“Il potenziale hub del gas in Turchia può essere la piattaforma per determinare il prezzo del gas”. Il faccia a faccia ad Astana tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan delude chi si attendeva una svolta sull’Ucraina ma rilancia una possibile via d’uscita alla crisi energetica mondiale. Se l’Europa non vuole più comprare direttamente il metano russo, è il messaggio del leader di Mosca, potrebbe farlo con l’intermediazione di Ankara, che continua a ricevere una “piena fornitura” perché si è rivelata “il partner più affidabile”. La proposta, però, è stata respinta seccamente dalla Francia, che l’ha definita “insensata”, perché contraria al progetto europeo di ridurre l’import dalla Russia.
Mentre il Cremlino assicura di essere pronto al dialogo con gli Usa, ma senza passi indietro sui suoi obiettivi in Ucraina, l’incontro tra i presidenti di Russia e Turchia si è focalizzato sull’emergenza del gas dopo quella del grano, rispetto a cui Mosca continua peraltro a lamentare ostacoli al proprio export di cereali e fertilizzanti. “Se la Turchia e i nostri possibili acquirenti in altri Paesi sono interessati, potremmo considerare la possibile costruzione di un altro sistema di gasdotti e la creazione di un hub del gas in Turchia per la vendita ad altri Paesi, a Paesi terzi, in primo luogo a quelli europei”, ha spiegato lo zar in un bilaterale di un’ora e mezza a margine della sesta Conferenza sulle misure di interazione e rafforzamento della fiducia in Asia. “Questo hub, che potremmo allestire insieme, servirebbe sicuramente non solo come base per le forniture, ma anche per regolare i prezzi”, portandoli “a un livello di mercato normale senza alcuna politicizzazione”, ha assicurato ancora Putin, per la soddisfazione di Erdogan. Il progetto però ha bisogno di tempo, e, spiega il Cremlino, sarebbe prematuro indicare eventuali acquirenti.
La cooperazione energetica tra Ankara e Mosca è solida e sperimentata. Oltre al Turkstream, il gasdotto che passa sotto il mar Nero e dal 2020 è in grado di portare oltre 30 miliardi di metri cubi di metano, per metà già smistati verso l’Ue fino al conflitto, c’è anche la prima centrale nucleare turca che il gigante Rosatom sta costruendo ad Akkuyu, la cui inaugurazione, ha detto Erdogan, avverrà il prossimo anno, in concomitanza con il centenario della Repubblica e le elezioni presidenziali.
La prima reazione occidentale all’idea di un hub turco è arrivata da Parigi, ed è stata un secco no. E’ una proposta che “non ha senso” poiché gli europei vogliono ridurre la loro dipendenza dagli idrocarburi dalla Russia, ha affermato L’Eliseo in una nota, proprio nelle ore in cui Emmanuel Macron riceveva in una cena privata Mario Draghi. “Non ha senso per noi creare nuove infrastrutture che ci consentano di importare più gas russo”, ha sottolineato la presidenza francese.
Fuori dal colloquio tra Putin e Erdogan sarebbero rimaste le prospettive di negoziati sul conflitto. O, quantomeno, non si è discusso del presunto piano di Ankara di allestire un tavolo a cinque tra Russia, Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito, che il Cremlino dice di aver appreso “dai giornali”. Ma non è certo l’unico formato su cui si lavora. E lo stesso Erdogan ha promesso di non abbandonare gli sforzi di mediazione. “Una pace giusta può essere ottenuta attraverso la diplomazia, non ci possono essere vincitori in una guerra e perdenti nella pace. Il nostro obiettivo – ha sottolineato – è che il bagno di sangue finisca il prima possibile”.
Mosca, intanto, continua a mandare messaggi di disponibilità alle trattative, senza per questo allentare i bombardamenti sull’Ucraina. “L’operazione militare speciale continua ma la Russia è aperta al dialogo per raggiungere i suoi scopi, che non sono cambiati”, ha spiegato il Cremlino, precisando comunque di non aspettarsi a breve “prospettive di negoziati”. Se poi dovessero arrivare segnali dagli Usa, sarebbe pronta a prenderli in considerazione, ha sottolineato ancora una volta il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, tenendo viva l’ipotesi di un faccia a faccia tra Putin e Joe Biden al G20 del mese prossimo a Bali.
Kiev, però, non si fida. La Russia “va isolata diplomaticamente”, la diplomazia è uno strumento “potente” ma non ci può essere finché “parlano le armi”, ha avvertito il presidente Volodymyr Zelensky, che insiste invece per nuove forniture militari. “Ci aspettiamo passi importanti dall’Italia e dalla Francia. Sinceramente – ha spiegato – abbiamo il 10% di quanto ci serve per difenderci”.
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