La sorte del sottosegretario leghista Claudio Durigon sarà decisa a giorni. Anche se Matteo Salvini continua a difenderlo – “E’ in gambissima, è l’ultimo a poter essere accusato di fascismo” ed “è il papà di Quota 100”, elenca a Rai3 – ribadisce che lo incontrerà nei prossimi giorni. “Vedremo come andare avanti per il governo e il paese” e promette: “Lo faremo in totale serenità”.
Insomma, via di uscita cercasi per chiudere un caso sempre più spinoso e su cui restano alte le barricate del centrosinistra perché il sottosegretario si dimetta. “L’apologia di fascismo è incompatibile con il ruolo di Durigon e, dunque, con la sua presenza al governo”, martella ancora il segretario del Pd, Enrico Letta sulla proposta, fatta dal leghista venti giorni, di cambiare nome al parco di Latina, passando da Falcone e Borsellino ad Arnaldo Mussolini.
La trattativa sul numero due leghista del ministero dell’Economia è quindi in corso, nel suo partito. Da un lato per garantirgli un addio dignitoso, dall’altro forse per avere una contropartita adeguata. Difficile però che la pedina da scambiare possa essere la ministra Luciana Lamorgese. Tant’è che Salvini non ne chiede le dimissioni ma non molla la presa: “Se il ministro è capace lo faccia. Se ha voglia lo faccia, altrimenti lasci il posto a qualcun altro”. Poi annuncia di aver chiesto al premier un incontro a tre.
Su un eventuale passo indietro della responsabile del Viminale, non si sbilancia nemmeno Giancarlo Giorgetti, voce dialogante del Carroccio e non sempre in sintonia con il segretario: “A mio avviso per Lamorgese vale esattamente quello che ho detto per Durigon”, dice il ministro a margine del Meeting di Rimini. Sull’ex sindacalista dell’Ugl, però, fa intendere che lo strappo è vicino: “Un membro del governo si dimette o perché glielo chiede il presidente del Consiglio o il segretario del suo partito. O per una decisione di coscienza”, spiega. E sulle dichiarazioni di Durigon gli ricorda: ‘Quando si è investiti di responsabilità di governo bisogna essere molto attenti a quello che si fa”.
Nel frattempo il partito continua, probabilmente, a ragionare su chi possa prendere il posto di Durigon. Ufficialmente ogni sottosegretario viene proposto dal presidente del Consiglio, nominato dal capo dello Stato e niente sulla carta garantisce che debba essere dello stesso partito di quello uscente. Ma un accordo potrebbe portare a questo esito. In pole ci sarebbe allora Massimo Bitonci.
L’ex sindaco di Padova ha ricoperto lo stesso incarico di Durigon sotto il primo governo Conte. Finita quell’esperienza, oggi è fuori dai giochi politici. Un suo ritorno in scena potrebbe però alterare gli equilibri leghisti soprattutto in Veneto. A maggior ragione perché, pare, non abbia ottimi rapporti con il ‘doge’ della Lega, il governatore Luca Zaia. Tuttavia, al di là delle simpatie personali, proprio Bitonci potrebbe essere una buona sponda alla causa del federalismo che tanto hanno a cuore i leghisti del nord. In alternativa a Bitonci, si vocifera del genovese Edoardo Rixi: ‘costretto’ a dimettersi da viceministro alle Infrastrutture per la condanna per le cosiddette spese pazze in Liguria, a marzo è stato assolto in appello (“il fatto non sussiste”) e potrebbe essere ‘risarcito’ così. Oltre alle beghe interne, Salvini continua a subire il pressing della rivale e alleata Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia lo marca stretto non solo nei sondaggi ma anche nelle battaglie politiche. Con la differenza che lei, dall’opposizione, può andare avanti in extremis, la Lega di governo no. Forse anche per concentrarsi di più sulla competizione nel centrodestra, per la prima volta dal 1993 Salvini non si candiderà al Consiglio comunale di Milano. A inizio agosto aveva aperto all’ipotesi (“Se servo, mi candido”), ora la rinuncia per far posto a una donna, che sarà un’esponente della società civile.
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