Sono bastati tre mesi e mezzo ai talebani per riconquistare l’Afghanistan e tornare a far sventolare a Kabul la bandiera dell’Emirato islamico, il 15 agosto dello scorso anno.
Dopo vent’anni di guerra, gli Stati Uniti di Donald Trump e i talebani avevano firmato nel febbraio del 2020 a Doha un accordo di pace che prevedeva il ritiro di tutte le forze Nato entro il primo maggio del 2021. Un anno dopo l’intesa, i militari americani in Afghanistan si riducono a 2.500. Ma a poche settimane dalla scadenza del termine ultimo per il ritiro, il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, che affronta la prima crisi internazionale dall’insediamento, decide lo slittamento a settembre, citando preoccupazioni per la sicurezza e lamentando ritardi logistici. Accanto al ritiro delle forze e degli asset militari infatti, ci sono da evacuare migliaia e migliaia di afghane e afghani che hanno collaborato a vario titolo con le “forze di occupazione”, come le bollano i talebani.
Biden indica come nuovo termine ultimo la data dell’11 settembre, drammaticamente centrale per la storia americana e quella del conflitto in Afghanistan, iniziato in conseguenza degli attacchi in America targati Osama bin Laden, all’epoca nascosto proprio tra le montagne del Paese asiatico.
I talebani reagiscono in armi all’annuncio di Biden e allo scadere del primo maggio lanciano una massiccia offensiva nella provincia più ostile alle forze straniere, quell’Helmand dove si concentra il più alto numero di vittime tra i soldati americani e britannici in 20 anni di guerra. I soldati afghani oppongono resistenza, in campo scendono anche i potenti signori della guerra e le milizie armate di civili.
Ma non c’è più il sostegno aereo alleato, micidiale risorsa nel corso del conflitto. In poche settimane le linee difensive dei governativi arretrano in tutto il Paese fino a concentrarsi solo nelle grandi città. I talebani sferrano l’attacco ai capoluoghi il 6 agosto: solo quattro giorni dopo fonti europee stimano che abbiano preso il controllo del 65% del territorio. Il 12 agosto cade Kandahar, la comunità internazionale accoglie la notizia con scetticismo, ci vorranno ore per crederci. Due giorni dopo i talebani sono alle porte di Kabul, il 15 il presidente Ashraf Ghani fugge all’estero, mentre la bandiera talebana sventola già sul suo ex palazzo.
Nelle settimane successive emerge che l’avanzata talebana, per quanto poderosa e programmata, non aveva incontrato alcuna resistenza di rilievo. I comandanti avevano patteggiato la consegna delle città in cambio della vita. L’esercito di Kabul, nonostante i fiumi di miliardi di dollari per la formazione e l’addestramento, si rivela essere quello che molti temevano fosse: un vaso di coccio. Il ritiro delle forze Nato diventa precipitoso e alla fine si conclude nel caos il 30 agosto con l’ultimo aereo militare americano che lascia Kabul. Le immagini della chiusura dell’ambasciata e le evacuazioni in elicottero vengono bollate come una nuova Saigon per l’amministrazione Usa.
Source: http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/politica_rss.xml