Bruxelles – La strada dell’allargamento Ue sta diventando particolarmente trafficata. E la Commissione Europea sta facendo di tutto per spingere gli aspiranti nuovi membri dell’Unione a tagliare il traguardo alla fine di un cammino pieno di ostacoli, ritardi, arretramenti e speranze. Dopo un 2022 in cui i Ventisette hanno finalmente rotto gli indugi su questo processo, è arrivato il Pacchetto Allargamento Ue 2023 a movimentare di nuovo le acque e stabilire nuovi obiettivi per avvicinare sempre più i Paesi in corsa per diventare parte integrante dell’Unione Europea. E lo ha fatto mettendo tutte le ambizioni più alte sul tavolo dei Ventisette.
“Oggi è un giorno storico, dobbiamo sfruttare il momento per affrontare il duro lavoro che abbiamo davanti”, ha aperto così oggi (8 novembre) la conferenza stampa di presentazione del nuovo Pacchetto Allargamento Ue la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, elencando le novità principali: “Abbiamo raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina, Moldova e Bosnia ed Erzegovina e di concedere lo status di Paese candidato all’adesione alla Georgia“. Nel giorno più importante dopo il suo tour nell’ultimo mese nelle capitali dei partner per ribadire l’impegno della Commissione al loro percorso di adesione, la leader dell’esecutivo comunitario ha voluto sottolineare con forza che “tutti questi Paesi hanno sentito la chiamata della storia” e, non meno importante, “sono parte della nostra famiglia europea, è chiaro qual è il nostro obiettivo”. Fonti interne alla Commissione precisano che “non è la nostra idea” quella di far aspettare i Paesi più avanzati fino a quando non sarà pronto “quello più lento”. Insomma, l’allargamento Ue è “un percorso basato sul merito” e, quando i primi della classe saranno pronti, Bruxelles non dovrà mettere in campo strategie del passato (come quella del 2004 con 10 nuovi membri nello stesso momento).
Ora sarà però il Consiglio Europeo del 14-15 dicembre a dover prendere le singole decisioni definitive in merito. Ed è qui che bisogna considerare la situazione di ognuno dei Paesi interessati dal processo di allargamento Ue. In primis l’Ucraina, che secondo la Commissione Ue merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano le fonti). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico su Kiev.
Discorso simile può essere fatto sulla Moldova, considerata “frontrunner” dai funzionari Ue dopo aver completato 6 priorità su 9 (+3 da fine giugno). Anche per Chișinău la raccomandazione della Commissione al Consiglio è quella di avviare i negoziati di adesione immediatamente e adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave” nelle tre aree ancora da ultimare: rafforzamento del sistema giudiziario, degli organi anti-corruzione e attuazione del piano d’azione per la de-oligarchizzazione. A marzo del prossimo anno arriverà un nuovo rapporto dell’esecutivo comunitario, in cui si capirà se il Paese ha tratto nuova linfa per il suo cammino di adesione all’Ue.
E poi c’è la Bosnia ed Erzegovina, il Paese più discusso dopo la concessione dello status di candidato all’adesione nel dicembre dello scorso anno. La raccomandazione dell’avvio dei negoziati dopo un solo anno – considerata la polarizzazione politica e i progetti secessionisti nell’entità della Republika Sprksa – è stata particolarmente contestata da molti ambasciatori dei Ventisette e per questo motivo per Sarajevo il gabinetto von der Leyen ha deciso di procedere in modo diverso: questo potrà accadere “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione“. In altre parole, la raccomandazione c’è, ma la risposta del Consiglio certamente aspetterà. Quanto non è dato sapere, ma è un fatto che su 14 priorità indicate dalla Commissione, solo 2 sono state completate. La speranza della Commissione deriva dal fatto che la concessione dello status di candidato “ha portato una dinamica positiva di cui si sentiva il bisogno” e il governo “ha iniziato a realizzare le riforme”, mentre destano enormi preoccupazioni le “misure secessioniste e autoritarie” introdotte nell’entità serbo-bosniaca “non in linea con il percorso verso l’Ue”. Anche in questo caso si attende marzo 2024 per il nuovo rapporto.
Il Pacchetto Allargamento Ue 2023 porta anche la grande novità della concessione dello status di candidato per la Georgia, ma “a condizione che vengano prese alcune misure“. Rispetto alla presentazione orale di fine giugno non sono state implementate altre riforme, e ne sono state completate solo 3 su 12. “C’è ancora molto lavoro da fare, ma è un giorno da celebrare per la Georgia, riconosciamo le aspirazioni della stragrande maggioranza dei georgiani“, ha voluto sottolineare von der Leyen in conferenza stampa. Negli ultimi mesi comunque Tbilisi “ha preso provvedimenti per rafforzare l’impegno con l’Ue e ha aumentato il ritmo delle riforme”, ma le indicazioni sugli impegni da implementare non sono poche: allineamento alla politica estera dell’Unione, contrasto alla polarizzazione politica, attuazione delle riforme giudiziarie, lotta alla corruzione e alla de-oligarchizzazione e attuazione della strategia per i diritti umani, la libertà dei media e l’impegno della società civile.
Gli altri 6 capitoli del Pacchetto Allargamento Ue
A fronte di queste quattro sostanziali novità del Pacchetto Allargamento Ue 2023, va ricordato anche lo stato di avanzamento degli altri sei Paesi che si sono incamminati sulla strada verso l’Unione Europea. “C’è grande entusiasmo a Podgorica per progredire sul percorso già molto avanzato“, ha ricordato von der Leyen a proposito del Montenegro, il Paese più avanti sul cammino tra tutti i 10 in corsa. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi”, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report.
La Serbia sconta il fatto di non essere allineata alla politica estera dell’Unione in particolare a proposito delle sanzioni contro la Russia, e di essere coinvolta da vicino dall’escalation di tensione nel nord del Kosovo, su cui è necessario “normalizzare le relazioni” con Pristina prima di sperare di accelerare sulla strada verso l’adesione Ue. A questo proposito, precisando le parole della presidente von der Leyen a Belgrado, le fonti europee spiegano che il riconoscimento de facto del Kosovo “è un modo per tagliare corto” su tutta una serie di azioni concrete (targhe, bandiera, seggio nelle istituzioni internazionali), ma “non stiamo parlando di riconoscimento formale in Costituzione”. Parallelamente l’esecutivo Ue ha evidenziato che la Serbia “ha tecnicamente soddisfatto i parametri di riferimento per l’apertura del cluster 3“, ovvero quello relativo a ‘competitività e crescita inclusiva’.
A proposito di Kosovo, questo potrebbe diventare l’unico Paese a cui non è riconosciuto nemmeno lo status di candidato. È comunque vero che al momento la questione è ancora ferma in Consiglio, che “non ha chiesto alla Commissione un’opinione a riguardo”, ha voluto ricordare in conferenza stampa il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. Non basta il fatto che il Kosovo “ha continuato ad allinearsi volontariamente e completamente alla politica estera dell’Unione”, come riconosce il rapporto, né il passo decisivo della liberalizzazione dei visti a partire dal primo gennaio 2024. Perché, come ha ribadito von der Leyen a Pristina, la strada verso l’Ue passa dalla “attuazione degli obblighi vincolanti” del dialogo con la Serbia, che per il Kosovo nello specifico è la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba.
Vanno sempre a braccetto Albania e Macedonia del Nord dopo l’avvio del negoziati di adesione nel luglio dello scorso anno: sia per Tirana sia per Skopje “è necessario dare seguito alla relazione di screening sul ‘Cluster fondamenti’, per aprire il primo Cluster entro la fine dell’anno“. Nel frattempo l’Albania dovrà aumentare il lavoro su “libertà di espressione, le questioni relative alle minoranze e i diritti di proprietà, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata”, mentre la Macedonia del Nord deve attuare “riforme nel settore giudiziario, nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, nella riforma della pubblica amministrazione, nella gestione delle finanze pubbliche e negli appalti pubblici”, ma anche gli emendamenti alla Costituzione a proposito delle minoranze nel Paese.
E infine c’è la Turchia, che rimane sempre un caso a se stante, dal momento in cui i negoziati sono congelati dal 2018 e nessuno si aspetta più nulla dal regime di Recep Tayyip Erdoğan. Sebbene Ankara rimanga “un partner chiave” per Bruxelles, “il Paese non ha invertito la tendenza negativa ad allontanarsi dall’Unione Europea e ha portato avanti le riforme legate all’adesione in misura limitata”, si legge nel report. Tuttavia, dopo la richiesta di luglio del Consiglio, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presenterà “più tardi a novembre” una relazione sullo stato delle relazioni Ue-Turchia, “al fine di procedere in modo strategico e lungimirante”.
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