderà il 28 maggio) emergerà l’attore politico con cui sviluppare i futuri rapporti: o un prosieguo delle relazioni tese degli ultimi anni su diversi fronti, o una speranza di riavvicinamento e distensione diplomatica.
    Il leader del Partito popolare repubblicano (Chp) e candidato presidente della Turchia, Kemal Kılıçdaroğlu (credits: Yasin Akgul / Afp)
    Per sfidare il presidente al potere da 20 anni esatti (dal 2003 al 2014 come primo ministro, dal 2014 a oggi come capo di Stato), sei partiti di opposizione si sono uniti nella cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ e hanno espresso un candidato comune. Si tratta del leader del Partito popolare repubblicano (Chp), il principale partito d’opposizione fondato nel 1923 dal primo presidente turco, Kemal Atatürk. Per Kılıçdaroğlu, politico 73enne noto per la sua onestà e frugalità a livello comunicativo e per le vittorie del suo partito a Istanbul e Smirne nel 2019, l’ostacolo maggiore potrebbe essere l’estrema varietà della coalizione di partiti che lo supporta – che va dal centrosinistra alla destra nazionalista – e dal fatto che a tenerli uniti è soprattutto il tentativo di mettere fuori gioco il leader conservatore del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp). In ogni caso va segnalata la piattaforma di riforme che lo sfidante di Erdoğan ha proposto, tra cui compare l’abolizione del presidenzialismo (la figura del primo ministro è stata abolita nel 2018).
    Dall’altra parte dello spettro politico il presidente Erdoğan è indebolito da due fattori che hanno colpito la Turchia nell’ultimo anno: l’inflazione galoppante sta mettendo in crisi la classe media da mesi, e le critiche dell’opinione pubblica nazionale allo stesso leader turco (cosa non scontata in un Paese guidato da un regime sempre più autoritario) per la gestione del terremoto dello scorso 6 febbraio che ha causato oltre 50 mila morti. La rete clientelare e di corruzione che ha permesso l’abusivismo edilizio nelle zone colpite dal sisma è stata considerata uno degli elementi di maggiore responsabilità per il collasso di intere città come Adana. Tutto questo si è tradotto in un evidente crollo dei consensi per Erdoğan – che nel 2018 aveva vinto al primo turno con il 52,6 per cento dei voti – anche se non ancora sufficiente per evitare un testa a testa al ballottaggio e un possibile recupero da parte di uno dei politici più instancabili in campagna elettorale (fino a poche settimane fa Kılıçdaroğlu guidava i sondaggi con oltre il 55 per cento delle preferenze).
    Manifesti elettorali di Recep Tayyip Erdoğan (a sinistra) e di Kemal Kılıçdaroğlu (a destra), in vista delle elezioni presidenziali in Turchia (credits: Ozan Kose / Afp)
    Il presidente della Turchia è eletto direttamente con il sistema del doppio turno: se nessun candidato conquista la maggioranza semplice (più del 50 per cento dei voti) al primo, si svolge un ballottaggio tra i due candidati più votati. Gli aspiranti presidenti devono avere almeno 40 anni e devono aver completato l’istruzione superiore, mentre qualsiasi partito che abbia ottenuto il 5 per cento dei voti nelle precedenti elezioni parlamentari può presentare un candidato (si possono formare alleanze e schierare candidati comuni, gli indipendenti possono candidarsi se raccolgono 100 mila firme). Considerata la presenza di altri due candidati minori – Muharrem İnce del Partito della Patria e l’indipendente Sinan Oğan sostenuto dall’Alleanza Ata – alle elezioni presidenziali più decisive della storia recente della Turchia lo scenario più verosimile è una sfida al secondo turno tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu, in programma il 28 maggio.
    Il controverso rapporto Ue-Turchia sotto Erdoğan
    Non solo per la Turchia, ma anche per l’intera Unione Europea si tratta di un passaggio politico che potrebbe segnare una svolta forse irripetibile per i rapporti con Ankara. Ancora non si sa quale sarà la posizione di una eventuale leadership di Kılıçdaroğlu sui dossier aperti con Bruxelles, anche e soprattutto considerate le posizioni non proprio sovrapponibili della coalizione elettorale ‘Tavola dei Sei’ che lo sostiene. Ma di certo c’è quello che potrebbe continuare a replicarsi in caso di rielezione di Erdoğan. In particolare negli ultimi anni le relazioni con l’uomo forte di Ankara – definito due anni fa dall’allora premier italiano Mario Draghi “dittatore” – sono diventate sempre più tese, anche se la posizione e l’importanza geopolitica della Turchia hanno sempre costretto o quantomeno spinto i Ventisette a non chiudere al dialogo.
    La dimostrazione più evidente è stato il congelamento dei capitoli negoziali per l’adesione della Turchia all’Unione Europea, avviati nel 2005 e da anni “a un punto morto” per i “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, aveva sottolineato ancora nel 2020 il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. C’è poi la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con la Turchia di Erdoğan che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio Europe, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, ad Ankara (6 aprile 2021)
    Altra questione di non poca rilevanza, che riguarda sia la politica interna sia quella estera di Erdoğan, è il tema della repressione della minoranza curda e del veto sull’adesione della Svezia alla Nato, almeno fino a quando non si adeguerà alle richieste sull’estradizione dei membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). L’intransigenza del leader turco ha indispettito non poco i leader dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (che ha sede proprio a Bruxelles) e dei Paesi membri Ue, che hanno visto sfumare l’ingresso congiunto di Svezia e Finlandia nell’Alleanza nello stesso giorno (il 4 aprile 2023). Sul tema dei diritti umani c’è poi la questione della gestione delle persone migranti dirette verso l’Europa: se nel marzo 2016 l’Ue ha stretto un accordo con la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari, in diverse occasioni la Grecia ha lanciato dure accuse ad Ankara per violazioni dell’accordo stesso e sta implementando una politica di costruzione di barriere fisiche alla frontiera per impedire gli ingressi irregolari.
    Ultimo, ma non per importanza diplomatica, quello che è passato alle cronache politiche come ‘Sofagate’. Il 6 aprile 2021 la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, si erano recati ad Ankara in visita istituzionale per rilanciare il dialogo Ue-Turchia. Ma l’accoglienza al palazzo presidenziale per la numero uno dell’esecutivo comunitario era stata tutt’altro che piacevole e rispettosa: mentre al leader del Consiglio è stata riservata una sedia accanto a Erdoğan, von der Leyen si era dovuta accomodare – con evidente imbarazzo e disappunto – su un sofà, appunto. Uno sgarbo istituzionale arrivato a poche settimane dalla decisione del presidente di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, che ancora una volta aveva evidenziato tutta la tensione nei rapporti tra Bruxelles e Ankara. Episodi e politiche che potrebbero essere relegati nel passato della Turchia, se gli elettori sceglieranno il rinnovamento politico di Kılıçdaroğlu – anche se incerto – alla continuità di Erdoğan.

    Il 14 maggio gli elettori turchi saranno chiamati a votare al primo turno di una delle tornate più decisive degli ultimi anni. Potrebbe essere arrivato al termine il potere ventennale del presidente che ha reso tesi i rapporti tra Ankara e Bruxelles, tra migrazione, energia, Nato e ‘Sofagate’