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    Russia ‘cinese’: Mosca vende petrolio e gas a Pechino, che vale quasi il 50% dell’import di beni

    Bruxelles – La Russia ‘cinese’. Con la guerra in Ucraina che prosegue e le sanzioni Ue che mordono, l’orso ha bisogno del dragone, che se da una parte viene in soccorso del Cremlino dall’altra penetra sempre più in quella che all’inizio del conflitto era l’11esima economia mondiale. Lo stop decretato dall’Unione europea al greggio (in vigore da dicembre 2022) e a seguire ai prodotti petroliferi (febbraio 2023) non ha fermato l’export della federazione russa. Anzi. La Banca centrale europea rileva che “il volume delle esportazioni russe di petrolio, il suo principale prodotto di esportazione, è effettivamente aumentato nonostante le sanzioni dell’Ue e del G7”.
    La dinamica non sorprende. Mosca ha risposto all’azione dell’occidente reindirizzando i flussi dall’Europa verso la Cina e la Turchia, nonché verso nuovi partner commerciali in Africa, Medio Oriente e in India. Una riorganizzazione obbligata, per continuare ad alimentare economia nazionale e mantenere vivo la macchina da guerra. Ma pure una scelta che rischia di ridisegnare gli equilibri geopolitici. Perché, rileva la Bce, questo riorientamento del Cremlino “ha reso la Russia più dipendente da partner commerciali non sanzionatori, rendendo l’economia del Paese più fragile nel complesso”.
    Un esempio su tutti è offerto dai ‘numeri’ della Repubblica popolare cinese. “A partire da gennaio 2023, la Cina da sola fornisce quasi la metà delle importazioni di merci dalla Russia“. Sopperisce, per quello che può, alla mancanza di quei prodotti che non arrivano più dall’Unione europea. Allo stato attuale, almeno a Francoforte rimane “poco chiaro” se le nuove importazioni siano della stessa qualità di quelle perse. L’industria russa faceva molto affidamento sui beni high-tech dei partner commerciali occidentali prima della guerra. Le sanzioni imposte a questi prodotti hanno fatto sì che non siano disponibili, siano stati sostituiti da alternative di bassa qualità o siano diventati molto più costosi.
    Se da una parte questa vicinanza commerciale induce ad alimentare i timori peraltro diffusi della creazione di un blocco sino-russo, dall’altra parte si assiste ad uno sbilanciamento russo verso la Cina, a cui Gazprom ha comunque iniziato a vendere più gas compensando così “parzialmente” i mancati acquisti a dodici stelle. Una penetrazione commerciale cinese in territorio russo vorrebbe dire riscrivere gli equilibri economici della regione. Cosa che sta avvenendo. La Russia ‘cinese’ può essere la nuova realtà con cui dover fare i conti.

    Mosca ha dovuto ri-orientare la sua economia per rispondere alla sanzioni Ue. Vende più petrolio, ma dipende fortemente dalla repubblica popolare

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    La Russia vieterà da febbraio la vendita di petrolio ai paesi che usano il price cap

    Bruxelles – La Russia vieterà la vendita di petrolio e prodotti derivati ai Paesi che hanno deciso di non comprare più il greggio di Mosca oltre 60 dollari al barile, anche quando il prezzo di mercato è più alto. Lo ha stabilito un decreto firmato oggi (27 dicembre) dal presidente russo Vladimir Putin in risposta all’accordo sul tetto al prezzo del petrolio russo raggiunto a inizio dicembre dai Paesi G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America), dall’Unione europea e dall’Australia.
    Da giorni ormai era diventato sempre più probabile una risposta di Mosca al price cap occidentale al petrolio. “La vendita del petrolio e dei prodotti petroliferi russi a società e altri privati è vietata” se questi fanno ricorso al tetto sui prezzi, si legge nel decreto, che prevede però la possibilità per il Cremlino di concedere un permesso per la fornitura di petrolio a paesi che rientrano nel divieto. Il divieto entrerà in vigore il prossimo primo febbraio e durerà per cinque mesi, fino a luglio 2023.
    L’intesa sulla fascia di prezzo oltre la quale vietare il trasporto globale via mare del greggio di Mosca verso Paesi terzi è stata siglata nel contesto del G7, dove le sette economie più ricche al mondo hanno concordato insieme all’Australia di introdurre un tetto massimo globale sul prezzo del petrolio russo trasportato verso i Paesi terzi, nell’ottica di impedire alla Russia di continuare a trarre profitto dalla guerra di aggressione in Ucraina e di sostenere la stabilità dei mercati energetici globali. Il tetto è entrato in vigore il 5 dicembre per il greggio russo, mentre sarà operativo dal 5 febbraio 2023 anche per i prodotti raffinati del petrolio (su cui il livello di ‘cap’ dovrà essere stabilito in un secondo momento). Anche una volta fissato il tetto a 60 dollari al barile, la cifra può essere modificata in ogni momento, l’intesa prevede un meccanismo di revisione del funzionamento del price cap ogni due mesi.
    Il price cap globale è complementare all’entrata in vigore lo scorso 5 dicembre dell’embargo al petrolio russo deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca adottato a inizio giugno, con cui i governi dell’Ue hanno deciso di tagliare entro la fine del 2022 il 90 per cento delle importazioni russe di petrolio in arrivo nel continente europeo, attraverso un embargo su tutto il petrolio in arrivo via mare e un impegno di Germania e Polonia a tagliare anche le proprie importazioni attraverso l’oleodotto Druzhba.

    Il decreto firmato da Putin martedì in vigore dal primo febbraio per cinque mesi. La misura è in risposta al tetto al prezzo del petrolio venduto verso paesi terzi stabilito a oltre 60 dollari al barile da Unione europea, G7 e Australia

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    Scattano il ‘price cap’ e l’embargo europeo sul petrolio russo

    Bruxelles – Da una parte, il tetto a 60 dollari al barile sulla vendita a Paesi terzi di petrolio russo e servizi collegati. Dall’altro, l’embargo europeo sul petrolio russo in arrivo via mare deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’aggressione dell’Ucraina. E’ a partire da oggi (5 dicembre) che diventano operative entrambe le misure restrittive stabilite sul piano interno e internazionale per andare a colpire le entrate con cui il Cremlino finanzia la guerra.
    Il tetto massimo al prezzo del petrolio russo è stato stabilito a livello europeo nel quadro dell’ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia e sarà imposto insieme ai Paesi G7 (Canada, Francia, Italia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) dall’Unione Europea e dall’Australia, riuniti nella “Price Cap Coalition”. Sul prezzo effettivo del tetto l’intesa a livello europeo è arrivata venerdì sul filo di lana, dopo aver convinto anche la Polonia che ha spinto per giorni per un tetto molto più basso. Nei fatti, l’imposizione del ‘cap0 consente al petrolio russo di essere spedito a Paesi terzi utilizzando petroliere dei Paesi G7 e dell’UE solo se il carico viene acquistato al di sotto della soglia dei 60 dollari al barile, anche se il prezzo di mercato è più alto (attualmente si aggira intorno agli 80 euro).
    Il tetto entra in vigore oggi per il greggio russo, mentre sarà operativo dal 5 febbraio 2023 anche per i prodotti raffinati del petrolio (su cui il livello di ‘cap’ dovrà essere stabilito in un secondo momento). Anche una volta fissato il tetto a 60 dollari al barile, la cifra può essere modificata in ogni momento, l’intesa prevede un meccanismo di revisione del funzionamento del price cap ogni due mesi. Mosca ha già fatto sapere che il tetto al prezzo del petrolio russo deciso dai “Paesi occidentali non avrà alcun impatto sull’offensiva di Mosca in Ucraina”, ha ribadito il ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, sottolineando che l’economia russa “ha tutte le capacità necessarie” per finanziare l’offensiva militare, ha precisato mettendo in guardia contro una “destabilizzazione” del mercato energetico mondiale.
    Contestualmente al tetto sul petrolio, entra in vigore oggi anche il divieto di importazione dell’UE sul greggio e ai prodotti petroliferi russi trasportati via mare, ovvero l’embargo stabilito a giugno con il via libera al sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Il divieto riguarda tutto il petrolio russo trasportato via mare in Europa ma, dopo settimane di negoziati difficili a livello europeo, ha previsto una esenzione sulle importazioni di petrolio che arrivano in Europa attraverso gli oleodotti che trasportano il greggio in Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca, ovvero i Paesi più dipendenti dalla Russia in termini di petrolio e senza sbocco sul mare. Data la “specifica esposizione geografica” è prevista una deroga temporanea speciale fino alla fine del 2024 per la Bulgaria che potrà continuare a importare petrolio greggio e prodotti petroliferi trasportati via mare, mentre la Croazia potrà inoltre autorizzare fino alla fine del 2023 l’importazione di gasolio sottovuoto russo, necessario per il funzionamento della sua raffineria.
    Secondo le stime di Bruxelles, nel 2021 l’UE ha importato dalla Russia circa 48 miliardi di euro di petrolio greggio e 23 miliardi di euro di prodotti petroliferi raffinati, come la benzina. Venerdì, dopo l’accordo tra i Ventisette sul tetto al prezzo del petrolio russo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha salutato l’intesa come un passo per “ridurre in maniera significativa le entrate di Mosca”.

    The EU agreement on an oil price cap, coordinated with G7 and others, will reduce Russia’s revenues significantly.
    It will help us stabilise global energy prices, benefitting emerging economies around the world. pic.twitter.com/3WmIalIe5y
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 2, 2022

    Entrano in vigore le misure restrittive su cui i governi europei si sono accordati nel sesto e ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia: il divieto di importare greggio russo via mare (con eccezioni) e il tetto a 60 dollari al barile per il trasporto in Paesi terzi concordato nel quadro G7

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    INTERVISTA / Pisapia: “La stabilità in Libia è interesse anche dell’Ue, dal clima all’energia, fino ai fenomeni migratori”

    dall’inviato a Strasburgo – Cambiare l’approccio con la Libia per imprimere una svolta in un Paese travolto da un’instabilità ormai cronica, i cui riflessi si avvertono anche nell’Unione Europea, dalla questione migratoria a quella energetica e climatica. In un’intervista rilasciata a Eunews a ridosso del voto in sessione plenaria sulla raccomandazione del Parlamento Europeo (approvata con 454 voti a favore, 130 contrari e 54 astenuti) il relatore Giuliano Pisapia (S&D) traccia le linee di un auspicato rinnovo dell’impegno da parte dell’Ue e dei Ventisette a sostegno dello Stato di diritto e dei diritti nel Paese nordafricano, per sorvegliare un altrettanto atteso processo di formazione di un governo centrale legittimo e responsabile.
    Quale quadro esce dalla Libia degli ultimi 3 anni?
    “Il vuoto lasciato dalla caduta di Gheddafi è stato negli anni riempito da milizie locali e straniere che, supportate da alcuni attori internazionali, si macchiano di violenti crimini. Le interferenze straniere sono oggi uno dei maggiori problemi della Libia perché impediscono un vero processo di riconciliazione nazionale che garantisca alla Libia un futuro pacifico e democratico”.
    Come uscire allora dall’impasse?
    “Il tema dei diritti è ovviamente al centro della discussione sulla Libia. Le violazioni dei diritti umani sono sistemiche e l’impunità regna sovrana. Per questo motivo serve assolutamente un’autorità centrale che si assuma la responsabilità di garantire i diritti – e i doveri – di tutti. Il futuro governo dovrà trarre legittimità dallo stesso popolo libico. Per questo è fondamentale rinvigorire i negoziati tra i vari attori libici mediati dall’Onu con l’obiettivo di elaborare una nuova tabella di marcia che porti finalmente ad elezioni credibili, inclusive e democratiche”.
    Quali sono state le carenze europee sul file libico?
    “Purtroppo negli anni gli Stati membri non sono stati in grado di trovare una posizione comune sul futuro della Libia o, ancor peggio, non l’hanno considerata prioritaria. Eppure la Libia condivide con noi tantissime sfide. Basti pensare alla questione climatica, la crisi energetica e la gestione dei fenomeni migratori. La stabilità della Libia è interesse non solo del popolo libico ma anche dell’Unione europea e dei singoli Paesi Ue”.
    Cosa raccomanda il Parlamento al Consiglio, alla Commissione e all’alto rappresentante Ue?
    “Prima di tutto chiediamo la nomina di un Rappresentante speciale dell’Ue per la Libia che ci permetta di svolgere un ruolo di supporto più attivo al processo di riconciliazione nazionale. Dobbiamo inoltre inviare una missione di osservazione elettorale dell’Ue che monitori il processo elettorale e offra il supporto tecnico necessario. Abbiamo infine la possibilità di utilizzare i nostri fondi Ue per finanziare progetti volti, per esempio, a rafforzare lo Stato di diritto, sostenere la società civile, rafforzare l’inclusione sociale e l’uguaglianza di genere”.
    Sul fronte energetico, può il petrolio diventare mezzo di ricatto politico?
    “Lo è già stato. Troppe volte diversi attori libici – governativi e non – hanno chiuso gli impianti e bloccato la produzione di petrolio per finalità politiche. Questi blocchi hanno avuto ripercussioni non solo sull’economia locale – che, ricordo, è fortemente dipendente dal settore petrolifero – ma anche su scala mondiale”.
    L’Ue cosa può fare a riguardo?
    “Sul tema energetico l’Ue può certamente dare un grande contributo alla Libia. Da una parte dobbiamo fare pressioni sulle autorità libiche affinché garantiscano che i proventi del petrolio portino benefici all’intera popolazione libica. Dall’altra, non si può dimenticare che i cambiamenti climatici affliggono pesantemente la Libia e perciò è indispensabile incentivare il Paese ad intraprendere un percorso di transizione ecologica in linea con gli impegni di Parigi”.
    Alla luce del voto in plenaria, come valuta il piano presentato dalla Commissaria Johansson lunedì 21 novembre sul rafforzamento delle azioni congiunte sulla politica comune di migrazione e asilo?
     “Vi sono alcuni aspetti positivi che la Raccomandazione sulla Libia già conteneva. Penso al supporto delle Ong che operano in Libia, all’aumento della solidarietà tra Stati membri sul tema dei ricollocamenti o al rafforzamento del cosiddetto Meccanismo di Transito d’emergenza gestito da Unhcr che ha permesso di evacuare numerose persone vulnerabili dalla Libia”.
    E vede criticità?
    “Come al solito ci si chiede quanto effettivamente questi aspetti positivi verranno realmente attuati e quanto invece il focus si sposterà sul prevenire l’arrivo dei migranti in Europa. Dobbiamo fare molta attenzione: oltre agli obblighi internazionali che siamo tenuti a rispettare, è in ballo la nostra credibilità. Per troppo tempo la Libia nell’immaginario delle nostre cittadine e dei nostri cittadini ha rappresentato, non a torto, il luogo per eccellenza delle violazioni dei diritti umani. Dobbiamo ribaltare questo immagine e per far questo serve un impegno europeo maggiore sullo Stato di diritto e sui diritti in Libia. La panacea di tutti i mali in Libia è la lotta all’impunità. Ripartiamo da qui. Ce lo chiede il popolo libico”.

    Di questo e di tanti altri temi di attualità nelle politiche europee si discuterà nel nono appuntamento annuale di Eunews How Can We Govern Europe?, in programma a Roma il 29 e 30 novembre negli spazi delle rappresentanze di Commissione e Parlamento europei, in piazza Venezia.

    Il relatore della raccomandazione del Parlamento Ue (approvata in sessione plenaria) traccia le direttrici di un rinnovato impegno europeo sullo Stato di diritto e sui diritti nel Paese: “Per troppo tempo ha rappresentato il luogo delle violazioni dei diritti umani, la panacea di tutti i mali è la lotta all’impunità”

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    La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio

    Bruxelles – La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio. Transneft, la compagnia responsabile per il trasporto del greggio, ha chiuso i rubinetti per presunte conseguenze delle sanzioni dell’Unione europea. Non sarebbe stato possibile effettuare un pagamento, effettuato il 22 luglio ma rifiutato sei giorni più tardi. Dal 4 agosto dunque niente più trasporto via Ucraina, e Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca a secco. A non funzionare più è l’oleodotto UkrTransNafta, ramo della pipeline Druzhba che passa per l’Ucraina. Le consegne a Polonia e Germania, attraverso un altro ramo dell’oleodotto Druzhba che attraversa la Bielorussia, invece al momento “proseguono normalmente”, fa sapere Transneft.
    Il trasporto di petrolio attraverso l’oleodotto Druzhba è stato sospeso per diversi giorni, ma la raffineria Slovnaft di Bratislava continua a funzionare e a rifornire il mercato, ha dichiarato in un comunicato il portavoce della società slovacca Anton Molnar. “Secondo le nostre informazioni, ci sono stati problemi tecnici a livello bancario relativi al pagamento delle tasse di transito da parte russa”, ha aggiunto.
    C’è il timore che in realtà Mosca stia usando sempre di più l’energia per fare pressione sul blocco dei Ventisette, usando petrolio, gas e risorse come arma di ricatto. Prima dello stop del petrolio, per cui comunque è previsto l’embargo europeo, c’è stata la riduzione delle forniture di gas, se non addirittura lo stop completo. E’ stato il caso di Polonia e Bulgaria, Stati membri verso cui è stato impedito al gas di arrivare a destinazione. Lo stesso è capitato a Danimarca, Paesi Bassi e Finlandia, sempre per questioni legate a pagamenti, non effettuati in rubli.

    Our emergency plan to reduce gas demand across the EU is now in force.
    Several Member States have already taken valuable, voluntary measures towards our target:
    Together, we aim to reduce gas usage by at least 15%.
    Saving energy is vital to Europe’s energy security.#REPowerEU pic.twitter.com/Iy6b0O0g3O
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 9, 2022

    A Bruxelles si cerca di minimizzare. “Il nostro piano di emergenza per ridurre la domanda di Gas in tutta l’Ue è ora in vigore”, ha ricordato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Diversi Stati membri hanno già adottato misure preziose e volontarie per raggiungere il nostro obiettivo”, ovvero di “ridurre il consumo di Gas di almeno il 15 per cento”. La numero uno dell’esecutivo comunitario ribadisce che “il risparmio energetico è fondamentale per la sicurezza energetica dell’Europa” nel contesto della risposta alla guerra russa in Ucraina.

    Transneft ha smesso di trasportare il greggio. Il motivo sono problemi nei pagamenti

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    Borrell contro i critici delle sanzioni Ue (Orbán in testa): “Nessun legame con i prezzi del petrolio”

    Bruxelles – I dati contro le interpretazioni distorte della realtà. “Alcuni leader Ue hanno detto che le sanzioni sono state un errore e che l’embargo sul petrolio ne ha aumentato il prezzo, invece è agli stessi livelli di febbraio, prima della guerra”, ha commentato seccamente l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, parlando oggi (lunedì 18 maggio) alla stampa dopo il Consiglio Affari Esteri e mostrando un grafico con l’andamento dei prezzi dall’inizio dell’anno. “Dietro ogni discorso ci devono essere dati e cifre, non si può dire tutto ciò che si vuole“, ha incalzato Borrell: “Come si può affermare che sono stati l’embargo e le sanzioni alla Russia ad aumentare il prezzo del petrolio, quando invece è diminuito?”
    L’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (18 luglio 2022)
    Il duro commento dell’alto rappresentante Borrell è arrivato in seguito alle parole del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, sulle conseguenze delle sanzioni adottate dall’Ue: “Inizialmente pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede, ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e ora fatica a respirare“. Il primo ministro ungherese è stato un oppositore dell’embargo al petrolio della Russia sin dalla presentazione del sesto pacchetto di sanzioni, per la cui approvazione è servito un intenso lavoro di mediazione al Consiglio Europeo di maggio. “Il momento della verità deve arrivare a Bruxelles, quando i leader ammetteranno di aver fatto un errore di calcolo”, ha rincarato la dose Orbán: “La politica delle sanzioni alla Russia era basata su presupposti sbagliati e non ha soddisfatto le aspettative riposte“, in particolare per l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, dei generi alimentari e delle risorse energetiche come il petrolio.
    “Nella narrativa di guerra, molte persone dicono cose senza considerare la realtà: senza cifre, tutti possono dire quello che vogliono sull’effetto delle sanzioni dell’Ue, e non è possibile”, è stata la risposta dell’alto rappresentante Borrell in conferenza stampa. Nel caso del petrolio, “non sono state le sanzioni ad aumentarne i prezzi, come dicono alcuni in modo completamente errato“, dal momento in cui è evidente – analizzando il grafico presentato e illustrato – che dall’adozione delle sanzioni e dell’embargo contro la Russia, il prezzo è sceso: “Non dico che sono la causa della diminuzione, ma al contrario che le sanzioni non hanno creato un aumento”. In ogni caso l’alto rappresentante Ue ha riconosciuto che “la società europea deve essere consapevole che questa guerra è una prova di resistenza e noi dobbiamo essere resistenti a sufficienza per sostenere l’Ucraina, altre soluzioni non ce ne sono”, a partire proprio dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari.

    Mostrando i grafici dell’andamento dei prezzi dall’inizio del 2022, il titolare della Politica estera e di sicurezza del gabinetto von der Leyen ha attaccato “chi critica gli effetti dell’embargo senza considerare la realtà dei fatti, perché senza cifre tutti possono dire quello che vogliono”

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    Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo

    Bruxelles – Gas e petrolio russi, il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo ai principali prodotti energetici di cui l’Unione europea è fortemente dipendente. In occasione della riunione dei 27 ministri degli Esteri di lunedì (11 aprile) il tema “non sarà sul tavolo”, fanno sapere fonti UE, nonostante il voto dell’Europarlamento che solleva il tema e nonostante la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, abbia espressamente detto proprio in Aula che dopo le misure contro il carbone al centro del quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina è ora tempo di iniziare a ragionare sul petrolio.
    Eppure l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, nell’agenda dei lavori che pure prevede la questione ucraina tra i temi di confronto, ha deciso di non inserire la discussione di una stretta sugli acquisti di gas e petrolio. Una scelta per certi versi a sorpresa, che però non sorprende del tutto. Tra i Ventisette c’è chi dipende in maniera molto più forte di altri dalle risorse fornite da Mosca e dalle sue controllate. E’ soprattutto il quadrante orientale – Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria – ad essere più esposto, e quindi colpita, da un eventuale stop agli acquisti. “Su gas e petrolio servirà comunque l’unanimità, tra Paesi che hanno dipendenze energetiche diverse“, riconoscono le stesse fonti, che non nascondono la complessità delle decisioni da prendere e la delicatezza del tema. “Ci sono difficoltà tecniche e politiche” sull’argomento. Dunque, meglio non parlarne, per evitare spaccature e tensioni che possano offrire l’immagine di un’Europa fin qui unita e decisa nella risposta all’invasione della Russia.
    Si gioca la carta delle tempistiche per giustificare la scelta di tenere fuori sul tavolo le questioni di gas e petrolio. “E’ stato appena approvato un quinto pacchetto di sanzioni, molto sostanzioso”. Troppo presto, in sostanza, per iniziare a ragionare su un sesto set di misure restrittive”. Però il senso di necessità di intervento è avvertito, come l’irritazione per chi ancora punta i piedi. “E’ un fatto che i Paesi che pagano per petrolio e gas russo danno forza economica a Putin“, si ragiona a denti stretti tra gli addetti ai lavori.
    Sarebbe nell’interesse di Borrell e dell’Unione un’accelerazione sull’argomento, ma certo è che bisogna tenere conto della fattibilità della cosa. Le ripercussioni economiche potrebbero essere di forte entità, specie tra i membri del club a dodici stelle che maggiormente hanno bisogno dell’energia russa per il proprio sistema produttivo. Ad ogni modo “trattandosi di un dibattito politico, non escludiamo che qualcuno possa sollevare il tema” durante i lavori di lunedì.
    Se il Consiglio affari esteri ufficialmente non parlerà di embargo al petrolio e al gas di Russia, emerge l’eventualità che il punto sarà discusso in via informale. A ben vedere questa potrebbe essere la soluzione migliore per evitare imbarazzi in caso di divergenze di vedute, su un tema ufficialmente non all’ordine del giorno e per cui, proprio per questo, non sono attese conclusioni. La parola ai ministri. A Bruxelles comunque ribadiscono: “Non se ne parlerà”. Non ufficialmente, almeno.

    Nell’agenda dei lavori non risulta il punto. “Non sarà sul tavolo”, confermano fonti. Possibile un dibattito su richiesta, a questo punto informale, su un argomento divisivo

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    La Cina smette di comprare petrolio dalla Russia

    Bruxelles – La Cina ha smesso di rifornirsi di petrolio dalla Russia. Lo scrive l’agenzia Reuters in una corrispondenza da Singapore.
    Onorare i contratti petroliferi con i russi, senza stipularne di nuovi, per il timore di essere colpiti dalle sanzioni occidentali. Sarebbe questa la strategia delle principali imprese di Stato cinesi nel settore secondo quanto ricostruisce l’agenzia di stampa britannica. Tra queste aziende ci sarebbero Sinopec, China national offshore oil corporation (CNOOC), PetroChina e Sinochem.
    A giudizio dell’analista di politica internazionale Marta Dassù il comportamento di Pechino sarebbe dettato da una “prudenza sostanziale”, nonostante l’appoggio “formale” espresso a Mosca.

    Le aziende statali cinesi non stanno più comprando gas e petrolio dalla Russia. Appoggio formale, prudenza sostanziale.
    — marta dassù (@martadassu) April 7, 2022

    Sinopec, il più grande raffinatore di petrolio dell’Asia, ma anche CNOOC, PetroChina e Sinochem, non avrebbero richiesto nuove forniture per il mese di maggio, pur a prezzo ridotto. “Le compagnie di Stato sono caute, perché le loro azioni potrebbero essere viste come rappresentative del governo cinese e nessuna di loro vuole distinguersi in quanto compratrice di petrolio russo”, ha detto una fonte, rimasta anonima, a Reuters. La Cina, il più grande importatore di petrolio al mondo, è anche il primo compratore di greggio dalla Russia, con acquisti che, prima delle guerra in Ucraina arrivavano a 1,6 milioni di barili al giorno.

    Lo scrive l’agenzia Reuters: “Timore di essere colpiti dalle sanzioni occidentali”