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    COVID, a maggio il rilancio dell’UE nella consegna dei vaccini ai Balcani occidentali, tra COVAX e finanziamenti diretti

    Bruxelles – Sono settimane decisive per il rilancio dell’Unione Europea a livello di credibilità nei Balcani occidentali, sia per il processo di allargamento sia per il sostegno alla lotta contro la pandemia COVID-19, e Bruxelles sta cercando di rendere tangibile la sua presenza nella regione. Dopo il forte messaggio dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ai ministri degli Esteri europei e l’adozione della nuova metodologia per i negoziati di accesso di Serbia e Montenegro, è caldo il fronte dell’invio dei vaccini anti-COVID ai Paesi balcanici, per recuperare il terreno perso nella sfida diplomatica con Cina e Russia.
    Nonostante i Balcani occidentali siano considerati il primo partner strategico e zona di influenza dell’Unione Europea, Bruxelles ha registrato gravi ritardi nell’attivarsi per aiutarli a pianificare la campagna di vaccinazione. Le consegne di dosi tramite il meccanismo COVAX (la struttura globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per garantire un accesso equo e universale ai vaccini, sostenuta anche dall’UE con un miliardo di euro) sono rimaste ferme alla fine di marzo – il 2 aprile nel caso della Serbia, con le prime 57.600 dosi arrivate – e per tutto il mese di aprile ha regnato l’immobilismo.
    Il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il ministro degli Esteri austriaco, Alexander Schallenberg, a Sarajevo (4 maggio 2021)
    Questo fino all’annuncio dell’invio di 651 mila dosi di vaccino Pfizer-BioNTech nella regione a partire da inizio maggio e fino ad agosto, attraverso un contratto finanziato direttamente da Bruxelles e concluso grazie all’impegno del governo austriaco. Stando alle cifre fornite dal Servizio europeo per l’Azione esterna, entro il 31 agosto dovrebbero arrivare 36 mila dosi in Serbia, 42 mila in Montenegro, 95 mila in Kosovo, 119.200 in Macedonia del Nord, 145 mila in Albania e 213.800 in Bosnia ed Erzegovina.
    Con l’arrivo di maggio la situazione è tornata a sbloccarsi, complice anche il viaggio del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nei Paesi balcanici tra il 3 e il 5 maggio, per ribadire l’impegno dell’Unione a sostegno della lotta comune alla pandemia. L’occasione è stata sfruttata anche per consegnare il primo carico simbolico in ciascuna capitale: 1.170 dosi a Belgrado, 2.430 a Podgorica, 4.680 sia a Pristina sia a Tirana, 4.850 a Skopje e 10.530 a Sarajevo.
    L’arrivo del secondo carico di vaccini tramite il meccanismo COVAX in Serbia (12 maggio 2021)
    Contemporaneamente, ha ricevuto un impulso anche la situazione sul fronte COVAX, nonostante alcune riserve. Tra l’11 e il 14 maggio sono ripresi con più costanza i voli per portare i vaccini promessi ai Balcani occidentali, cercando di colmare il ritardo sulla tabella di marcia del primo semestre 2021. A oggi, il Kosovo ha ricevuto 62.300 dosi su 100.800 previste, l’Albania 79.200 su 141.600, la Bosnia ed Erzegovina 121.300 su 177 mila, la Serbia 177.600 su 345.600. Fanno eccezione Montenegro e Macedonia del Nord, ancora fermi alle consegne del 28 marzo: al primo mancano ancora 60 mila dosi (24 mila su 84 mila), alla seconda 79.200 (24 mila su 103.200). Ma c’è ancora un mese e mezzo di tempo per recuperare il tempo perduto a inizio anno: con un massimo di due spedizioni per ogni Paese si potrebbero raggiungere tutti gli obiettivi, spazzando via almeno una parte dell’euro-scetticismo che sta serpeggiando nella regione.

    Dopo un mese di immobilismo dai primi carichi di fine marzo, Bruxelles ha sbloccato la situazione con il piano da 651 mila dosi Pfizer-BioNTech entro fine agosto e la ripresa del meccanismo dell’OMS: ancora un mese e mezzo per rispettare la tabella di marcia

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    Commercio con la Cina, Okonjo-Iweala (WTO) a Dombrovskis: “Servono più tavoli di discussione”

    Bruxelles – Nei rapporti commerciali con la Cina, la lezione alla Commissione europea arriva direttamente dalla direttrice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) Ngozi Okonjo-Iweala. Per convincere Pechino a commerciare alle stesse condizioni con cui lo fanno le economie di libero mercato serve un approccio costruito “in maniera adeguata”, che le dimostri soprattutto “di non essere presa di mira”. Altrimenti “quello che si ottiene dalla Cina sono solo le resistenze”.
    Un messaggio chiaro, quello giunto alle orecchie del vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis durante un evento dedicato alle politiche commerciali dell’Unione Europea, e rivolto mentre in un confronto si parlava di come affrontare il problema degli ingenti sussidi dal governo cinese alle imprese nazionali, colpevoli di distorcere la concorrenza internazionale e di limitare l’accesso ai mercati. “Comprendo come gli altri membri della WTO siano preoccupati di come questo possa creare una disparità di condizioni”, ha continuato Okonjo-Iweala. “Ma questioni del genere rimarcano quanto sia necessario aprire tavoli di discussione, solo così la Cina potrà rendersi conto dell’impatto negativo delle sue politiche commerciali”. La parola d’ordine è quindi “coinvolgere la Cina” e farlo senza usare l’Organizzazione Mondiale del Commercio “come arma con il secondo fine di risolvere problemi politici”, ha esplicitamente affermato l’economista nigeriana.
    Ma Dombrovskis ha lasciato intendere di non voler abbandonare un approccio difensivo. “Le relazioni con la Cina sono sbilanciate”, ha detto il commissario spiegando come questo abbia giustificato la stipulazione dell’ultimo accordo commerciale con Pechino firmato a fine 2020. L’UE vuole difendersi per eventuali violazioni degli accordi e soprattutto vuole considerare le trattative con il governo di Xi Jinping “nell’ambito del più ampio sistema di relazioni con la Cina”, ha detto riferendosi alle ultime schermaglie in tema di sanzioni registratesi tra Bruxelles e Pechino. Insieme al multilateralismo, però, l’Unione Europea non ha intenzione di rinunciare alla carta interna per proteggere i propri interessi (attualmente si sta mettendo mano al regolamento UE di applicazione delle norme commerciali).
    È ancora all’UE che Okonjo-Iweala si rivolge quando lamenta che “il nazionalismo dei vaccini non funziona”. La numero uno della WTO ha ringraziato la Cina, l’India e l’UE stessa per gli sforzi fatti nell’esportare una buona parte delle dosi prodotte sui loro territori, ma si è detta anche “profondamente dispiaciuta” del meccanismo istituito a livello europeo per controllare le esportazioni di vaccini al fine di salvaguardare i contratti firmati con le cause farmaceutiche. “Capiamo la scelta politica ma dobbiamo dire ai cittadini che è nel loro interesse condividere che i Paesi a basso reddito non aspettino per troppo tempo in fila per accedere ai vaccini”, ha continuato Okonjo-Iweala lanciando un appello a Gran Bretagna e Stati Uniti, che invece hanno destinato alla somministrazione interna quasi la totalità delle dosi prodotte sui loro territori. Secca la risposta di Dombrovskis: “L’Unione Europea sta rispettando i suoi impegni internazionali e attualmente è il primo esportatore di vaccini al mondo, ma dobbiamo assicurarci che i nostri contratti vengano rispettati”.
    C’è invece sintonia tra i due sul tema della sospensione dei brevetti sui vaccini scelta che permetterebbe a tutti di accedere con più facilità al know-how necessario per la produzione del siero anti COVID. “L’obbligo per le aziende farmaceutiche di cedere le loro licenze, reso possibile dalle deroghe all’accordo internazionale sulla proprietà intellettuale TRIPs, deve essere accompagnato da un aumento della capacità produttiva nelle aree dove si vuole intervenire”, ha affermato Okonjo-Iweala. L’obiettivo però è anche quello di assicurarsi che una mossa simile “non disincentivi la produzione dei vaccini che servono per il futuro”.
    Dombrovskis ha infine dedicato un’ultima osservazione all’accordo commerciale con la Gran Bretagna sulla Brexit. “È sicuramente una soluzione migliore rispetto a un ‘no deal’, ma non abbiamo ancora visto gli effetti a lungo termine”, ha commentato. “Lo scambio di beni e servizi non sarà più senza intoppi come lo era con la Gran Bretagna nell’unione doganale e imprese e consumatori dovranno imparare a orientarsi con le nuove procedure e con i nuovi costi”.

    L’Unione Europea cerca da tempo un accordo con Pechino per convincerla ad allinearsi alle normative occidentali in materia di aiuti di Stato. Tra i temi toccati nel confronto con la direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio anche la sospensione dei brevetti sui vaccini

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    Stati Uniti, rinsaldata alleanza con l’UE. Dai vaccini alla lotta ai cambiamenti climatici: “Grande segnale di democrazia”

    Il segretario di Stato Blinken ha chiuso la visita a Bruxelles con un incontro con i vertici della Commissione. La presidente von der Leyen ha invitato a “unire le forze contro il COVID-19”, l’alto rappresentante Borrell ha lanciato il “dialogo UE-USA sulla Cina e la cooperazione nelle iniziative di difesa europea”