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Da Macron a Merz, fino a Orbán. La vicinanza dei leader europei a Netanyahu e la sconfitta del diritto internazionale

Bruxelles – Mercoledì 2 aprile il premier israeliano Benjamin Netanyahu metterà piede per la prima volta sul territorio europeo da quando è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc). Sarà ospite di Viktor Orbán, che come altre volte rompe tabù che a ben vedere stanno stretti anche ai suoi omologhi europei. Dal futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente francese Emmanuel Macron e al ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sono già diversi i Paesi Ue che hanno messo in dubbio – se non proprio respinto – la possibilità di perseguire Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.

Nel weekend, ci ha pensato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a varcare la prima linea rossa, incontrando Netanyahu a Gerusalemme, proprio mentre – nel primo giorno dell’Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan – i raid israeliani su Gaza avrebbero ucciso almeno 64 palestinesi. I due hanno “ribadito la relazione strategica tra Grecia e Israele” e discusso “l’ulteriore approfondimento della cooperazione bilaterale, in particolare nel campo della difesa”.

Kyriakos Mitsotakis e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, 30/3/25 [Credits: Account X Kyriakos Mitsotakis]

Dal 21 novembre scorso, quando il Tribunale de L’Aia ha emesso il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, nessun leader europeo aveva ancora incontrato di persona il capo del governo israeliano. Ma in realtà, nessuno dei 27 ha veramente tagliato i ponti con l’uomo accusato di crimini di guerra, come invece è stato fatto con il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende lo stesso mandato d’arresto internazionale. Ieri sera, Macron ha diffuso un resoconto di una telefonata con Netanyahu, in cui ha ribadito che “la liberazione di tutti gli ostaggi e la sicurezza di Israele sono una priorità per la Francia” e ha chiesto “al primo ministro israeliano di porre fine agli attacchi su Gaza e di tornare al cessate il fuoco, che Hamas deve accettare”.

Parigi era stata tra le prime capitali Ue a mettere in discussione la legittimità del mandato d’arresto, chiamando in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – che garantirebbe un’immunità agli Stati che non fanno parte dell’Icc. Il ministero degli Esteri francese è stato seguito a ruota da quello italiano, con Tajani che ha sostenuto che il mandato d’arresto non può essere applicato almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu e ribadito poi in differenti occasioni che l’Italia non arresterebbe il premier israeliano. Roma la sua picconata al diritto internazionale l’ha già data, scegliendo di riaccompagnare in Libia con un volo di Stato il torturatore e capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Najim Osama Al Masri, ricercato dal Tribunale de l’Aia per crimini di guerra, omicidio, tortura e trattamenti crudeli.

Berlino aveva invece  sottolineato che la posizione tedesca non poteva che essere frutto “della storia tedesca” e della “grande responsabilità” che la Germania sente nei confronti di Israele dopo lo sterminio degli ebrei perpetrato dal regime nazista. Il cancelliere eletto Friedrich Merz ha poi sfidato apertamente la Corte, definendo “completamente assurda” l’idea che un primo ministro israeliano non possa visitare la Germania e invitando espressamente Netanyahu nella Repubblica Federale.

Viktor Orban e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme nel febbraio 2019 (Photo by Ariel Schalit / POOL / AFP)

Berlino, Roma e Parigi, così come tutti i 27 Paesi Ue, fanno parte della Corte Penale Internazionale e sono quindi tenuti ad applicare le sue decisioni. Alla fine, ad ospitare per primo Netanyahu in questa inquietante gara a violare il diritto internazionale sarà Orbán, che dall’inizio aveva definito il mandato d’arresto “vergognoso” e annunciato che non l’avrebbe eseguito. Anzi, dopo la decisione americana di imporre sanzioni contro l’Icc, Orbán ha annunciato l’intenzione di “rivedere l’impegno” dell’Ungheria nei confronti di un tribunale “degradato a strumento politico di parte”.

I due dovrebbero discutere del piano per il futuro di Gaza. Netanyahu – nonostante il supporto della comunità internazionale per il piano elaborato dai Paesi arabi – è convinto di poter allargare il consenso sulla controversa e fumosa proposta di Trump, che prevede la “migrazione volontaria” della popolazione locale e la trasformazione della Striscia di Gaza in una lussuosa riviera aperta al turismo internazionale.

Il sostegno di Orbán al piano di Trump e Netanyahu va contro la posizione presa dall’Unione europea, che appoggia invece l’iniziativa araba e si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di emigrazione forzata della popolazione gazawi. A ben vedere, il viaggio di Netanyahu in Ungheria va letto anche come un’ennesima provocazione del premier magiaro nei confronti di Bruxelles, che a parole continua a sostenere la Corte Penale. “Come affermato nelle Conclusioni del Consiglio del 2023, il Consiglio invita tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti, e a stipulare accordi volontari”, ha dichiarato ancora a proposito della vicenda un portavoce della Commissione europea.


Source: https://www.eunews.it/category/politica-estera/feed


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