Bruxelles – Ucraina e Moldova ora contano i giorni per l’avvio formale del processo di adesione Ue, con il via libera “di principio” sui negoziati di adesione che a breve si trasformerà in realtà per i due Paesi candidati all’adesione Ue da esattamente due anni. Come fanno sapere fonti Ue a Eunews, il voto per l’approvazione dei quadri negoziali con Kiev e Chișinău si terrà al Consiglio Affari Economici e Finanziari (Ecofin) di venerdì (21 giugno), come punto in agenda senza discussione. Dopo l’ok dei 27 governi Ue – che dovrebbe arrivare senza sorprese, anche considerata la modalità di voto – la presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue convocherà per martedì prossimo (25 giugno) le prime conferenze intergovernative “nel primo pomeriggio” a margine del Consiglio Affari Generali, precisano le stesse fonti.
Da settimane a Bruxelles è caldo il dossier sull’avvio dei negoziati di adesione Ue per Ucraina e Moldova, con la data del 25 giugno nei radar della presidenza belga (e di 12 governi più aperturisti), in quanto ultima data utile prima dell’inizio del passaggio di consegne all’Ungheria per il semestre alla guida dell’istituzione Ue. Dopo la prima fumata nera al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) del 29 maggio, a causa delle obiezioni ungheresi sull’Ucraina, i negoziatori belgi hanno lavorato senza sosta per appianare le resistenze di Budapest (mai insormontabili, a dire il vero) e permettere di arrivare a un’intesa generale per il voto formale. Il tema è tornato sul tavolo degli ambasciatori venerdì sera scorso (14 giugno), con il nuovo testo di compromesso che ha trovato l’accordo “di principio” di tutti i Ventisette. Come reso noto già al termine della riunione del Coreper, “la presidenza belga convocherà le prime conferenze intergovernative il 25 giugno”, anche se i Paesi Bassi dovranno prima sciogliere la propria riserva parlamentare (ovvero servirà il voto dei 150 deputati per autorizzare il governo ad approvare la proposta di quadri negoziali).
Dopo la concessione dello status di Paese candidato nel giugno 2022 e nonostante i progressi costanti registrati dalla Commissione Europea nel corso del successivo anno e mezzo, il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva scelto la via dell’ostruzionismo per provare a impedire il via libera ai negoziati di adesione con Kiev. Solo attraverso una costante pressione delle istituzioni Ue – e lo sblocco da parte della Commissione di circa 10 miliardi di euro congelati a Budapest – Orbán ha compiuto un gesto abbastanza inconsueto ed eclatante al Consiglio Europeo del 14 dicembre 2023: ha lasciato la sala al momento del voto, così che gli altri 26 leader Ue potessero approvare la più attesa tra le conclusioni del vertice. Con le conclusioni del Consiglio Europeo del 21 marzo, i capi di Stato e di governo hanno poi invitato i 27 ministri degli Affari europei ad “adottare rapidamente” i progetti di quadri di negoziazione e “a portare avanti i lavori senza indugio”.
Lo stesso presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva confessato in quell’occasione che la speranza era quella di “arrivare alla prima conferenza intergovernativa sotto presidenza belga“, prima del passaggio del testimone all’Ungheria per la definizione di calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio. Come da previsioni delle ultime settimane, il governo ungherese ha fatto cadere le proprie riserve – senza risparmiare suspense nelle istituzioni Ue – su diritti delle minoranze in Ucraina, commercio, lotta alla corruzione, agricoltura, funzionamento del Mercato unico e relazioni di buon vicinato, anche grazie al forte impegno di Kiev con la risposta all’elenco di 11 punti stilato da Budapest. Se arriveranno il tanto atteso via libera ai negoziati di adesione il 21 giugno e le prime conferenze intergovernative quattro giorni più tardi, il governo Orbán non dovrà preoccuparsi di costanti polemiche sulla questione dei colloqui di adesione dell’Ucraina durante il proprio semestre di presidenza. Senza dimenticare che questa non è certo l’ultima occasione per l’Ungheria di utilizzare il potere di veto per bloccare l’adesione Ue di Kiev.
Come funziona il processo di adesione Ue
Il processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.
A che punto è l’allargamento Ue
Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre e ora si attende solo l’avvio formale dei negoziati e l’adozione dei quadri negoziali per le prime due.
Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Albania e Macedonia del Nord i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Montenegro e Serbia si trovano a questo stadio rispettivamente da 12 e 10 anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche la Bosnia ed Erzegovina è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e al Consiglio Europeo del 21 marzo ha ricevuto l’endorsement all’avvio formale dei negoziati di adesione. Il Kosovo è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.
I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.
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