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    Clima, Ue-Ua rilanciano la collaborazione meteo con un programma satellitare per dati di terza generazione

    Bruxelles – Una migliore raccolta dati per mitigare e prevenire le ricadute dei fenomeni meteorologici estremi, mettendo in sicurezza territorio e comunità locali in nome della sostenibilità. E’ questo l’ambizioso progetto per l’Africa, sostenuto dalla Commissione dell’Unione Africana, e che prende ufficialmente il via con l’installazione in Kenya della prima di una serie di stazioni riceventi PUMA-2025 specificamente progettate per catturare dati dalla prossima generazione di satelliti geostazionari Meteosat.L’installazione degli speciali punti di raccolta dati garantirà che i meteorologi keniani possano utilizzare i dati più accurati e frequenti dai satelliti Meteosat di terza generazione (MTG) per sostenere lo sviluppo sostenibile delle comunità locali e proteggere vite e mezzi di sostentamento. Per l’Europa questo significa lottare contro una delle principali cause dei nuovi flussi di migrazione, quello dei cambiamenti climatici.I satelliti Meteosat di Eumetsat, l’Organizzazione europea per lo sfruttamento dei satelliti meteorologici, sono gli unici satelliti di osservazione della Terra che hanno una visione costante dell’Africa. MTG fornirà immagini dell’Africa a una risoluzione più elevata di quanto sia possibile ora e più frequentemente, ovvero ogni 10 minuti. Eumetsat lavora con la Commissione dell’Unione Africana per creare una rete di stazioni simili in diversi servizi meteorologici e climatici nazionali in tutto il continente nei prossimi mesi. Ciò consentirà alla maggior parte dei meteorologi e degli scienziati africani di dotarsi della tecnologia più recente per ricevere e utilizzare i dati Mtg.Cosa vuol dire tutto questo lo riassume e lo spiega Phil Evans, Direttore Generale di Eumetsat: “La continuità della ricezione dei dati satellitari in tutto il continente, consentendo allerte precoci più efficienti per tutti, previsioni più accurate di eventi meteorologici estremi e una migliore protezione per tutti“. Insomma, l’Africa si sta dotando, in collaborazione con l’Europa, di uno strumento di nuova generazione per lottare contro i cambiamenti climatici e gli stress che il meteo può produrre su popolazione ed economia. L’accordo tra Unione africana e Organizzazione europea per lo sfruttamento dei satelliti meteorologici è stato siglato nel 2022, con l’obiettivo di rilanciare a aggiornare una collaborazione ormai ventennale tra i due continenti. La prima stazione ricevente PUMA è stata nel febbraio 2004, per ricevere i dati Meteosat di seconda generazione nell’ambito del progetto Preparation for Use of Meteosat in Africa (PUMA). Finora, grazie al supporto di vari programmi finanziati dall’Ue in Africa (come PUMA, AMESD, MESA), questa infrastruttura ha consentito con successo ai servizi meteorologici e climatici africani in tutto il continente di ricevere dati dai satelliti geostazionari Meteosat in modo tempestivo ed efficiente, per prevedere e monitorare gli eventi meteorologici estremi. Le attuali installazioni mirano ad aggiornare l’infrastruttura per MTG, per passare da dati di seconda generazione a dati di terza generazione. Le prossime installazioni includono una stazione a Cotonou (in Benin), dove si terrà il 16esimo Eumetsat User Forum in Africa. L’evento fornirà una piattaforma per i meteorologi africani per condividere conoscenze e migliori pratiche sull’uso dei dati Meteosat e discutere prospettive per migliorare i sistemi di allerta precoce.

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    Litio, rame, idrogeno e tanto commercio: l’Europarlamento approva il nuovo accordo Ue-Cile

    Bruxelles – Migliore accesso alle materie prime e all’energia verde, più cooperazione in materia di affari esteri, rafforzamento del commercio bilaterale. L’Aula del Parlamento europeo dice ‘sì’ all’accordo quadro avanzato Ue-Cile e il suo accordo complementare sulla liberalizzazione del commercio e degli investimenti. A grande maggioranza (358 voti a favore, 147 contrari e 45 astensioni) gli europarlamentari chiedono agli Stati membri di procedere alla definizione delle nuove relazioni con il Paese del sud America. Spetterà al Consiglio dell’Ue dare via libera alla parte commerciale dell’accordo, e i 27 Parlamenti nazionali dovranno poi ratificarlo.Per quanto riguarda il commercio circa il 99,9 per cento delle esportazioni dell’Ue sarà esente da dazi ad eccezione dello zucchero, mentre i prodotti agricoli più sensibili sono esentati dalla piena liberalizzazione. Tra questi prodotti ‘sensibili’ figurano carne, alcuni tipi di frutta e verdura e olio d’oliva.Il voto dell’Aula dà seguito all’azione della Commissione europea, che con il governo di Santiago ha trovato l’intesa preliminare più di un anno fa, a dicembre 2022. L’accordo Ue-Cile, una volta in vigore, dovrebbe garantire un migliore accesso alle materie prime utili per la transizione verde e la realizzazione degli obiettivi del Green Deal, quali litio (utile in particolare per le batterie della auto elettriche), rame (necessario per auto elettriche e turbine eoliche), carburante pulito e  idrogeno.“Il nuovo accordo quadro UE-Cile è di fondamentale importanza geopolitica“, sottolinea Maria Soraya Rodriguez Ramos (Renew), relatrice della dossier in commissione Affari esteri. Con un’Unione europea povera di quelle materie prime necessarie per la doppia transizione e la necessità di affrancarsi dalle forte dipendenza cinese, che comunque l’Ue non potrà ridurre a zero, l’accesso a litio e rame cileni acquista una valenza strategica.Non solo. Messo in soffitta l’accordo commerciale con il Mercosur i Paesi del blocco (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela sospeso) per la forte protesta del mondo agricolo a dodici stelle, quello con il Cile, Paese associato al Mercosur, “sarà l’unico accordo commerciale con l’America Latina approvato durante questo mandato“, ricorda ancora Rodriguez Ramos. Questo accordo, dunque, testimonia “l’impegno politico dell’Ue a rafforzare la nostra cooperazione regionale e a rafforzare i nostri legami con un partner fondamentale latinoamericano”.

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    Gentiloni: “2024 bivio nei rapporti UE-Stati Uniti, le elezioni possono incidere sulle relazioni”

    Bruxelles – Il 2024 può produrre un vero e proprio terremoto politico. L’incertezza delle urne, su una sponda dell’Atlantico come sull’altra, può ridefinire gli assetti di Unione europea e Stati Uniti, e inevitabilmente le relazioni tra le due parti. Paoll Gentiloni ne è consapevole e non lo nasconde. Il commissario per l’Economia, nel suo discorso pronunciato all’università di Harvard, lo dice chiaramente: considerando l’appuntamento elettorale UE di inizio giugno e quello degli Stati Uniti di novembre, “l’esito di entrambe le elezioni potrebbe avere gravi conseguenze per le nostre politiche sul clima e le nostre politiche economiche su entrambe le sponde dell’Atlantico”.Da una parte c’è l’Unione europea. Gli interrogativi non mancano, ammette il componente italiano del team von der Leyen, soprattutto su impegni politici rimessi in discussione. “La campagna per le prossime elezioni europee sarà, in una certa misura, anche un referendum sul Green Deal“, come dimostrano le proteste del mondo agricolo e la solidarietà mostrata da certi schieramenti. Gli stessi che potrebbero rimettere tutto in discussione nel corso della prossima legislatura. “L’Europa si sta preparando per le elezioni europee che potrebbero produrre uno spostamento verso gli estremisti, soprattutto a destra, e vedere il centro schiacciato”. Con le ripercussioni del caso. Perché, avverte Gentiloni, “i populisti in tutta Europa sono ancora concentrati sull’immigrazione ma hanno trovato un nuovo grido di battaglia e ora stanno cavalcando un’onda anti-verde”.Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti. Qui la situazione non è molto diversa. Analogamente a dinamiche a dodici stelle, “possiamo aspettarci che la campagna per le prossime elezioni presidenziali americane si basi su due visioni opposte sui meriti della transizione verde“, continua il commissario per l’Economia, preoccupato per le scelte che gli elettori d’oltre oceano prenderanno a novembre. “Le elezioni di novembre sembrano destinate a rappresentare una rivincita tra il presidente Biden e l’ex presidente Trump, vicini di età ma molto distanti su quasi tutto il resto”.Le preoccupazione di Gentiloni sono le stesse dell’intero collegio dei commissari. A Bruxelles si è consapevoli delle possibili ricadute nei rapporti bilaterali in caso di un’affermazione del repubblica Donald Trump, e ci si prepara allo scenario peggiore, quello di un rinnovato braccio di ferro commerciale a colpi di dazi. Un’eventualità che rischia anche di colpire quel Green Deal tanto centrale e che nel Vecchio Continente non si intende rimettere in discussione. “Voglio essere chiarissimo”, scandisce Gentiloni: “Invertire la rotta del Green Deal europeo sarebbe estremamente miope, dal punto di vista ambientale, economico e geopolitico”.In sostanza, sintetizza Gentiloni, “il 2024 è davvero un bivio per l’Europa. Ma il 2024 sarà, ovviamente, un bivio anche per gli Stati Uniti”. Da questo bivio si determinerà il futuro dell’UE, delle sue politiche, e delle sue strategie. In gioco c’è molto, soprattutto la tenuta economica del blocco dei Ventisette: “Guardando al futuro, le sfide stanno diventando chiare: un rallentamento economico, con punti interrogativi che incombono sulla competitività dell’Europa“.

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    Gli aiuti allo sviluppo dell’Ue sono un problema per l’Africa

    Bruxelles – Gli aiuti dell’UE all’Africa non aiutano il continente e i suoi Stati. Al contrario, per come sono concepiti, accrescono i problemi, soprattutto economici, dei Paesi in cui l’azione concepita per portare contributi utili allo sviluppo. La strategie dell’Unione europea per i Paesi più poveri, soprattutto africani, dovrebbero essere dunque riviste. Il Parlamento europeo accende i riflettori su partenariati che, così, come sono, finiscono per produrre effetti contrari a quelli desiderati.La nota di accompagnamento alla relazione per la cooperazione allo sviluppo dell’Ue a sostegno dell’accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo, che l’Aula del Parlamento europeo, da calendario, discuterà il 17 gennaio in occasione della prima sessione plenaria del nuovo anno, evidenzia le carenze dell’azione a dodici stelle.Tra il 2014 e il 2020, recita il passaggio allegato al testo legislativo, l’insieme dei Ventisette ha fornito 13,8 miliardi di euro complessivi di assistenza all’Africa per lo sviluppo sostenibile. Innanzitutto l’importo “non è ancora sufficiente e occorre compiere maggiori sforzi” se si vuole permettere una crescita sostenibile da un punto di vista climatico-ambientale. Ma, soprattutto, “il 53 per cento degli esborsi è avvenuto sotto forma di prestiti”, il che si traduce in “debito aggiuntivo che riduce la capacità di questi paesi di investire negli obiettivi di sviluppo sostenibile”.Aumenta in sostanza il debito dei Paesi africani, che si trovano in una situazione di difficoltà. Tanto che, viene messo in risalto, risulta che  “21 paesi africani a basso reddito si trovano o sono a rischio di sofferenza debitoria nel 2023“.C’è un’ulteriore considerazione da fare, e che viene fatta. La cooperazione allo sviluppo dell’UE, per com’è concepita, non è a misura di Green Deal europeo. “La maggior parte dei progetti finanziati dall’UE mirano a promuovere grandi infrastrutture di generazione elettrica e l’interconnessione delle reti di trasmissione per creare mercati elettrici integrati, che hanno un impatto minimo sulla promozione dell’accesso all’elettricità per coloro che non ce l’hanno”. C’è da ripensare l’intera architettura della politica per lo sviluppo. La relazione che sta per approdare in Aula chiede perciò agli Stati membri dell’UE di aumentare l’importo dell’aiuto pubblico allo sviluppo destinato al settore energetico in Africa, “dando priorità alle sovvenzioni rispetto ai prestiti nei paesi a rischio di indebitamento“. C’è di più. Perché si suggerisce di cambiare il modello di business condotto fin qui. “Per superare la povertà energetica in Africa, i finanziamenti dell’UE dovrebbero essere ri-orientati verso i paesi con tassi di accesso all’elettricità più bassi”.Un altro, poi, riguarda l‘idrogeno verde, quello prodotto attraverso le energie rinnovabili. L’Africa non appare una regione ottimale per spingere per questo particolare tipo di investimenti. “Sebbene possa potenzialmente svolgere un ruolo significativo” nel raggiungimento degli obiettivi internazionali di sostenibilità incardinati negli accordi di Parigi , allo stesso tempo “potrebbe innescare conflitti sull’uso del territorio e aggravare la povertà“. Questo perché produrre idrogeno verde implica estrazione mineraria e uso di materie prime e terre rare, che richiedono grandi quantità di acqua dolce e generano inquinamento idrico. Per il sud del mondo, povero di acqua e sistemi di raccolta, l’idrogeno verde “può avere impatti sociali e ambientali negativi”. L’UE, insomma, sta sbagliando calcoli e strategie, e dovrebbe correggere il tiro.

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    Green Deal, adesso la sfida geopolitica dell’Ue è con gli Stati Uniti

    Bruxelles – Alla fine il Green Deal si scontra con la realpolitik. L’enfasi, sia pur giustificata e comprensibile, su una trasformazione dell’economia in senso nuovo e più sostenibile, ora fa i conti con il mondo reale. L’Unione europea ha deciso di essere leader, di dare il buon esempio. Nel fare da apri-pista, però, si è improvvisamente schiacciata da un partner deciso a superarla, gli Stati Uniti, e il mondo orientale – Paesi del golfo, Cina e India su tutti – ancora legata a quei vecchi sistemi produttivi che invece l’Ue vorrebbe superare. Il blocco a dodici stelle può rivendicare una svolta ‘green’ oltre Atlantico, che però rischia di tradursi in una sfida Ue-Stati Uniti tutta nuova.
    Le ripercussioni a livello globale della guerra tra Russia e Ucraina hanno indotto l’amministrazione Biden al varo dell’Inflation reduction act. Il provvedimento, varato per frenare l’inflazione, finisce per favorire quel settore in cui l’Ue vorrebbe tanto essere all’avanguardia. Credito d’imposta per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per i progetti che iniziano la costruzione prima dell’1 gennaio 2025, 250 milioni di dollari in sovvenzioni per la produzione domestica di pompe di calore disponibili fino a settembre 2024, sovvenzioni per 5,8 miliardi di dollari per l’industria ad alta intensità energetica per l’installazione di tecnologie avanzate per ridurre le emissioni di gas serra delle strutture. Ancora, credito d’imposta sulla produzione per la produzione nazionale di componenti per l’energia solare ed eolica, inverter, componenti per batterie e minerali critici, programma di sovvenzioni da 2 miliardi di dollari per la produzione nazionale di veicoli puliti (ibridi, ibridi elettrici plug-in, elettrici plug-in e a celle a combustibile a idrogeno).
    L’Unione europea si vede ‘aggredita’ su quel terreno di sviluppo industriale dove cercava di ricostruire una competitività persa. A oriente l’Europa degli Stati l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche, platino, palladio e titanio, materiali indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno. Ancora più a est l’Ue dipende fortemente dalla Cina da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio. L’Ue non ciò di cui ha bisogno per le sue transizioni, e al contempo deve rispondere al dilemma statunitense.
    C’è il rischio che il massiccio piano degli Stati Uniti possa mettere questi in una posizione di vantaggio a scapito dell’Europa delle verdi ambizioni. L‘industria europea teme di perdere la corsa globale per la competitività, con l’impatto maggiore delle industrie automobilistiche e delle tecnologie pulite dell’Ue, come i produttori di batterie o di apparecchiature per l’energia solare o eolica. Timori aggravati dalla prospettiva che i prezzi dell’energia in Europa rimangano più alti che negli Stati Uniti e in altre parti del mondo nel medio termine, come conseguenza della guerra della Russia in Ucraina e dell’allontanamento dal gasdotto russo.
    Non è un caso se la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il piano industriale per il Green Deal. Ma servirà prudenza. Se da una parte non agire di fronte all’Inflation Reduction Act potrebbe avere conseguenze negative sull’industria dell’Ue, dall’altra parte una guerra commerciale in piena regola con gli Stati Uniti minerebbe l’unità transatlantica in tempo di guerra e trasmetterebbe l’immagine di un Occidente diviso sia alla Russia che alla Cina. “L’Ue si trova di fronte alla sfida di impostare una reazione coerente agli Stati Uniti“, mettono in rilievo gli analisti del centro ricerche del Parlamento.
    L’Ue deve fare i conti con la realtà, e la realtà è che il conflitto in Ucraina rischia di far saltare tutta la strategie a dodici stelle. La situazione che si è creata – azzeramento delle relazioni con la Russia, aumento dei prezzi, crisi energetica, dipendenza dalla Cina – è “aggravata dal limitato spazio di manovra dell’amministrazione Biden che rende altamente improbabili modifiche legislative all’Inflation Reduction Act“. Servirà una capacità negoziale nell’auspicio che il partner transatlantico non spinga troppo sull’acceleratore di un svolta green che potrebbe spazzare via le velleità europee.

    L’Inflation Reduction Act rischia di vedere l’Ue inseguire il progresso Usa anziché essere leader. Gli analisti avvertono: “Altamente improbabili modifiche legislative, una guerra commerciale non aiuterebbe”

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    Le transizioni dell’Ue sono una scommessa geopolitica

    Bruxelles – La trasformazione industriale dell’Europa dipende dal resto del mondo, in maniera sempre più rischiosa alla luce di turbolenze geopolitiche che stanno mettendo in discussione i rapporti con le potenze di cui l’Ue avrebbe bisogno. Russia e Cina, la scommessa dell’Unione europea passa per questi Paesi ricchi delle materie prime necessarie per le transizioni verde e sostenibile. Uno studio del Parlamento europeo, richiesto dalla commissione Industria, accende i riflettori su quella che è la parte più delicata dell’agenda di sostenibilità a dodici stelle. “La sfida della decarbonizzazione deve essere vinta in un contesto geopolitico in rapida evoluzione”. In questo scacchiere internazionale in trasformazione, “complessivamente, il principale Paese di dipendenza per le importazioni di gruppi merceologici, materie prime e componenti, necessari per la transizione verde e digitale è la Cina”. Con Pechino l’Ue ha conti che potrebbe pagare.
    Il documento sottolinea in particolare la ‘questione cinese’, e ricorda “le tensioni geopolitiche che circondano Taiwan, uno dei principali produttori di chip per computer, vitali per molte moderne tecnologie digitali e verdi”. In secondo luogo, ci sono “le preoccupazioni per il lavoro forzato nello Xinjiang, la provincia cinese che è il principale fornitore mondiale di pannelli solari e materie prime utilizzate per la loro produzione”. Per gli analisti “le considerazioni sulla resilienza delle catene di approvvigionamento nell’attuale contesto di tensioni geopolitiche sono fondamentali nella strategia dell’Ue per le materie prime essenziali”.
    L’Ue “dipende fortemente” dalla Cina “da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio”. Ha bisogno “sia per la produzione di magneti permanenti che per l’estrazione e la raffinazione di elementi delle terre rare (Ree) utilizzati nella loro produzione”. Ancora alla Cina ci si affida per le importazioni di batterie utilizzate per veicoli elettrici e accumulo di energia”.
    C’è poi la Russia. “Attualmente l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche: platino, palladio e titanio”. Questi sono materiali “indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno”. Un’altra materia prima che merita attenzione è il titanio, poiché l’UE ha un “forte” deficit commerciale complessivo di questo elemento, necessario per le celle a combustibile. “La Russia è tra i primi tre produttori mondiali di titanio e l’UE importa il 17% del suo titanio da questo paese. Inoltre, l’UE importa dalla Russia il 15% del suo platino, necessario per gli elettrolizzatori”.
    Il conflitto russo-ucraino ha ridisegnato anche le relazioni dell’Ue con Mosca, e ora le materie prime critiche necessarie per tutta la strategia europea vanno ricercate altrove. Il mercato del nichel offre più sbocchi. Nel mondo i principali produttori della materia prima sono Indonesia, Filippine, Russia, Nuova Caledonia (Francia), Australia, Russia, Cina, Canada, Brasile, Cuba, Guatemala, Stati Uniti, Colombia. Mentre le più grandi riserve si trovano in Indonesia, Australia, Brasile, Russia, Filippine, Sudafrica. Mentre per ciò che riguarda il cobalto, i principali produttori sono Repubblica democratica del Congo, Russia, Cuba, Australia, Cina, Filippine, Marocco e Papua Nuova Guinea. Quelli con le maggiori riserve sono Repubblica democratica del Congo, Australia, Filippine, Russia, Canada, Madagascar e Cina.
    L’Ue deve avviare una nuova stagione di relazioni con questi Paesi, sottolinea lo studio di lavoro del Parlamento. Per garantirsi un accesso alle materie prime necessarie alla transizione verde, l’Ue deve sapersi muovere. Il commercio non è la via da seguire, poiché “offre un margine limitato per aumentare la diversità dei fornitori europei, perché le tariffe sulle materie prime critiche sono già basse”, e questo “limita l’efficacia di questi accordi di libero scambio nell’incentivare una diversificazione dell’offerta”. Gli strumenti di politica non commerciale, come l’assistenza allo sviluppo e la cooperazione internazionale, appaiono come opzioni più efficaci”. Ben venga dunque l’accordo con il Giappone per lo sviluppo dell’idrogeno. Ma soprattutto, serve una politica vera, finora mancante, per le materie prime indispensabili.
    “Il passaggio dai veicoli con motore a combustione interna ai veicoli elettrici richiederà grandi quantità di materiali aggiuntivi come cobalto e litio per le batterie, elementi di terre rare per i motori elettrici e alluminio e molibdeno per la scocca”. Questo il preo-memoria contenuto nel documento, a ricordare che prodotti contenenti materie prime critiche sono “necessarie” per le transizioni verde e digitale, ma l’Ue manca di una politica di approvvigionamento. “Lo stoccaggio strategico di prodotti contenenti materie prime critiche è una politica comune negli Stati Uniti, in Giappone, Corea del Sud e Svizzera. Da questi esempi si possono trarre i principi per lo stoccaggio europeo”.
    La Commissione europea si è messa al lavoro producendo una strategia per le materie prime critiche, consapevole della posta in gioco. “Dobbiamo evitare di ridiventare dipendenti, come abbiamo fatto con il petrolio e il gas”, ha ammesso il commissario per l’Industria, Thierry Breton. A oggi l’Ue soffre questa situazione, e con lei anche le sue ambizioni di trasformazione verde e digitale. L’idea di un fondo per la sovranità industriale si colloca in questo solco.

    Uno studio richiesto dalla commissione Industria del Parlamento europeo ricorda come per agenda verde e digitale l’Europa non abbia le materie prime critiche di cui ha bisogno. Servirà cooperazione a tutto campo

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    COP26, Johnson: nuove tecnologie per dimezzare le emissioni di CO2 al 2030

    Bruxelles – ‘Ripulire’ i cinque principali settori ad alta impronta di carbonio, quelli che insieme contribuiscono al 50% delle emissioni globali di anidride carbonica, tra i principali fattori del surriscaldamento del pianeta. La comunità internazionale riunita a Glasgow per la conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26) tenta di riscrivere le regole del gioco, con il Regno Unito che rivendica un ruolo guida in tal senso. Sul tavolo negoziale è arrivata la proposta per dimezzare le emissioni di CO2 a firma del primo ministro britannico Boris Johnson. Si tratta di un’agenda di contrasto ai cambiamenti climatici che passa per l’utilizzo di nuove soluzioni a basso impatto ambientale nei comparti energia, trasporto su strada, acciaio, idrogeno e agricoltura.
    Londra propone un piano internazionale per fornire tecnologia pulita e conveniente ovunque entro il 2030, sostenuta e sottoscritta da “oltre 40 leader mondiali”, fa sapere la delegazione britannica. Tra gli aderenti  Stati Uniti, India, UE, Cina, economie in via di sviluppo e alcuni dei paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, che insieme rappresentano oltre il 70 per cento dell’economia mondiale e di ogni regione .
    In base all’agenda Paesi e aziende si coordineranno per “accelerare drasticamente” lo sviluppo e l’impiego di nuovi modelli produttivi. Si punta ad energia pulita per tutti, al fine di soddisfare il proprio fabbisogno energetico in modo efficiente entro la fine del decennio. In secondo luogo i veicoli dovranno diventare “la nuova normalità”, accessibile in tutte le regioni. Ancora, nel settore siderurgico si vuole un uso efficiente e una produzione di acciaio a emissioni quasi zero. Cambiamenti anche per quanto riguarda l’idrogeno: si vuole quello rinnovabile a prezzi accessibili disponibile a livello globale. Infine si vuole un settore primario in grado di adattarsi alle sfide poste dai cambiamenti del clima.
    Tutto questo si traduce in iniziative internazionali per accelerare l’innovazione e ampliare le industrie verdi. Si tratta di in particolare di regole comuni internazionali, non solo per aree geografiche od organizzazioni. Il piano britannico suggerisce di “allineare politiche e standard”, e apre a cooperazione internazionale nel settore della ricerca industriale attraverso maggiori “sforzi di ricerca e sviluppo”.
    Riuscire in questi cinque settori, stimano i britannici, potrebbe creare 20 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale e aggiungere oltre 16 trilioni di dollari (cioè 16 milioni di milioni) sia nelle economie emergenti che in quelle avanzate. 
    “Facendo della tecnologia pulita la scelta più conveniente, accessibile e attraente, il punto di partenza predefinito in quelli che sono attualmente i settori più inquinanti, possiamo ridurre le emissioni in tutto il mondo”, sostiene Johnson. Il premier britannico sostiene convintamente che i Glasgow Breakthroughs, nome dato da Londra alla sua proposta per dimezzare le emissioni di CO2, “daranno una spinta in avanti, in modo che entro il 2030 le tecnologie pulite possano essere godute ovunque, non solo riducendo le emissioni ma anche creando più posti di lavoro e maggiore prosperità”.

    Il premier vuole velocizzare lo sviluppo di tecnologia pulita nei comparti energia, trasporto su strada, acciaio, idrogeno e agricoltura. Fondamentali regole e alleanze internazionali

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    Riforma dell’OMS, clima, tecnologia: i nuovi tavoli di lavoro UE-USA che rilanciano l’alleanza

    Bruxelles – “Un eccellente incontro tra amici e alleati“. Così Ursula von der Leyen sintetizza il summit UE-Stati Uniti che produce un grande successo politico. La presidente della Commissione europea si riferisce all’intesa trovata dalla due parti sulla questione Airbus-Boeing, anche se in realtà il vertice con il nuovo inquilino della Casa Bianca segna passi in avanti su molti fronti. “L’america è tornata – ha scandito Joe Biden durante l’incontro, dopo aver ricordato di essere di origine irlandese – e la delegazione di ‘serie A’ che ho portato con me lo dimostra”.
    Nuovo corso su clima e intellgenza artificale
    Non ci sono solo i successi in politica commerciale. Stati Uniti e Unione europea hanno convenuto di rilanciare il loro legame sul fronte dell’innovazione e del clima, attraverso l’attivazione di nuovi canali di lavoro. Via libera quindi alla creazione di un consiglio UE-USA sulla tecnologia, volto a creare un partenariato tutto nuovo sulle nuove tecnologie, in particolare le intelligenze artificiali. D’accordo anche all’istituzione di un gruppo d’azione di alto livello per il clima per promuovere “la diplomazia climatica” e coinvolgere così i governi in politiche globali di sostenibilità, sotto la cabina di regia euro-americana. “Quando si parla di lotta ai cambiamenti climatici Unione europea e Stati Uniti sono partner naturali”, scandisce von der Leyen. Su tutto ciò che riguarda la sostenibilità, i leader si dicono disposti a “continuare e rafforzare” la cooperazione per affrontare il cambiamento climatico, il degrado ambientale e la perdita di biodiversità, promuovere la crescita verde, proteggere i nostri oceani e sollecitare un’azione ambiziosa da parte di tutti gli altri principali attori.
    Lotta al COVID, riforma dell’OMS e viaggi aerei il prima possibile
    La creazione di tavoli tecnici e organismi ad hoc non si esaurisce qui. Si è deciso di un raggiungere un accordo congiunto UE-USA attraverso il gruppo di lavoro di esperti per lo scambio di informazioni e competenze per rilanciare viaggi sicuri e sostenibili tra l’UE e gli Stati Uniti. Un passo che si colloca nel più ampio impegno comune di “porre fine alla pandemia di COVID attraverso la cooperazione globale”. In tal senso l’Unione europea ottiene da Biden il via libera all’istituzione, all’interno dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS),  di un gruppo di lavoro sul rafforzamento della preparazione e della risposta  alle emergenze sanitarie.
    Alleanza transatlantica in chiave anti-cinese e anti-russa
    La Commissione europea che dichiara le sue ambizioni geopolitiche ottiene un’alleanza euro-americana in senso anti-russo e anti-cinese. Ribadendo anche quanto già sancito nel corso del summit dei leader della Nato, Stati Uniti e Unione europea si dicono “uniti nell’approccio di principio” nei confronti di Mosca, e pertanto “pronti a rispondere con decisione” all’azione del Cremlino considerata come “negativa e dannosa”. Da qui l’esigenza di “stabilire un dialogo ad alto livello UE-USA sulla Russia“.
    Ma c’è anche lo scomodo interlocutore cinese a unire le due sponde dell’Atlantico. Biden, von der Leyen e Michel sono d’accordo a lavorare insieme per “sfidare e contrastare le pratiche non di mercato cinesi“. Ma più in generale la rinnovata alleanza agirà “in modi specifici che riflettano i nostri elevati standard, compresa la collaborazione sugli investimenti in entrata e in uscita e sul trasferimento di tecnologia”. 
    C’è poi l’attacco frontale su questioni assai sensibili per il regime di Pechino. Stati Uniti e Unione europea sono decisi a “coordinare” l’agenda politica per quanto riguarda “le continue violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e in Tibet, l’erosione dell’autonomia e dei processi democratici a Hong Kong, le campagne di disinformazione”.
    Il summit UE-Stati Uniti è andato meglio di come si potesse pensare. “Il presidente Biden ha detto che gli Stati Uniti sono tornati sulla scena internazionale, e noi lo prendiamo in parola”, afferma il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che porta a casa impegni e progressi reali di cui l’Ue aveva bisogno e che guarda già oltre. Quanto raggiunto a Bruxelles “è un punto di partenza, ovviamente”.

    Il summit bilaterale produce grandi risultati. Michel: “Biden dice che gli Stati Uniti sono tornati sulla scena internazionale e lo prendiamo in parola, ma è un punto di partenza”