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    La guardia costiera libica ha una motovedetta “antimigranti” in più. Ed è italiana

    Bruxelles – Una motovedetta inaffondabile, capace di ospitare fino a 200 naufraghi. La prima delle 5 imbarcazioni che l’Italia consegnerà alla guardia costiera libica per “rafforzarne in maniera significativa le capacità nelle attività di salvataggio in mare e di contrasto al traffico di esseri umani” è una motovedetta ts-lcg 300, costruita al cantiere navale Vittoria a Adria, in provincia di Rovigo. Ieri sera (7 febbraio) la consegna delle chiavi, a cui hanno presenziato il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, il commissario Ue per l’Allargamento e la politica di vicinato, Oliver Varhelyi, e la ministra degli Esteri di Tripoli, Najla Mangoush.
    Da sinistra: Oliver Varhelyi, Antonio Tajani e Najla Mangoush
    “Siamo convinti che questo progetto porterà risultati concreti”, ha dichiarato il commissario Varhelyi. Il supporto alla guardia costiera libica rientra nel programma Support to integrated border and migration management in Lybia (Sibmmil) , finanziato dalla Commissione europea attraverso il fondo Emergency Trust Fund for Africa, avviato nel 2017 con l’obiettivo di rafforzare le autorità libiche logorate da anni di guerra civile.
    L’Italia, principale attuatore del programma, è da sempre in prima linea quando si tratta dei rapporti tra l’Ue e il partner nordafricano: solamente nell’ultima settimana, il 28 gennaio la premier Meloni era a Tripoli per firmare un accordo tra Eni e la Compagnia petrolifera nazionale libica “Noc” e il 2 febbraio è stato rinnovato per la sesta volta il discusso Memorandum d’intesa Italia-Libia “sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani, e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Memorandum che la Commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, ha invitato a sospendere, viste le “numerose prove che documentano le gravi violazioni dei diritti umani subite da rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia”.
    La motovedetta ts-lcg 300
    Ma nella rinnovata determinazione della presidenza svedese del Consiglio dell’Ue e della Commissione europea nel combattere gli ingressi irregolari e nel proteggere le frontiere esterne dell’Unione, con l’adozione di un piano d’azione specifico per la rotta del Mediterraneo centrale, la guardia costiera libica gioca un ruolo di primo piano. “Vogliamo aiutare i partner del Nord Africa a proteggere i loro confini, perché li proteggono anche per noi”, ha spiegato Varhelyi, specificando che a questo scopo Bruxelles “sta fornendo attrezzatura come navi e camere a visione notturna”. Per l’Europa e per l’Italia, i progetti di rafforzamento di capacità e formazione della guardia costiera libica restano quindi fondamentali: “Le autorità libiche hanno compiuto sforzi significativi nelle operazioni di salvataggio in mare e nel contenimento delle partenze irregolari, ma i flussi sono ancora molto alti”, ha dichiarato il ministro Tajani.
    Per ridurre gli oltre 300 mila ingressi irregolari registrati nel 2022, di cui 102 mila dal Mediterraneo centrale, secondo Tajani Roma e Tripoli “devono lavorare insieme, con il sostegno dell’Ue, per trovare soluzioni sostenibili assicurando un trattamento umano alle persone più vulnerabili”. Che la soluzione migliore sia equipaggiare la guardia costiera libica, che più volte si è resa protagonista di attacchi armati anche verso pescherecci italiani, resta da vedere. Vista oltretutto l’instabilità cronica del Paese e delle sue istituzioni. Ne sono consapevoli sia a Bruxelles che e Roma: il portavoce capo della Commissione europea, Eric Mamer, ha dichiarato che “non ci sono alternative alla ricerca di dialogo e cooperazione” con le autorità di Tripoli, mentre Tajani non rinuncia all’ambizione di “essere protagonista dell’unità nazionale libica, per arrivare a un voto democratico”. Per questo la prossima settimana il ministro incontrerà l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, con il quale “si confronterà per valutare le possibili iniziative” che possano portare a una maggiore stabilità a Tripoli e soprattutto nella Cirenaica del generale Haftar.

    Il ministro degli Esteri Tajani ha consegnato la prima dei cinque mezzi finanziati dall’Ue. “Non vogliamo più che il Mediterraneo sia un cimitero di migranti”, ha dichiarato. Ma le polemiche sulla cooperazione con le autorità di Tripoli non si placano: per la Commissione Ue “non ci sono alternative”

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    Johansson presenta il Piano d’azione per il Mediterraneo centrale: focus su partenze, salvataggio in mare e ricollocamenti

    Bruxelles – Tre linee direttive per affrontare il fenomeno migratorio nel Mediterraneo centrale: lavorare sulla cooperazione tra gli Stati Ue, con i Paesi di partenza e con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom) per prevenire le partenze, agire nella fase di ricerca e soccorso in modo più coordinato, perfezionare l’implementazione del meccanismo di solidarietà per i ricollocamenti.
    Non emerge niente di più che una forte dichiarazione di intenti dalle parole della Commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson, che ha presentato questa mattina (21 novembre) il Piano d’azione per il Mediterraneo centrale. Venti interventi pensati “per affrontare le sfide immediate e attuali”, su cui la querelle tra Francia e Italia sulla nave ong Ocean Viking ha tutto a un tratto riacceso i riflettori.
    I tempi per un approccio europeo più strutturale al fenomeno delle migrazioni sono maturi già da un pezzo, ma un 2022 con ingressi in Ue da record ha rispolverato con forza la questione: secondo l’ultimo rapporto Frontex, dall’inizio dell’anno sono già oltre 275 mila gli ingressi irregolari alle frontiere dell’Unione, il dato più alto dal 2016. Di questi, la maggior parte sono stati registrati nei Balcani Occidentali (130 mila), ma all’incirca 90 mila rientrano nella rotta che dalle coste libiche arriva ai porti siciliani e calabresi, in aumento del 48 per cento rispetto all’anno precedente.
    In questo contesto la Commissione presenterà il Piano d’azione al Consiglio straordinario Affari Interni del prossimo 25 novembre, convocato in fretta e furia dopo lo scontro sull’asse Parigi-Roma, in aggiunta a quello dell’8 dicembre, dove secondo Johansson “si faranno passi avanti sul nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo”. Per la commissaria questo rimane comunque “l’unica via per un quadro europeo solido e comprensivo per affrontare le sfide migratorie”. Il tema sarà anche affrontato in un “key debate” all’emiciclo di Strasburgo mercoledì mattina.
    “Non possiamo gestire la migrazione caso per caso, barca per barca. È possibile trovare soluzioni strutturali solo adottando il nostro Patto Ue”, ha scritto in un tweet il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, che ha tra le sue deleghe quella alla migrazione. Il problema è che il Patto, che dovrebbe ripesare e equilibrare l’impegno degli Stati membri e abbandonare parzialmente il meccanismo del Paese di primo approdo stabilito dal sistema di Dublino, procede a rilento: per questo si è reso necessario l’accordo estivo, sotto la presidenza francese, sul Meccanismo di solidarietà per i ricollocamenti, e ora un nuovo Action Plan per fissare i punti cardine degli interventi sul tema.
    Il piano d’azione della Commissione
    Delle tre aree di intervento indicate dalla Commissione, la più densa risulta essere quella che riguarda la dimensione esterna del fenomeno: Johansson ha ricordato che sul piatto ci sono 580 milioni di euro, finanziati attraverso l’Ndici- Europa globale, per sostenere i Paesi del Nord-Africa (Libia, Tunisia e Egitto su tutti) in programmi per “favorire la crescita economica, l’occupazione e la prosperità” nella regione e per “rafforzare le capacità di Tunisia, Egitto e Libia per garantire una migliore gestione delle frontiere e della migrazione”, si legge nel piano. “C’è un evidente bisogno di lavorare con i Paesi terzi per prevenire le partenze”, ha dichiarato Johansson, menzionando i risultati raggiunti in termini di diminuzione di ingressi di migranti sub-sahariani grazie alla partnership anti-smuggling (anti-trafficanti) stipulata con il Niger, e alla collaborazione con le Nazioni Unite e con l’Unione africana sui “Resettlement Programme”, attraverso cui “più di 60 mila persone sono volontariamente rientrate nei Paesi d’origine, 3 mila solo nel 2022”.
    Quando non si riesce a evitare le partenze, c’è da intervenire nella fase di ricerca e soccorso, a cui è dedicato il secondo capitolo dell’Action Plan. La commissaria Ue agli Affari interni ha ribadito ancora una volta che salvare vite in mare è un “chiaro e inequivocabile obbligo legale”, ma ha ammesso che “la situazione attuale con le imbarcazioni private che operano in mare è uno scenario non ancora sufficientemente chiaro”. La ricetta proposta dalla Commissione, in un’area spinosa a causa della competenza statale nelle proprie zone di ricerca e salvataggio (Sar), è una maggiore cooperazione tra Stati membri, Paesi costieri e Stati di bandiera delle navi Ong. Johansson ha garantito che nel nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, che la Commissione vorrebbe vedere operativo entro la fine di questo mandato (febbraio 2024), è affrontata anche la questione tanto cara al governo italiano del codice di condotta in mare, oltre che un approccio condiviso e coordinato attraverso un gruppo europeo “search&rescue”.
    Gli ultimi tre punti del Piano d’azione riguardano l’implementazione del Meccanismo di solidarietà firmato lo scorso 22 giugno da 18 Paesi membri. Guardando i numeri, il problema è evidente: se l’accordo è riuscito a mettere insieme più la disponibilità a 8 mila ricollocamenti dai Med-5 (Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta) verso gli altri Stati firmatari, in realtà fino a oggi i trasferimenti effettivi sono stati solo 112 (38 in Francia e 74 in Germania). Per Johansson il meccanismo temporaneo “è un’opportunità di imparare la lezione verso il futuro sistema permanente previsto dal Patto”. È evidente, secondo la commissaria, la necessità di “rivedere le procedure per velocizzare i ricollocamenti, migliorando la flessibilità e razionalizzando i processi”.
    Johansson non ha dubbi sulla solidarietà francese, nonostante le dichiarazioni del ministro dell’interno transalpino che, appena una settimana fa, aveva detto di voler sospendere l’accordo di ricollocamento, invitando tutti gli altri Paesi firmatari a fare lo stesso in risposta al rifiuto italiano di accogliere la Ocean Viking. “È grazie alla presidenza francese che abbiamo costruito il meccanismo di solidarietà, per cui sono certa che Parigi continuerà il dialogo in modo costruttivo, com’è sempre stato”.
    Di questo e di tanti altri temi di attualità nelle politiche europee si discuterà nel nono appuntamento annuale di Eunews “How Can We Govern Europe?“, in programma a Roma il 29 e 30 novembre negli spazi delle rappresentanze di Commissione e Parlamento europei, in piazza Venezia.

    Secondo la commissaria Ue “c’è bisogno di lavorare per prevenire le partenze”, attraverso una maggiore cooperazione con i Paesi del Nord Africa. Salvataggio in mare e miglioramento del meccanismo di solidarietà gli altri due punti, che sarebbero già previsti nel nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo proposto dalla Commissione a settembre 2020

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    Lukashenko minaccia l’UE: “Niente sanzioni oppure stop al gas”

    Bruxelles – “Noi riscaldiamo l’Europa e ora loro ci minacciano con la chiusura del confine. Cosa accadrebbe se bloccassimo il transito di gas naturale?”.  Aljaksandr Lukashneko torna ad attaccare l’UE in merito alla crisi dei migranti che in questi giorni ha scaldato la frontiera tra Polonia e Bielorussia.
    La minaccia del presidente bielorusso segue le notizie sul quinto pacchetto di sanzioni – ora confermate da fonti della Commissione europea – che i Paesi UE stanno discutendo. La Commissione ha ribadito che “le sanzioni sono solo uno degli strumenti che l’Unione ha a disposizione” e che una decisione in merito da parte degli Stati membri arriverà a breve.
    Non si conoscono con certezza i settori che potrebbero essere colpiti da eventuali sanzioni. Per il momento è possibile che ad essere interessate saranno quelle compagnie aeree colpevoli di trasportare illegalmente migranti dal Medio Oriente alla Bielorussia, dove vengono utilizzati per mettere sotto pressione le frontiere polacche e lituane. Anche in questo caso la Commissione non si è ancora espressa ma ha confermato di essere in contatto con le principali compagnie aeree per portare avanti delle indagini.
    Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, ha risposto che “non dovremmo sentirci intimiditi dalle minacce della Bielorussia”. Posizione ribadita dalla Commissione, che giudica il taglio alla fornitura di gas come “uno scenario estremamente ipotetico”, che “danneggerebbe in primis la Bielorussia”.
    Lukashenko minaccia l’UE, ma gli serve il permesso di Putin
    Il gas che attraversa il Paese per arrivare in Polonia, e da lì arriva in Europa, scorre attraverso il gasdotto Yamal che nel suo tratto bielorusso è di esclusiva competenza di Gazprom – la controllata statale russa. Anche la materia prima proviene esclusivamente dalla Federazione, che lo estrae principalmente nel mare di Kara.
    Interrompere le forniture significherebbe, come riferito dalla Commissione, “danneggiare i fornitori” e dunque la Russia, unico alleato di Lukashenko e partner insostituibile per preservare la stabilità del regime bielorusso.
    Per tagliare l’approvvigionamento di gas, Minsk dovrebbe innanzitutto avere il via libera da Mosca. Il consenso del Cremlino, tuttavia, trascinerebbe la Russia in una vicenda a cui vorrebbe rimanere estranea (almeno a livello ufficiale) – posizione che il presidente Vladimir Putin ha fatto intendere anche durante una recente telefonata con Angela Merkel.

    Il Presidente della Bielorussia risponde all’Unione europea, che in questi giorni pensa all’emissione di un quinto pacchetto di sanzioni contro il governo di Minsk per l’utilizzo come arma dei migranti. Adesso Lukashenko minaccia di interrompere il flusso dei gasdotti russi che, passando attraverso il Paese, riscaldano gli Stati europei

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    Merkel chiama Putin: “Intervieni sul comportamento disumano della Bielorussia”

    Bruxelles – “La Cancelliera ha telefonato al presidente Putin per discutere della situazione al confine tra Bielorussia e Polonia“. Lo annuncia su Twitter il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert. Il Cremlino ha precisato che che si è trattato di “un’iniziativa della Germania”.
    Secondo Seibert, Merkel “ha sottolineato che la strumentalizzazione dei migranti attraverso il regime bielorusso è disumana e inaccettabile e ha pregato il presidente Putin di intervenire”. Di seguito la cancelliera avrebbe chiesto al presidente russo di utilizzare la propria influenza per dissuadere il governo di Minsk dal proseguire quello che per l’UE è un “attacco asimmetrico”.
    Da Mosca è arrivata una risposta tiepida. Se infatti Putin ha acconsentito “a continuare i colloqui su questo tema”, non sono stati presi impegni di sorta per porre un freno alla crisi. Quanto emerge dalle dichiarazioni è che per l’inquilino del Cremlino si tratta di un problema tra l’Unione europea e la Bielorussia, che non tocca direttamente la Russia.
    Nel corso della telefonata con Angela Merkel, Putin ha suggerito di risolvere la questione “attraverso un colloquio diretto tra gli Stati membri dell’UE e Minsk”, affermando che la Russia avrebbe fatto il possibile per mettere in contatto le due parti in causa – ma senza intervenire in prima persona.
    Merkel ha poi ringraziato pubblicamente i Paesi “che sono preoccupati per la protezione delle frontiere esterne dell’Unione europea, Lituania, Lettonia e Polonia”, lasciando intendere un supporto tedesco alle istanze degli Stati che stanno gestendo direttamente i flussi migratori orchestrati dal regime bielorusso.

    Per la Cancelliera la “strumentalizzazione dei migranti attraverso il regime bielorusso è un comportamento disumano e inaccettabile”, ma Vladimir Putin invita gli Europei a parlare direttamente con Minsk

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    Grandi (UNHCR) al Parlamento europeo: “Sui migranti l’UE ha fatto molto, ma ora deve fare di meglio”

    Bruxelles – Per i 70 anni dalla Convenzione di Ginevra, l’Alto Commissario ONU per i rifugiati Filippo Grandi è intervenuto in apertura della plenaria del Parlamento Europeo. Grandi ha ricordato che “nessuno sceglie di essere un rifugiato”, ma oggi sempre più persone sono costrette a fuggire da Paesi afflitti da condizioni di disagio estreme.
    Il Commissario ha ribadito l’impegno dell’UNHCR “per proteggere i rifugiati, operando sul campo in più di 130 Paesi del mondo”. Un impegno, quello della solidarietà, che Grandi ha chiesto di potenziare e rinnovare a tutti i membri dell’Unione europea: “L’Europa oggi fa già molto, ma ora serve una leadership politica che prevenga le cause”.
    Nel corso dell’intervento è stato tracciato un rapido quadro della situazione dei rifugiati oggi. “Circa il 90 per cento dei rifugiati provengono da Paesi a basso o medio reddito”, ha ricordato Grandi, per poi soffermarsi su alcune situazioni in particolare: “In Libano praticamente un abitante su cinque è un rifugiato, nel caso della Colombia invece stiamo parlando di circa 1,7 milioni di rifugiati venezuelani ospitati sul territorio”.
    Grandi ha poi sottolineato come il cambiamento climatico abbia esasperato situazioni vecchie e nuove: “Nel Sahel il peggioramento delle condizioni climatiche ha prodotto una scarsità di risorse che rischia di distruggere la coesione sociale e dare spazio a nuove migrazioni di massa”.
    Le migrazioni sono oggi una sfida globale, che richiedono una risposta coordinata. Per Grandi il primo passo è “aiutare i Paesi in via di sviluppo per prevenire i movimenti forzati”, ma non solo. Molte delle persone costrette a fuggire sognano un giorno di tornare in patria, ma non possono per problemi di sicurezza o mancanza di servizi. Per l’UNHCR “rimuovere gli ostacoli che impediscono il rientro” è oggi uno dei punti fondamentali per migliorare la condizione di milioni di persone costrette alla fuga.
    In chiusura il Commissario ha ribadito che “le sfide delle migrazioni non possono giustificare i muri, i pestaggi e i respingimenti dei migranti”, con una chiara allusione alla situazione di tensione al confine tra Polonia e Bielorussia. Per Grandi l’UE dovrebbe “fare di meglio” per rispettare lo Stato di diritto e aiutare i Paesi che gestiscono i flussi migratori in prima persona.
    In questo senso il Patto per le migrazioni e l’asilo proposto dalla Commissione europea ha sollevato l’apprezzamento di Grandi, che lo ha definito “un primo passo per fornire ai membri dell’UE un quadro per la gestione dei flussi migratori”.

    L’Alto commissario ONU per i rifugiati è intervenuto in apertura della plenaria dell’Europarlamento in occasione dei 70 anni della Convenzione di Ginevra per i rifugiati, tracciando una serie di punti per la gestione globale delle migrazioni

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    Accordo tra Italia e Grecia: fissati i confini marittimi, potenziata la cooperazione tra Roma e Atene

    Bruxelles – L’incontro alla Farnesina trai ministri degli Esteri di Italia Grecia ha visto lo scambio degli strumenti di ratifica dell’accordo sui confini marittimi dei due Paesi. Nikos Dendias, in una lettera indirizzata all’omologo italiano Luigi di Maio, ha parlato di “un atto simbolico di eccezionale importanza”.
    L’accordo tra Italia e Grecia e la ZEE
    Un’intesa era stata già trovata nel giugno del 2020, poi pubblicata in Gazzetta ufficiale nel 2021. Adesso l’accordo diventa realtà anche sul piano internazionale. I confini marittimi ricalcano quelli disegnati già nel 1977. All’epoca però non erano state definite le specificità funzionali delle zone disegnate. Adesso Atene e Roma si sono accordate per delimitare le rispettive Zone economiche esclusive (ZEE). 
    Si tratta della prima ZEE formalmente dichiarata dall’Italia. Fino al 2020 la Penisola era uno dei pochi Paesi Mediterranei a non aver esteso il proprio diritto esclusivo su un braccio di mare oltre le 12 miglia di acque territoriali. Tutt’oggi i confini marittimi e di sfruttamento delle risorse italiani sono fonte di controversie con Malta, Algeria e Tunisia, non esistendo una zona definita nel Canale di Sicilia e al largo delle coste sarde.
    Luigi di Maio auspica che l’accordo odierno possa “rappresentare un modello per il futuro”. Le ZEE sono in genere proclamate tramite decisioni unilaterali, ma solo l’accordo con i Paesi confinanti assicura che le delimitazioni vengano realmente rispettate. Un approccio simile a quello tenuto con la Grecia potrebbe ad esempio essere replicato con le nazioni sull’altro lato dell’Adriatico, con cui Roma ha in generale buoni rapporti.

    Non solo confini marittimi
    Ma i ministri non hanno discusso solo di confini marittimi. Come ha dichiarato di Maio, Italia e Grecia hanno affrontato una serie di dossier che spaziano dal “rafforzare il ruolo di hub energetici in Europa” alla “collaborazione sui temi europei, in particolare sulla necessità di un accordo sulle migrazioni”. L’incontro ha confermato che le due diplomazie sono d’accordo per una soluzione promossa dall’UE per evitare l’instabilità nei Balcani occidentali.
    Sul tavolo anche la Libia. Dendias ha ribadito la sua fiducia nella Conferenza internazionale sul futuro del Paese che inizierà a Parigi il 12 novembre. Lo scopo fondamentale per il ministro greco è quello di “favorire l’uscita dei mercenari dal Paese”, insieme a “un impegno di lungo periodo per ricostruire lo Stato”.
    Stando alle dichiarazioni dei funzionari del governo italiano l’accordo è solo una questione tra Roma ed Atene. Ma la lettera scritta dal ministro degli Esteri greco è indirizzata anche ad un altro interlocutore, la Turchia. Nel documento Dendias fa riferimento alle continue “violazioni del diritto internazionale” operate dalla marina turca nel Mediterraneo orientale e alla “ricerca di un casus belli” contro la Grecia.
    Dichiarazioni che fanno pensare che l’accordo con l’Italia, almeno per la Grecia, è una risposta all’intesa che Erdogan ha raggiunto con il governo dell’ex premier libico al-Sarraj nel 2019, per la creazione di un corridoio economico esclusivo tra Turchia e Libia. Questa delimitazione comprende anche alcuni tratti di mare a largo dell’isola di Creta che Atene rivendica come di propria competenza.

    L’accordo sulla delimitazione dei confini marittimi era stato firmato nel giugno del 2020 e riprendeva i confini di un’intesa siglata già nel 1977, ma negli ultimi 45 anni non erano ancora state individuate le rispettive zone di giurisdizione funzionale

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    Orban scrive a von der Leyen: “UE finanzi le barriere per i migranti. Senza di noi l’Europa al collasso”

    Bruxelles – “Una nuova crisi migratoria sta prendendo forma alle porte dell’Europa”. Inizia così la lettera che il primo ministro ungherese Viktor Orban ha indirizzato alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Secondo Orban la congiuntura della disastrosa ritirata dall’Afghanistan e la crisi in Bielorussia porterà a una nuova ondata di migranti, “ancora peggiore di quella che abbiamo visto nel 2015”.
    Secondo il primo ministro l’Unione non può permettersi che a gestire la crisi siano i soli Paesi frontalieri e preme perchè l’UE “riconosca che la protezione dei confini esterni è una manifestazione indisputabile della solidarietà europea”. E così Orban torna a chiedere il supporto economico di tutti i Paesi membri per costruire e potenziare la rete di barriere che alcuni Stati europei hanno costruito o stanno costruendo a proprie spese. Quando il Paese frontaliero in difficoltà era l’Italia però Orban chiarì bene che lui non avrebbe fatto alcuno sforzo per dare una mano. Ora cambiano i flussi e cambiano anche i principi, evidentemente.
    La richiesta di Orban richiama la lettera firmata da 12 Paesi membri il 7 ottobre scorso. In quell’occasione la destinataria era stata la Commissaria per gli Affari interni Ylva Johansson e si chiedeva che le nuove barriere fossero “finanziate adeguatamente dal budget dell’UE come argomento prioritario”.
    In quell’occasione la Commissaria aveva fatto sapere che, pur comprendendo la volontà dei firmatari di “rafforzare la protezione dei nostri confini esterni”, i costi per le barriere sarebbero stati a carico dei soli Paesi costruttori.
    A preoccupare Orban c’è “l’uso ibrido delle migrazioni proveniente dalla Bielorussia”, colpevole di utilizzare i flussi migratori per colpire i Paesi dell’Unione europea. Di fronte alla possibilità che molti altri decidano di usare l’immigrazione contro l’UE, per Orban bisogna alzare muri, che sono “l’unica misura efficace per tenere al sicuro i cittadini europei contro l’arrivo di massa di migranti illegali”.
    Orban chiede di “rimborsare il costo delle misure di protezione implementate dall’Ungheria”, costate 590 milioni di fiorini (circa 1,7 milioni di euro). Nella conclusione, la lettera richiede esplicitamente di rivedere le precedenti decisioni della Commissione in materia, viziate da “una interpretazione e un’applicazione scorretta di alcune regole rilevanti”.

    Il primo Ministro ungherese rinnova le richieste già espresse nella lettera dello scorso 7 ottobre in cui diversi Stati membri avevano chiesto all’Unione di finanziare con fondi europei la costruzione di barriere ai confini per respingere i migranti

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    Mattarella, atto d’accusa ai Paesi UE: sconcertante negare accoglienza agli afgani

    Roma – Sconcertante. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è diretto e mette i Paesi europei di fronte alle responsabilità e rispetto dei principi dell’Unione, togliendo quel velo di ipocrisia che in questi giorni ha accompagnato la crisi afgana vista da Bruxelles.
    E ciò che si registra “appare sconcertante” dice il capo dello Stato, riferendosi alla “grande solidarietà nei confronti degli afghani che perdono libertà e diritti ma che rimangano lì, non vengano qui perché se venissero non gli accoglieremmo. Questo non è all’altezza del ruolo storico, dei valori dell’Europa verso l’Unione”.
    Parole pesanti pronunciate a Ventotene dove sono le radici dell’Unione europea e dove in questo fine settimana è stato celebrato l’ottantesimo anniversario del manifesto che dall’isola prende il nome, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941. Un evento organizzato come di consueto insieme al seminario dei federalisti europei e che coinvolge decine di studenti e giovani oggi impegnati anche nel dibattito della Conferenza del futuro dell’Europa.
    Mattarella a Ventotene rende omaggio alla tomba di Altiero Spinelli
    L’atto d’accusa di Mattarella non passerà inosservato nelle cancellerie europee nei giorni in cui i limiti e i vincoli della politica estera dell’Ue appaiono in tutta la loro sconsolante chiarezza. La crisi in Afghanistan ha rimesso in agenda ciò che viene sistematicamente negato sulle politiche migratorie e Mattarella invoca un’UE “che deve avere finalmente una voce unica, sviluppare un dialogo collaborativo con le altre parti del mondo e particolarmente con l’Africa”. Risponde ai giovani del seminario federalista e spiega la necessità di governare e gestire il fenomeno “in maniera ordinata, accettabile e legale senza far finta di vedere quel che avviene per ora, così da non essere in poco tempo travolti da un fenomeno ingovernabile, incontrollabile”.
    La sostanza del messaggio è che diritti umani e democrazia non possono essere evocati a corrente alternata ed è appunto “sconcertante” l’indifferenza di fronte al dramma causato dal ritiro dell’alleanza e delle istantanee di un gigantesco esodo di civili afgani.  Un punto su cui oltre al tema delle migrazioni si innesta “la scarsa capacità di incidenza dell’UE, totalmente assente degli eventi e invece servono strumenti reali ed efficaci di politica estera e di difesa”. Ancora parole molto nette, arrivate in diretta alle orecchie di Josep Borrell, alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, e Guy Verhofstadt, co presidente della Conferenza per il futuro dell’Europa.
    Bene la Nato ma “all’Europa è richiesta una maggiore presenza e una voce sola nella politica estera e di difesa”, dice Mattarella che di questi temi con Borrell ha parlato dopo l’incontro pubblico anche a pranzo.
    In un’intervista al Corriere della Sera, l’alto rappresentante torna sul punto, sui rapporti tra UE e la Nato e gli Stati Uniti, spiegando che quella in Afghanistan “non è stata una guerra solo americana” e che dunque anche l’Europa ha una parte delle responsabilità. Quanto ai rapporti con l’Alleanza atlantica, Borrell spiega che “come europei dobbiamo imparare da questa crisi a lavorare di più insieme e rafforzare l’idea dell’autonomia strategica”. Poi ricorda che Biden è stato chiaro, “gli Stati uniti non sono più disposti a combattere guerre di altri” e dunque l’Ue deve essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti”.

    Il capo dello Stato ospite delle celebrazioni per l’80° anniversario del Manifesto di Ventotene, sferza l’Europa sulle politiche migratorie e chiede impegno concreto sulla politica esterea e di difesa. Borrell: “Impariamo dalla crisi, dobbiamo rafforzare l’autonomia strategica per poter intervenire da soli”