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    Il centrodestra in piazza del Popolo, 'governeremo per cinque anni'

    Il centrodestra unito chiude la campagna elettorale in una affollata Piazza del Popolo sicuro di vincere e di “governare bene per i prossimi 5 anni”, come promette Matteo Salvini. E Giorgia Meloni, che chiaramente gioca in casa, alza la posta sul presidenzialismo: “Se gli italiani ci daranno la maggioranza – osserva dal palco – faremo una riforma in senso presidenziale e saremo felici se la sinistra vorrà darci una mano, ma se gli italiani ci daranno i numeri noi lo faremo anche da soli”.
    Sul fronte internazionale, sorprende la tesi del presidente Silvio Berlusconi secondo cui Putin sarebbe stato praticamente spinto a fare la guerra dai filorussi del Donbass e dai media. E tiene banco anche il duello tra Lega e Fratelli d’Italia sulla futura eventuale composizione del governo: la leader di Fratelli d’Italia annuncia di avere la lista pronta. Salvini però non ci sta e chiede collegialità circa le scelte future. Prima il leader leghista a Milano dice che “non ci sono donne o uomini soli al comando”. ” La squadra – sottolinea – si costruisce insieme”. Poi a “Porta a Porta” fa capire che la partita per la leadership per lui è ancora tutta aperta: “Un governo Meloni? Io penso a un governo Salvini…”. Ma a scuotere questa vigilia elettorale non sono solo gli equlibri interni all’eventuale futuro governo, ma anche, appunto, la collocazione internazionale della coalizione stessa. Da giorni Matteo Salvini, osservato speciale per i suoi rapporti con Mosca, aveva assicurato di aver “cambiato idea su Putin dopo lo scoppio della guerra”.
    Stasera, invece, è Silvio Berlusconi a offrire una lettura quanto meno inedita delle ragioni che avrebbero portato il Cremlino ad invadere l’Ucraina. “Putin è caduto in una situazione difficile e drammatica. Dico – spiega l’ex premier nel salotto di Bruno Vespa – che è caduto perchè si è trattata di una missione delle due repubbliche filorusse del Donbass che è andata a Mosca, ha parlato con tutti, con giornali, tv e ministri del partito, sono andati da lui in delegazione dicendo “Zelensky ha aumentato gli attacchi delle sue forze contro di noi ed i nostri confini, siamo arrivati a 16mila morti, difendici perchè se non lo fai tu non sappiamo dove potremo arrivare”, e Putin è stato spinto ad inventarsi questa operazione speciale”. Ma va oltre: “Le truppe dovevano entrare, in una settimana raggiungere Kiev, sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky ed in una settimana tornare indietro. Invece hanno trovato una resistenza imprevista che poi sono state foraggiate con armi di tutti i tipi dall’Occidente”.
    Dal palco di Piazza del Popolo, la coalizione si mostra comunque unita. Apre la serata il leader di Forza Italia: prima ricorda i meriti dei suoi governi, quindi sotolinea come il centrodestra sia “la maggioranza vera del Paese”. In ogni elezione, sottolinea, “c’è stata sempre la stessa risposta: l’Italia non vuole essere governata dalla sinistra”.
    Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, sfida la sinistra perchè “non dia più patenti di democrazia”. Ancora più duro con il leader del Pd è Matteo Salvini: “A sinistra insultano, minacciano e fanno grandi viaggi all’estero. Letta, visto che non lo vota nessuno in Italia, è dovuto andare a Berlino a farsi incoraggiare. La prossima settimana lo mandiamo a Parigi”.
    Quindi parla delle sue prospettive al governo: “Chi sceglie la Lega – aggiunge – dà fiducia a un 49enne che è a processo e rischia 15 anni di carcere perché ha bloccato lo sbarco di clandestini: l’ho fatto e non vedo l’ora di tornare a farlo da Premier o da umile servitore dello Stato. Andiamo a vincere e per 5 anni governiamo insieme. Si mettano il cuore in pace a Berlino, Parigi e Bruxelles, votate voi”. Il gran finale è tutto per la leader di Fratelli d’Italia. Si vede che gioca in casa: per lei cori “Giorgia Giorgia”, qualche fumogeno e tantissime bandiere di Fratelli d’Italia nel momento della presentazione da parte dell’attore Pino Insegno. E subito va a testa bassa contro gli avversari: “Quando è arrivata la democrazia la sinistra ha perso la testa, è una sinistra rabbiosa, violenta che – attacca Meloni – ha il terrore di perdere il suo consolidato sistema di potere”.    

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    Scontri senza confronti, da Vespa la tribuna dei leader

    Tutti nello stesso salotto televisivo, quello di Bruno Vespa, ma non in contemporanea. L’ultima tribuna politica prima delle elezioni fa venire i brividi agli appassionati delle sfide dialettiche fra candidati, ma è in linea con questa campagna elettorale in cui i leader si sono molto scontrati e poco confrontati faccia a faccia. Poche le eccezioni: il ‘giro di tavolo’ al Forum Ambrosetti, dove hanno risposto a un paio di domande ciascuno del direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, lo stesso moderatore del ‘duello’ fra Enrico Letta e Giorgia Meloni sul sito del quotidiano. L’immagine plastica della polarizzazione della sfida inseguita da FdI e Pd, irritante non poco per i rivali, a partire da Carlo Calenda, che tentò di inserirsi nel confronto rispondendo in differita agli stessi quesiti.
    A tre giorni dal voto, i sette leader si sono accomodati uno dopo l’altro sulla poltrona di Porta a Porta, in una serie di interviste mandate poi in onda in ordine estratto a sorte. Niente scintille, né colpi di scena. A parte il ragionamento di Silvio Berlusconi sui motivi che hanno spinto Vladimir Putin alla guerra in Ucraina. Nei venti minuti a testa i leader hanno riepilogato programmi, prese di posizione e critiche reciproche già declinate negli ultimi due mesi fra piazze, media e ogni tipo di social network.
    Giuseppe Conte ha difeso il Reddito di cittadinanza, poi accusato da Luigi Di Maio di tale incoerenza da essere “in grado di metterlo in discussione a seconda se gli conviene per i sondaggi”. Prima del suo gong finale, Meloni ha chiarito di non pensare a una rinegoziazione del Pnrr ma a un “tagliando, alla luce dell’aumento del costo delle materie prime”. “Beh, vuol dire che ha cambiato idea, ne sono contento”, ha osservato poco dopo Letta, ricordando che una decina di anni fa la leader di FdI gli tolse il record di ministro più giovane. Ora Meloni punta a Palazzo Chigi, dove innanzitutto varerebbe il disaccoppiamento fra il prezzo del gas e quello delle altre fonti energetiche. Ma senza lo scostamento di bilancio, che sarebbe invece la prima mossa di Calenda, “ma senza poi invenzioni su tagli di tasse o pensioni”. Un distinguo implicitamente diretto a Matteo Salvini, che non ha nascosto la sua ambizione: “Un governo Meloni? Io penso a un governo Salvini…”.   

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    Calenda: Draghi unica garanzia, non faremo da stampella

    Carlo Calenda e Matteo Renzi rilanciano l’obiettivo politico del terzo polo: far rimanere Mario Draghi a Palazzo Chigi, nonostante lui sia recalcitrante.Pensano che a “costringerlo” potrebbe essere il risultato delle urne.Un obiettivo ribadito e che si può realizzare se la proposta politica della “strana coppia” riuscirà a rubare voti al centrodestra, portandolo ad un pareggio.
    “Con un buon risultato terremo Draghi alla guida” del Paese, ha detto Calenda. Scenario possibile “con un governo di larga coalizione”, frutto di un insuccesso dei due poli. Dello stesso avviso Renzi: “Se il centrodestra non vince vuol dire che siamo all’ennesimo stallo e serve un governo istituzionale”, e a quel punto entrerebbe in gioco Draghi, nonostante il suo netto “no” di venerdì scorso. “Draghi dice di no ai giornalisti ma quando glielo chiederà il presidente della Repubblica sarà diverso”, ha affermato il leader di Iv.
    L’insistenza su Draghi a Palazzo Chigi da parte del terzo polo, nasce dal contesto internazionale: “Abbiamo una certezza – ha detto Calenda – il governo Meloni-Berlusconi-Salvini non è una garanzia per le alleanze internazionali. L’unica garanzia di fedeltà ai nostri alleati e ai valori dell’Occidente è andare avanti con Mario Draghi”, ha spiegato Calenda. In ogni caso Renzi e Calenda escludono che il terzo polo possa fare da stampella per far nascere un governo di centrodestra o di centrosinistra, se alle due coalizoni mancassero i seggi in Parlamento: “né con Meloni né con Fratoianni” sintetizza Renzi.
    Sui programmi, ha spiegato Calenda, il terzo polo “ritiene che bisogna investire ogni euro di spesa su scuola e sanità. Con particolare attenzione a quelle parti d’Italia dove l’emergenza educativa è diventata un’emergenza democratica”.
    La scelta di dare priorità all’istruzione, ha detto ancora il leader di Azione, dipende dal fatto che “in Italia abbiamo un grande problema di skills mismatch”, cioè il divario di competenze richieste dalle aziende e quelle che hanno i ragazzi che escono dalle scuole. “In primo luogo, bisogna portare la scuola dell’obbligo a18 anni, estendere il tempo pieno a tutte le scuole primarie e istituire delle aree di crisi complessa in cui inviare i migliori insegnanti”. E poi la sanità, in cui per una mammografia occorre attendere 22 mesi, e per una Tac 13: “dobbiamo investire circa 33 miliardi di euro per arrivare ad un rapporto spesa/ Pil simile a quello dei grandi Paesi europei”.

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    Meloni 'vince' applausometro in piazza

    Record di applausi per Giorgia Meloni rispetto agli altri leader del centrodestra saliti sul palco di piazza del Popolo a Roma. Con il suo intervento la presidente di Fratelli d’Italia ha chiuso la manifestazione organizzata dalla coalizione in vista delle elezioni di domenica. Gli applausi più forti sono scattati quando ha arringato i manifestanti urlando “C’è aria di libertà. È arrivato il momento di non turarsi il naso”, poi durante l’appello ai partiti rivali a “uscire allo scoperto” sulle alleanze e nei passaggi su difesa degli interessi nazionali, contro le restrizioni delle libertà causa covid e su sicurezza e lotta ai migranti irregolari.
    Durante il suo intervento hanno continuato a sventolare le bandiere blu di Gioventù nazionale. Meloni ha poi stoppato i fischi partiti da alcuni manifestanti quando lei ha citato i nomi dei leader rivali. “No, noi non fischiamo nessuno ché noi siamo gente di un certo livello”, ha detto.    

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    Foto di Putin con i leader italiani,'tanto da ricordare'

    A tre giorni dalle elezioni, l’ambasciata russa in Italia lancia una nuova provocazione: un post sui social con una serie di scatti che ritraggono il presidente Vladimir Putin insieme a quasi tutti i leader politici italiani impegnati in queste ore a chiudere la campagna elettorale. “Dalla storia recente delle relazioni russo-italiane. C’è molto da ricordare”, recita la didascalia che accompagna la fotogallery: la prima è la famosa immagine di Putin insieme a Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio a Villa Madama. Poi una in cui stringe la mano a Enrico Letta, un’altra a Matteo Renzi, quella con Silvio Berlusconi seduti vicini occhi negli occhi. E ancora, altre strette di mano con Massimo D’Alema e Paolo Gentiloni, ma anche una foto del leader del Cremlino con il presidente Sergio Mattarella e una d’annata con l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. Fino a quella del premier uscente Mario Draghi con – in mancanza d’altro – il ministro degli Esteri Serghei Lavrov a Palazzo Chigi.

    L’ambasciata russa posta foto di Putin con i politici italiani

        In sostanza un album dei ricordi del passato, risalenti a un’altra era, quella di prima del 24 febbraio, quando Putin ha deciso di invadere l’Ucraina diventando di fatto un paria in Occidente. Alcuni tra gli interessati hanno replicato, più con stupore che con imbarazzo. “Non so cosa significhino, io posso rispondere per me: io ho incontrato Putin come rappresentante del popolo italiano, il mio non era un rapporto personale con lui, tanto che dopo non ho mai cercato Putin né parlato con il suo entourage”, ha spiegato il leader del M5s Conte, all’epoca dello scatto presidente del Consiglio del governo gialloverde, lasciando intendere come siano altri i politici italiani ad aver avuto più familiarità con lo zar. Renzi invece non si fa sfuggire l’occasione per attaccare direttamente l’ex premier: “Noi siamo stati e siamo favorevoli alle sanzioni e all’invio delle armi all’Ucraina, ma da sempre diciamo che debba essere lasciato aperto un canale di dialogo. Non sono come quelli che cambiano idea una volta al giorno, penso a Giuseppe Conte”, ha risposto il leader di Italia Viva a chi gli chiedeva un commento, derubricando la portata del post dell’ambasciata: “Credo che il problema non sia il post o il tweet, ma ciò che ha detto Putin ieri. Il problema è come risponderà la comunità internazionale all’escalation”. Pur non comparendo nelle foto con Putin, Carlo Calenda ne approfitta per dare contro al centrodestra. “Abbiamo un’altra certezza: il governo Meloni-Berlusconi-Salvini non è una garanzia per le alleanze internazionali. L’unica garanzia di fedeltà ai nostri alleati e ai valori dell’Occidente è andare avanti con Mario Draghi”.    L’ambasciata russa a Roma non è nuova a simili post e provocazioni. Dall’inizio della guerra è entrata spesso in collisione con i media italiani (fino a presentare un esposto, poi archiviato, contro La Stampa) o si è inserita a gamba tesa nel dibattito politico, accusando per esempio gli Stati Uniti di voler “manipolare l’opinione pubblica alla vigilia delle elezioni” con il noto dossier del Dipartimento di Stato sui partiti europei pagati da Mosca.    

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    Scambio di prigionieri tra Mosca e Kiev, ci sono gli eroi di Azovstal

    Un totale di 215 difensori dell’acciaieria Azovstal di Mariupol, ultima roccaforte ucraina nell’area, detenuti dai russi, sono stati liberati nell’ambito di un massiccio sforzo per lo scambio di prigionieri. Lo ha detto il capo dell’ufficio del presidente, Andriy Yermak, secondo quanto riferisce Ukrinform. “Il presidente Volodymyr Zelensky ha fissato un obiettivo chiaro: riportare i nostri eroi a casa. Il risultato: i nostri eroi sono liberi”, ha scritto su Facebook il capo dell’ufficio del presidente Andriy Yermak. “C’è stato un grande scambio di prigionieri. Ha attraversato diverse fasi e in luoghi diversi. Abbiamo riportato indietro 215 persone dalla prigionia russa”, ha detto il capo dell’ufficio del presidente. “Si tratta di soldati, guardie di frontiera, poliziotti, marinai, guardie nazionali, truppe delle forze territoriali, doganieri e civili. Tra loro ci sono ufficiali, comandanti, eroi dell’Ucraina, difensori dell’Azovstal e militari in stato di gravidanza”, ha affermato in una dichiarazione. Sono quelli “che i russi volevano uccidere, che chiamavano” nazisti “, il nostro popolo forte che non è stato distrutto da battaglie e prigionia”, compresi i massimi comandanti delle unità che difendevano Mariupol.
    I leader del battaglione Azov che per settimane hanno difeso l’acciaieria Azovstal di Mariupol – il comandante Denis Prokopenko “Redis” e il suo vice Svyatoslav Palamar “Kalina”, sono tra i prigionieri rilasciati dalla Russia. Lo ha reso noto il comandante delle forze speciali ucraine Sergey Velichko che ha pubblicato su Telegram una foto con Redis e Kalina. Lo riporta Ukrainska Pravda. Oltre a Prokopenko e Palamar, è stato liberato anche il comandante della 36ma brigata marina, il maggiore Sergei Volyn. Nella foto pubblicata con loro compaiono anche il capo della direzione principale dell’intelligence Kirill Budanov e il ministro dell’Interno Denis Monastyrsky. L’ex comandante dell’Azov Andrey Biletsky ha scritto sui social: “Ho appena parlato al telefono con Radish, Kalina, tutti hanno uno spirito combattivo e sono persino desiderosi di combattere. Un’altra conferma che Azov è di acciaio. Adesso i ragazzi sono già liberi, ma in un Paese terzo. Rimarranno lì per un po’, ma la cosa principale è già accaduta: sono liberi e vivi”. In una foto pubblicata sul sito della radio ufficiale ucraina Suspline si vede Palamar sorridente mentre parla al telefono.

    Ucraina, Zelensky saluta i 5 ‘eroi di Azovstal’ scambiati con 55 prigionieri russi

    Anche il ministero della Difesa russo ha confermato che sono 55 i soldati russi e delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk rilasciati nell’ambito dello scambio di prigionieri con l’Ucraina. Lo riferiscono le agenzie russe.  Arriva anche dal leader dell’autoproclamata repubblica del Donetsk Denis Pushilin la conferma che l’oligarca ucraino filorusso Viktor Medvedchuk è tra i prigionieri rilasciati da Kiev nello scambio di ieri con Mosca. “Abbiamo scambiato un fan della Russia con oltre 200 soldati. Non è un peccato dare Victor Medvedchuk in cambio di veri guerrieri: ha già fornito all’Ucraina tutto ciò che è necessario per stabilire la verità nei procedimenti penali in corso su di lui”: ha affermato il presidente Volodymyr Zelensky commentando la liberazione dell’oligarca ucraino filorusso Medvedchuk nello scambio di prigionieri con Mosca. “All’inizio, ci è stato offerto di restituire 50 dei nostri in cambio di uno solo di quelli che si trovavano nel centro di detenzione preventiva del Servizio di sicurezza dell’Ucraina (Medvedchuk). Abbiamo parlato, insistito, il numero di 50 è cresciuto fino a 200 …”.
    Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha condiviso le fotografie dei militari ucraini che sono stati rilasciati dalla Russia nel più grande scambio di prigionieri dall’inizio della guerra. In un post su Telegram, Zelensky ha scritto: “Nostri. Liberi. Continuiamo a lavorare per riportare a casa tutti gli ucraini dalla prigionia russa. Gloria all’Ucraina”   

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    Ignazio La Russa 'saluto un errore ma lo stanno montando'

    (ANSA) – MILANO, 22 SET – “Conosco mio fratello, è la
    persona più buona del mondo. Quello è suo cognato e ha lasciato
    detto che voleva quel saluto. Lui non era un militante di
    Fratelli d’Italia e mio fratello ha cercato di far fare il
    presente come voleva il defunto, non ci è riuscito poi ha alzato
    la mano, non l’ha alzata, non lo so. Sicuramente è stato un
    errore che però stanno montando troppo”. Igniazio La Russa,
    fondatore di FdI, torna così sul presunto saluto romano del
    fratello ai microfoni di Telelombardia. “Sono incazzato, sia per
    la storia sia per il modo abnorme con cui viene trattato un
    saluto a un defunto – Meloni? Anche lei è basita come me”.   
    (ANSA).   

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    È morto Sergio Cassini, per 30 anni giornalista dell'ANSA

     È morto a 71 anni Sergio Cassini, giornalista dell’ANSA per oltre 30 anni, al Senato e alla Camera, nella redazione politico-parlamentare, prima di andare in pensione circa dieci anni fa. Sergio, che lascia la moglie Francesca ed i figli Pietro e Giulio, cominciò il suo lavoro all’ANSA facendosi apprezzare, negli anni ’80, per i servizi sulle commissioni d’inchiesta e sull’attività dell’Aula di Montecitorio. Per poi passare alla redazione del Senato di cui è stato anche responsabile. Colleghi e amici potranno dargli l’ultimo saluto domani alle 10 presso la camera ardente all’Istituto di medicina legale a Roma in piazza del Verano 38.