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    Vertice UE-Balcani: sotto la patina di ottimismo si nasconde l’ennesimo fiasco per l’allargamento dell’Unione

    Dall’inviato
    Kranj – Più delle parole, scritte e pronunciate in questa giornata slovena, a spiegare il clima del vertice UE-Balcani Occidentali è bastato osservare il linguaggio del corpo dei tre leader europei intervenuti in conferenza stampa. Totalmente assente il consueto sorriso sul volto della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen. Frenetico il modo di gesticolare del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Tendente al glaciale lo sguardo del premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša. Se poi ci aggiungiamo quello che manca nella dichiarazione di Brdo, il quadro è completo: oltre gli annunci di facciata e l’ottimismo del linguaggio diplomatico, il vertice UE-Balcani Occidentali è stato un fiasco per le prospettive di adesione della regione all’Unione.
    Un fiasco, non un fallimento. Perché il processo di allargamento dell’Unione Europea non si è fermato, né ha fatto passi indietro. È solamente rimasto fermo ai soliti problemi e ai soliti punti di forza. Da una parte, il veto della Bulgaria all’apertura dei quadri negoziali con la Macedonia del Nord (trascinando nello stallo anche l’Albania), le continue difficoltà nella normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo e la mancanza di volontà politica di diversi Paesi membri nell’espandere l’Unione oltre le sue frontiere attuali. Dall’altra, il Piano economico e di investimenti da quasi 30 miliardi di euro per la regione stanziato da Bruxelles, i progressi nei negoziati di adesione di Serbia e Montenegro e il progressivo allineamento dei Sei balcanici alle richieste europee sul fronte delle riforme, del rispetto dello Stato di diritto e degli obiettivi della doppia transizione verde e digitale dell’economia.
    Il premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Di più non si vede. Ed è un problema, perché il vertice di oggi (mercoledì 6 ottobre) era atteso come la chiave di volta per il futuro prossimo della regione nell’Unione. Invece il primo punto delle conclusioni è una riconferma da parte dell’UE del “suo impegno nei confronti del processo di allargamento”. Allargamento in grassetto, per far capire che già un’intesa su questo termine è un successo: alcuni tra i Ventisette avrebbero voluto eliminarlo, alla fine l’ha spuntata la presidenza slovena. L’ostacolo su cui però si sono incagliate le ambizioni del premier Janša è stato il riferimento a una scadenza per portare a termine il processo di allargamento dell’UE nei Balcani. Questa mattina, prima dell’incontro tra i capi di Stato e di governo europei e balcanici, nessun leader si era sbilanciato su una data certa e ora si capisce il perché.
    “L’assenza del riferimento al 2030 è il risultato della discussione di oggi“, ha spiegato senza troppi giri di parole Janša. “La Slovenia voleva una data ultima su cui basare il calendario dei negoziati, come è successo con noi nel 2004”, ma non tutti i Paesi membri UE si sono mostrati convinti che questo possa (o piuttosto debba) accadere “entro la fine del decennio”, ha aggiunto il premier sloveno. Tuttavia, Janša ha cercato il più possibile di nascondere il fiasco di questo vertice (che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello della sua presidenza del Consiglio dell’UE). “Ci sono molti punti positivi nella dichiarazione”, dalla tabella di marcia per l’abolizione del roaming dati tra l’Unione e i Balcani alla promessa di continuare a sostenere il piano di vaccinazione anti-COVID dei sei Paesi, “per raggiungere tassi simili alla media dell’UE “entro la fine del 2021”.
    L’ottimismo (forzato) delle istituzioni europee
    Ribadendo quanto dichiarato questa mattina, la presidente von der Leyen ha sottolineato che “la posizione della Commissione Europea è chiara: non siamo completi senza i Balcani e farò tutto il possibile per far avanzare questo processo“. Parole a cui è difficile non credere e che spiegano la frustrazione per un dialogo con gli Stati membri tutt’altro che facile. Solo una settimana fa, durante il suo viaggio nella regione, la leader dell’esecutivo UE aveva promesso che entro la fine dell’anno saranno avviati i negoziati con Macedonia del Nord e Albania. Un obiettivo ambizioso, ma che sarà quasi impossibile raggiungere: non è un caso se questa scadenza non è stata menzionata nemmeno di sfuggita.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Con un sorriso tirato, von der Leyen ha chiesto “pazienza” ai cittadini balcanici: “Capisco perfettamente la vostra frustrazione per la lentezza del processo“. Altro indizio che per la presidente dell’esecutivo comunitario il vertice UE-Balcani Occidentali sarebbe potuto andare decisamente meglio. Allo stesso tempo, ha riferito alla stampa di sentirsi ottimista sul futuro allargamento dell’UE, per tre ragioni. Primo, perché “la maggioranza dei Paesi membri si è impegnata nel rafforzarlo”. Secondo, per il Piano economico “che parla da solo sulle nostre ambizioni strategiche”. Terzo, per “l’eccellente messaggio offerto alla regione” dall’accordo tra Serbia e Kosovo (mediato da Bruxelles) per mettere fine alla cosiddetta ‘battaglia delle targhe’: “È il perfetto esempio di cosa si può raggiungere quando ci si siede al tavolo del dialogo”, ha aggiunto von der Leyen.
    Il presidente del Consiglio UE Michel ha invece insistito a più riprese sui valori fondamentali che legano l’Unione e i Balcani, a partire dalle “fondamenta della lotta alla corruzione e del rispetto dello Stato di diritto“. Nella dichiarazione finale si fa riferimento anche al “primato della democrazia e dei valori fondamentali”, al rispetto dei diritti umani, della parità di genere e delle persone appartenenti a minoranze. Tutti temi oggetto di riforme socio-economiche, da cui dipende il proseguo del sostegno dell’UE ai Paesi della regione.
    Facendo riferimento ai temi di discussione del Consiglio informale di ieri sera, Michel ha ricordato che, da un punto di vista strategico, l’Unione vuole proteggere i propri interessi “con partner che condividono i nostri valori”. In quest’ottica, la centralità del vertice UE-Balcani Occidentali è evidente. Nel documento finale non si parla esplicitamente dei concorrenti nell’estensione dell’influenza politica ed economica nella penisola, ma si può leggere tra le righe il riferimento a Russia e Cina. In particolare, quando viene sottolineato che l’Unione Europea è “di gran lunga” il principale investitore e donatore nella regione e nella richiesta ai leader balcanici di riconoscere e trasmettere nei dibattiti pubblici nazionali “la scala e la portata senza precedenti di questo sostegno”.
    Cosa c’è nella dichiarazione di Brdo
    Oltre ai punti già menzionati – la necessità di condivisione dei valori europei da parte dei Paesi della regione, il Piano economico di investimenti e il supporto nella lotta contro il COVID-19 – nella dichiarazione di Brdo spiccano le aspettative nei confronti del dialogo decennale tra Pristina e Belgrado: “Attendiamo progressi concreti dalle due parti sulla piena normalizzazione delle loro relazioni“. Un fattore indispensabile “per la stabilità e lo sviluppo dell’intera regione”, ma soprattutto per garantire che entrambi i Paesi possano continuare “sui loro rispettivi percorsi europei” (anche se nel caso del Kosovo l’UE deve fare i conti con cinque Paesi membri che non ne riconoscono l’indipendenza, ovvero Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia).
    Il presidente del Consiglio UE, Charles Michel (Kranj, 6 ottobre 2021)
    Al vertice UE-Balcani Occidentali di Kranj spazio anche all‘Agenda verde e al Mercato comune regionale, secondo le linee dell’intesa raggiunta al vertice di Sofia del novembre 2020. Nell’ottica del Green Deal europeo, l’Agenda “è un fattore chiave per la transizione verso economie moderne, a zero emissioni di carbonio ed efficienti nell’uso delle risorse”. C’è anche un richiamo al tema del momento: “La sicurezza energetica dovrebbe essere prioritaria, compresa la diversificazione delle fonti e delle rotte”, si legge nel documento. Il Mercato comune regionale viene invece visto come un trampolino di lancio per “rafforzare l’integrazione dei Balcani Occidentali nel Mercato Unico dell’UE”.
    Come emerso dalle tappe in Serbia e in Bosnia ed Erzegovina del recente viaggio di von der Leyen, la dichiarazione sottolinea che “è una priorità sviluppare ulteriormente la connettività dei trasporti, all’interno della regione e con l’UE“. Non solo per “migliorare l’efficienza e la sicurezza dei servizi di trasporto”, ma anche per “raggiungere gli obiettivi di mobilità verde e sostenibile”, grazie al rafforzamento del trasporto ferroviario e delle vie navigabili. Attesa anche l’attuazione del piano d’azione dell’Agenda dell’innovazione per i Balcani occidentali, lanciata oggi per “promuovere l’eccellenza scientifica e la riforma dei sistemi educativi”.
    Non ci si aspettava molto dal capitolo “rotta balcanica”, ma si commenta da solo il posto riservato nelle discussioni alla questione migratoria: nella dichiarazione occupa il 23esimo punto su 30. In modo molto approssimativo sono state delineate le aree di interesse: miglioramento dei sistemi di asilo, lotta al traffico di migranti e alla “migrazione illegale”, gestione delle frontiere e capacità di accoglienza. Una particolare attenzione è stata posta invece sui sistemi di rimpatrio, “compresa la conclusione di accordi di riammissione con i principali Paesi di origine”. A ruota segue il tema Afghanistan e non a caso si fa riferimento alla necessità di “affrontare le sfide in evoluzione e coordinare risposte comuni”.
    Con questo stato dell’arte, ricominceranno gli incontri bilaterali tra governi, i confronti tra i singoli Paesi della regione con la Commissione Europea e il dialogo Serbia-Kosovo. Ma “per promuovere ulteriormente i nostri interessi comuni”, i leader europei e balcanici hanno espresso la disponibilità a “rinvigorire il dialogo politico”. Il vertice UE-Balcani Occidentali diventa un evento regolare. Ci si rivede nel 2022, con la sensazione che non si riprenderà da basi più avanzate di quelle poste da questo summit controverso e, in parte, deludente.

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    Iran, Borrell attacca la presidenza slovena del Consiglio: “Il premier Janša non ci rappresenta in politica estera”

    Bruxelles – È un gancio destro in pieno volto quello sferrato da Josep Borrell, alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza: “Il primo ministro sloveno, Janez Janša, non rappresenta l’Unione Europea in politica estera“. Una dichiarazione durissima che, a nemmeno due settimane dall’inizio del semestre sloveno di presidenza del Consiglio dell’UE, approfondisce il distacco tra Bruxelles e Lubiana e alimenta le polemiche sulla figura del nuovo presidente di turno.
    La reazione del capo diplomatico dell’Unione è arrivata a seguito di alcune esternazioni del primo ministro sloveno sull’Iran. In un discorso di sabato scorso (10 luglio) al Free Iran World Summit, evento annuale organizzato dal Consiglio nazionale della resistenza iraniana, Janša aveva esplicitato la necessità di avviare un’inchiesta internazionale sulle esecuzioni dei prigionieri politici iraniani nel 1988 (almeno duemila secondo Amnesty International): “Per quasi 33 anni il mondo ha dimenticato le vittime del massacro, è ora che questo cambi“.
    Il polverone diplomatico che si è alzato da Teheran nel corso del fine settimana ha coinvolto Janša non tanto in qualità di capo del gabinetto sloveno, ma soprattutto per la carica che riveste per i prossimi sei mesi all’interno dell’istituzione comunitaria. Il controverso nuovo presidente di turno del Consiglio dell’UE ha ricordato quanto sia facile scatenare confusione tra i messaggi inviati a Paesi terzi e come i diversi livelli di leadership spesso non rendono chiaro chi stia parlando a nome del proprio governo o per l’intera Unione.
    A dimostrazione di questa problematica, Borrell ha confermato di aver ricevuto una telefonata dal ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che voleva essere messo al corrente “se le dichiarazioni del primo ministro sloveno rappresentano la posizione ufficiale dell’Unione Europea”. L’alto rappresentante UE ha parlato proprio di “una certa confusione“, legata al fatto che la Slovenia è attualmente il Paese membro che detiene la presidenza di turno del Consiglio. Il ministro iraniano è stato rassicurato sul fatto che, anche in questo frangente, “la posizione di un primo ministro non rappresenta la posizione dell’Unione Europea” e che solo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, può rappresentare i Ventisette a livello di capi di Stato e di governo.
    In merito alla complessa situazione iraniana, Borrell ha affermato che l’Unione ha “una posizione equilibrata“, fatta di un mix di “pressioni politiche, quando necessario” e di “cooperazione, quando possibile”. In questo contesto si inserisce l’impegno dell’Unione Europea – attraverso la figura dell’alto rappresentante – per quanto riguarda l’accordo sul nucleare iraniano (il Piano di azione congiunto globale, JCPOA). Allo stesso tempo, “la politica estera rimane una competenza degli Stati membri, che possono avere l’opinione che ritengono adatta per ogni questione internazionale“, ha precisato Borrell alla stampa di Bruxelles. “Se mi chiedete se la posizione di Janša rappresenta quella dell’Unione Europea, devo ribadire che di certo non è così”.

    L’alto rappresentante UE reagisce alle polemiche nate dopo la richiesta del primo ministro di Lubiana di avviare un’inchiesta internazionale sull’esecuzione di prigionieri politici nel 1988. “Ogni Paese membro ha le proprie opinioni, ma la nostra è una posizione equilibrata”

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    Allargamento UE, Sassoli riceve presidenti dei Parlamenti balcanici: “Istituzioni siano motore di pace e democrazia”

    Bruxelles – Se la politica di allargamento dell’UE rispecchiasse fedelmente le espressioni di intenti, l’Unione sarebbe già da tempo ben avviata sulla strada dei trentatré Paesi membri. I progressi dei sei Stati dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Eerzegovina, Macedonia del nord, Montenegro, Kosovo, Serbia), in materia di riforme e cooperazione regionale sono stati evidenziati a più riprese a Bruxelles ma, per motivazioni che variano da caso a caso, l’orizzonte dell’adesione è ancora lontano. Rimane però una certezza: se le promesse non saranno seguite da fatti concreti, l’entusiasmo cederà il passo alla disillusione e i Balcani guarderanno con sempre più interesse ad altre potenze, come Russia e Cina.
    Di tutto questo si è parlato nel corso del secondo vertice del Parlamento Europeo e dei presidenti dei Parlamenti dei Balcani Occidentali (lunedì 28 giugno), a distanza di un anno e cinque mesi dal primo incontro di questo tipo a Bruxelles. Un’occasione per ribadire il ruolo centrale delle istituzioni democratiche nel processo di allargamento UE nella regione, con l’impegno a rafforzarne la dimensione parlamentare.
    Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, firma la dichiarazione congiunta durante il secondo vertice con i presidenti dei Parlamenti dei Balcani Occidentali (28 giugno 2021)
    Tutto ciò è emerso non solo dallo scambio di vedute durante la riunione, ma anche da quanto messo nero su bianco nella dichiarazione congiunta del presidente del Parlamento UE, David Sassoli, degli omologhi dei Parlamenti portoghese e sloveno (rispettivamente Igor Zorčič ed Eduardo Ferro Rodrigues), in rappresentanza delle presidenze attuali e future del Consiglio dell’UE, e di quelli balcanici: Gramoz Ruçi (Albania), Bakir Izetbegović (Bosnia ed Erzegovina), Glauk Konjufca (Kosovo), Talat Xhaferi (Macedonia del Nord), Aleksa Bečić (Montenegro) e Ivica Dačić (Serbia).
    Anche in vista del summit UE-Balcani Occidentali che dovrebbe tenersi a Lubiana durante il semestre di presidenza slovena, la prospettiva dei Parlamenti nazionali dovrà essere sempre più quella di uno “spazio inclusivo di dialogo”, con l’obiettivo di “favorire la riconciliazione” e di “fornire un contributo diretto alla pace, alla stabilità, alla prosperità e al rafforzamento della democrazia” in tutta la regione. Il focus su cui lavorare rimane l’attuazione delle riforme richieste da Bruxelles, dallo Stato di diritto all’indipendenza della magistratura, dal pluralismo all’indipendenza del media e della magistratura, fino alla parità di genere e alla lotta contro i cambiamenti climatici.
    Ma se le istituzioni balcaniche dovranno dimostrare un vero impegno su questi punti, altrettanto fondamentale sarà quello che l’Unione Europea dovrà mettere in campo. Non solo attraverso il dialogo interparlamentare con l’Eurocamera e il coinvolgimento della società civile dei Balcani durante la Conferenza sul futuro dell’Europa, ma soprattutto “tenendo fede alle promesse” del Consiglio dell’UE. L’invito è ad accelerare il processo di allagamento, “un interesse politico, economico e di sicurezza della stessa Unione”, conclude la dichiarazione congiunta.

    Very positive 2nd summit with the speakers from the #WesternBalkans!
    Enlargement means hope, for all sides! We call on the Council to keep its promises and speed up the enlargement process.
    This is a geostrategic investment, for a strong, united Europe. https://t.co/znHkqeU1NH pic.twitter.com/ounhDFgGXS
    — David Sassoli (@EP_President) June 28, 2021

    L’esortazione ai governi dei Ventisette nel rispettare le promesse fatte ai Paesi balcanici è stata ribadita con forza anche dal presidente del Parlamento UE, che dopo l’incontro ha parlato di “speranza per tutte le parti” se si procederà sulla strada dell’allargamento dell’Unione. Il processo di adesione dei Balcani occidentali “basato sul merito” rappresenta un “investimento geostrategico, per un’Europa forte e unita“, ha commentato su Twitter.
    Secondo Sassoli, questa consapevolezza scaturisce dalle conseguenze della pandemia COVID-19, che “ha ulteriormente evidenziato quanto dipendiamo gli uni dagli altri per affrontare le sfide attuali e future”. In questo senso, gli atti di solidarietà e cooperazione a livello finanziario e umanitario confermano gli sforzi dell’UE per “contribuire allo sviluppo sostenibile e alla ripresa socio-economica a lungo termine” della regione.
    Ma il vero “motore di pace e democrazia” sono proprio i Parlamenti nazionali, che “possono favorire la comprensione reciproca e la riconciliazione nei Balcani occidentali”. Con questo obiettivo, l’Eurocamera “rimarrà un partner impegnato verso un futuro europeo comune” e offrirà sostegno in diversi modi: sia nell’area della “mediazione e dialogo”, sia nel “rafforzamento delle capacità parlamentari”, ma anche attraverso “l’osservazione elettorale e le azioni per i diritti umani”, è stata la promessa del presidente del Parlamento Europeo al termine del vertice.
    Da sinistra, i presidenti: Igor Zorčič (Assemblea nazionale slovena), Talat Xhaferi (Assemblea della Macedonia del Nord), Aleksa Bečić (Assemblea del Montenegro), Bakir Izetbegović (Camera dei Popoli della Bosnia ed Erzegovina), David Sassoli (Parlamento Europeo), Gramoz Ruçi (Assemblea di Albania), Ivica Dačić (Assemblea nazionale della Serbia) e Glauk Konjufca (Assemblea del Kosovo)

    Nella dichiarazione congiunta firmata durante il secondo vertice interparlamentare è stato ribadito l’impegno a collaborare per “favorire la riconciliazione nella regione”. Dal presidente dell’Eurocamera l’invito al Consiglio dell’UE a “rispettare le promesse” per l’adesione dei sei Paesi

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    Slovenia, il mistero del piano per “completare la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia” e i “no comment” del Consiglio UE

    Bruxelles – Trent’anni. Il tempo per mettersi alle spalle una guerra o per riaprire le ferite di un conflitto etnico durato un decennio. Proprio nell’anniversario dello scoppio delle guerre nell’ex-Jugoslavia, la polveriera dei Balcani torna a preoccupare l’Europa e il mistero di un documento ufficioso del governo sloveno, che sarebbe già approdato a Bruxelles, sta rischiando di dare uno scossone ai fragili equilibri della regione.
    Il premier sloveno, Janez Janša
    Tutto è cominciato all’inizio di questa settimana, quando lunedì (12 aprile) alcuni media bosniaci hanno riportato l’indiscrezione secondo cui il premier sloveno, Janez Janša, avrebbe consegnato tra fine febbraio e inizio marzo al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, un non paper (una proposta informale di accordo) sulle priorità della presidenza slovena dell’UE, che prenderà il via il prossimo primo luglio. Nel documento, Janša avrebbe indicato anche la necessità di completare la “dissoluzione dell’ex-Jugoslavia”: implicazioni a livello di confini per tutti i Paesi della regione (Slovenia esclusa), ma soprattutto una separazione in seno al territorio della Bosnia ed Erzegovina su base etnica.
    Nella regione è scoppiata la bufera, con l’ambasciatrice slovena a Sarajevo, Zorica Bukinac, invitata per un chiarimento dal membro croato della presidenza bosniaca, Željko Komšić, e i partiti di opposizione al governo Janša che hanno invitato il ministro degli esteri, Anže Logar, a riferire in Parlamento. Lubiana nega un cambiamento di politica nei confronti dei partner balcanici e lo stesso premier Janša ha smentito con ferocia ogni voce di un piano segreto per il completamento “pacifico” della dissoluzione dell’ex-Jugoslavia: “Il governo sloveno sta seriamente cercando soluzioni per lo sviluppo della regione e la prospettiva europea dei Paesi dei Balcani occidentali”, ha commentato in un tweet, rimbalzando l’accusa di “cercare di impedire tale obiettivo”.

    Eh, @eucopresident sem nazadnje srečal lani. Težko bi mu tako februarja ali marca letos karkoli fizično predal, kot piše obskurni splet, ki ga navajate. 🇸🇮 sicer resno išče rešitve za razvoj regije in EU perspektivo držav ZB, s takimi zapisi pa se ravno ta cilj skuša onemogočiti. https://t.co/aObQNCkRc5
    — Janez Janša (@JJansaSDS) April 12, 2021

    Tuttavia, dopo giorni di polemiche, smentite e pubblicazioni di stralci del documento più o meno verosimili, ciò che appare evidente è l’incapacità del Consiglio Europeo di prendere le distanze dalla notizia del non paper ricevuto o di fornire ulteriori spiegazioni. Pressato dalla stampa a Bruxelles, l’entourage del presidente Michel tiene la linea del “no comment” e del non rilasciare dichiarazioni “per il momento”. Un approccio quantomeno discutibile, che fa sospettare che qualcosa stia davvero sgorgando alla sorgente. Oppure, se così non fosse, che rischia di far cedere la diga del complottismo e della accuse tra Paesi. Insomma, di far giocare in molti con il fuoco, in un contesto – quello balcanico – che non avrebbe bisogno di ulteriori destabilizzazioni.
    Quello mostrato dal Consiglio UE è un atteggiamento agli antipodi rispetto a quello della Commissione Europea, che, sebbene non sia implicata direttamente nell’affaire Balcani, ha comunque risposto con chiarezza in merito alla sua posizione. “Non abbiamo visto né siamo a conoscenza del non paper“, ha spiegato Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Una dichiarazione che a molti sarà sembrata banale, ma senza tenere presente il fatto che l’esecutivo UE avrebbe avuto tutto il diritto di non rilasciare commenti su una vicenda che coinvolge un Paese membro e un’altra istituzione europea. Anzi, Stano ha ribadito che “sulla questione dei confini nei Balcani, l’unica cosa che pensiamo è che non ci sia nulla da cambiare“. La Commissione Europea si gioca parte della credibilità sul processo di allargamento promesso nei Balcani occidentali e per questo motivo “bisogna lavorare sulla cooperazione regionale e sulla riconciliazione, questo è il nostro approccio”, ha aggiunto con forza il portavoce dell’alto rappresentante UE.

    Da giorni si rincorrono le voci di un documento ufficioso inviato dal premier Jansa a Bruxelles, dai contenuti controversi sulla separazione della Bosnia ed Erzegovina e la ridefinizione dei confini nella regione. Ma l’atteggiamento dell’entourage del presidente Michel mostra l’incapacità di gestire una situazione esplosiva

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