More stories

  • in

    Macron in visita ad Astana per accelerare il partenariato strategico con il Kazakistan. L’Ue osserva attenta

    Bruxelles – Tra la Francia e il Kazakistan c’è comunanza di intenti non solo in ambito economico e commerciale, ma anche sulla politica internazionale. In occasione del quinto anniversario della firma del Trattato di partenariato strategico tra i due Paesi, ieri (primo novembre) il presidente francese, Emmanuel Macron, si è recato in visita ad Astana per incontrare il presidente della Repubblica del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, e per firmare una serie di contratti in settori che vanno dall’energia, al farmaceutico, fino all’aerospaziale. È però il tema dei minerali essenziali per le tecnologie energetiche pulite (di cui la regione è ricca) a costituire la parte più importante dei colloqui. “La forza del nostro partenariato dimostra che sono stati adottati i giusti assi d’interesse strategici, ma anche la necessità di completarli e accelerarli”, ha dichiarato Macron al fianco del suo omologo kazako.Da sinistra: il presidente francese, Emmanuel Macron, e il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ad Astana il primo novembre 2023 (credits: Ludovic Marin / Afp)Quella ad Astana è solo la prima tappa del viaggio di capo di Stato francese in Asia Centrale (che prosegue in Uzbekistan), una delle ex-Repubbliche sovietiche che ha attirato nuova attenzione da parte dell’Occidente dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Nonostante la sua vicinanza con la Russia (e la Cina), il Kazakistan non si è schierato con Mosca, sotto lo sguardo attento dell’Unione Europea e in particolare di Macron. “I due capi di Stato hanno sottolineato la loro ferma adesione al diritto internazionale e ai principi internazionali della Carta delle Nazioni Unite, in particolare il rispetto della sovranità, dell’indipendenza, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità delle frontiere internazionalmente riconosciute da tutti gli Stati”, si legge nella dichiarazione congiunta di Macron e Tokayev. “Hanno espresso la loro profonda preoccupazione sulla situazione in Ucraina, sulle sue conseguenze umanitarie, sulle sue ripercussioni sull’economia mondiale e sulla sicurezza alimentare dei Paesi più vulnerabili”, continua la nota.Durante l’incontro con Tokayev, Macron ha annunciato accordi commerciali, inclusa una dichiarazione di intenti per una partnership nel tanto ricercato settore delle terre rare e dei metalli rari. Oltre a essersi complimentato per la posizione sull’invasione della Russia in Ucraina: “La Francia valorizza il cammino che state seguendo per il vostro Paese, rifiutando di essere vassallo di qualsiasi potenza e cercando di costruire relazioni numerose ed equilibrate con i diversi Paesi”. Il Kazakistan, ricco di petrolio, era già emerso come fornitore sostitutivo di greggio per i Paesi europei che hanno interrotto le forniture russe e come collegamento importante nella nuova rotta commerciale Cina-Europa, che aggira la Russia. Riguardo l’incontro il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha commentato che il Kazakistan, in quanto Stato sovrano, è libero di sviluppare legami con qualsiasi Paese. Non sembra però dello stesso avviso il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, che la settimana scorsa aveva affermato che l’Occidente sta cercando di allontanare da esso i “vicini, amici e alleati” della Russia.Oltre alla Francia, l’importanza del Kazakistan per l’UeIl Kazakistan è un partner importante non solo per Macron, ma per tutta l’Unione Europea. Lo scopo dell’Ue è quello di sostituirsi alla Russia come primo partner economico e commerciale dei cinque Paesi dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan). La chiave di volta per questa operazione sarebbe proprio la Repubblica kazaka, dove l’Ue ha già raggiunto questo obiettivo, rappresentando il 40 per cento del suo commercio estero. “Una cosa è assolutamente certa, il nostro rapporto è forte e sta diventando ancora più forte“, aveva dichiarato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, al termine dell’incontro con il presidente kazako ad Astana il 27 ottobre dello scorso anno, in occasione della prima riunione regionale di alto livello dei Cinque dell’Asia Centrale.Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ad Astana (27 ottobre 2022)L’Unione è anche il primo investitore straniero in Kazakistan, rappresentando il 48 per cento dei flussi totali di investimenti diretti esteri. A rappresentare il quinto maggiore investitore straniero in Kazakistan è proprio la Francia, soprattutto a causa del coinvolgimento delle società energetiche TotalEnergies nel massiccio progetto del giacimento petrolifero offshore di Kashagan. A sigilliare ancora di più il rapporto dei due Paesi c’è anche il tema dell’energia nucleare: il Kazakistan fornisce circa il 40 per cento di uranio alla Francia e la francese Orano gestisce già una joint venture con la sua azienda nucleare statale Kazatomprom. Inoltre, l’azienda energetica francese Edf è in corsa per costruire la prima centrale nucleare del Kazakistan, con un progetto che dovrebbe essere deciso in un referendum quest’anno. Gli scambi bilaterali tra Parigi e Astana sono arrivati a 5,3 miliardi di euro nel 2022, principalmente negli idrocarburi.Nel dicembre 2015, l’Unione Europea e il Kazakistan hanno firmato un accordo di partenariato e cooperazione rafforzato (Epca). Entrato in vigore il primo marzo 2020, è il primo di questo tipo con un partner dell’Asia Centrale e ha permesso di rafforzare le relazioni tra i Ventisette e Astana. Il 7 novembre 2022, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Kazakistan, Alikhan Smailov, hanno firmato un memorandum d’intesa (MoU) sui partenariati strategici su materie prime sostenibili, batterie e catene di valore dell’idrogeno rinnovabile. Non solo. In quanto “hub per la connettività dei trasporti tra Oriente e Occidente“, la Repubblica kazaka è considerata da Bruxelles lo snodo fondamentale su cui investire nella regione dell’Asia Centrale attraverso il Global Gateway, la nuova strategia europea per promuovere collegamenti intelligenti, puliti e sicuri nei settori del digitale, dell’energia e dei trasporti e rafforzare i sistemi di salute, istruzione e ricerca in tutto il mondo.
    L’incontro si è concentrato principalmente sul tema delle materie prime essenziali per le tecnologie energetiche pulite, di cui la regione orientale è ricca. Dopo la prima tappa kazaka il viaggio del presidente francese in Asia Centrale prosegue in Uzbekistan

  • in

    Le transizioni dell’Ue sono una scommessa geopolitica

    Bruxelles – La trasformazione industriale dell’Europa dipende dal resto del mondo, in maniera sempre più rischiosa alla luce di turbolenze geopolitiche che stanno mettendo in discussione i rapporti con le potenze di cui l’Ue avrebbe bisogno. Russia e Cina, la scommessa dell’Unione europea passa per questi Paesi ricchi delle materie prime necessarie per le transizioni verde e sostenibile. Uno studio del Parlamento europeo, richiesto dalla commissione Industria, accende i riflettori su quella che è la parte più delicata dell’agenda di sostenibilità a dodici stelle. “La sfida della decarbonizzazione deve essere vinta in un contesto geopolitico in rapida evoluzione”. In questo scacchiere internazionale in trasformazione, “complessivamente, il principale Paese di dipendenza per le importazioni di gruppi merceologici, materie prime e componenti, necessari per la transizione verde e digitale è la Cina”. Con Pechino l’Ue ha conti che potrebbe pagare.
    Il documento sottolinea in particolare la ‘questione cinese’, e ricorda “le tensioni geopolitiche che circondano Taiwan, uno dei principali produttori di chip per computer, vitali per molte moderne tecnologie digitali e verdi”. In secondo luogo, ci sono “le preoccupazioni per il lavoro forzato nello Xinjiang, la provincia cinese che è il principale fornitore mondiale di pannelli solari e materie prime utilizzate per la loro produzione”. Per gli analisti “le considerazioni sulla resilienza delle catene di approvvigionamento nell’attuale contesto di tensioni geopolitiche sono fondamentali nella strategia dell’Ue per le materie prime essenziali”.
    L’Ue “dipende fortemente” dalla Cina “da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio”. Ha bisogno “sia per la produzione di magneti permanenti che per l’estrazione e la raffinazione di elementi delle terre rare (Ree) utilizzati nella loro produzione”. Ancora alla Cina ci si affida per le importazioni di batterie utilizzate per veicoli elettrici e accumulo di energia”.
    C’è poi la Russia. “Attualmente l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche: platino, palladio e titanio”. Questi sono materiali “indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno”. Un’altra materia prima che merita attenzione è il titanio, poiché l’UE ha un “forte” deficit commerciale complessivo di questo elemento, necessario per le celle a combustibile. “La Russia è tra i primi tre produttori mondiali di titanio e l’UE importa il 17% del suo titanio da questo paese. Inoltre, l’UE importa dalla Russia il 15% del suo platino, necessario per gli elettrolizzatori”.
    Il conflitto russo-ucraino ha ridisegnato anche le relazioni dell’Ue con Mosca, e ora le materie prime critiche necessarie per tutta la strategia europea vanno ricercate altrove. Il mercato del nichel offre più sbocchi. Nel mondo i principali produttori della materia prima sono Indonesia, Filippine, Russia, Nuova Caledonia (Francia), Australia, Russia, Cina, Canada, Brasile, Cuba, Guatemala, Stati Uniti, Colombia. Mentre le più grandi riserve si trovano in Indonesia, Australia, Brasile, Russia, Filippine, Sudafrica. Mentre per ciò che riguarda il cobalto, i principali produttori sono Repubblica democratica del Congo, Russia, Cuba, Australia, Cina, Filippine, Marocco e Papua Nuova Guinea. Quelli con le maggiori riserve sono Repubblica democratica del Congo, Australia, Filippine, Russia, Canada, Madagascar e Cina.
    L’Ue deve avviare una nuova stagione di relazioni con questi Paesi, sottolinea lo studio di lavoro del Parlamento. Per garantirsi un accesso alle materie prime necessarie alla transizione verde, l’Ue deve sapersi muovere. Il commercio non è la via da seguire, poiché “offre un margine limitato per aumentare la diversità dei fornitori europei, perché le tariffe sulle materie prime critiche sono già basse”, e questo “limita l’efficacia di questi accordi di libero scambio nell’incentivare una diversificazione dell’offerta”. Gli strumenti di politica non commerciale, come l’assistenza allo sviluppo e la cooperazione internazionale, appaiono come opzioni più efficaci”. Ben venga dunque l’accordo con il Giappone per lo sviluppo dell’idrogeno. Ma soprattutto, serve una politica vera, finora mancante, per le materie prime indispensabili.
    “Il passaggio dai veicoli con motore a combustione interna ai veicoli elettrici richiederà grandi quantità di materiali aggiuntivi come cobalto e litio per le batterie, elementi di terre rare per i motori elettrici e alluminio e molibdeno per la scocca”. Questo il preo-memoria contenuto nel documento, a ricordare che prodotti contenenti materie prime critiche sono “necessarie” per le transizioni verde e digitale, ma l’Ue manca di una politica di approvvigionamento. “Lo stoccaggio strategico di prodotti contenenti materie prime critiche è una politica comune negli Stati Uniti, in Giappone, Corea del Sud e Svizzera. Da questi esempi si possono trarre i principi per lo stoccaggio europeo”.
    La Commissione europea si è messa al lavoro producendo una strategia per le materie prime critiche, consapevole della posta in gioco. “Dobbiamo evitare di ridiventare dipendenti, come abbiamo fatto con il petrolio e il gas”, ha ammesso il commissario per l’Industria, Thierry Breton. A oggi l’Ue soffre questa situazione, e con lei anche le sue ambizioni di trasformazione verde e digitale. L’idea di un fondo per la sovranità industriale si colloca in questo solco.

    Uno studio richiesto dalla commissione Industria del Parlamento europeo ricorda come per agenda verde e digitale l’Europa non abbia le materie prime critiche di cui ha bisogno. Servirà cooperazione a tutto campo

  • in

    Alla Cop27 von der Leyen guarda al “Sud del mondo”, è iniziata la corsa Ue all’approvvigionamento di materie prime e idrogeno

    Bruxelles – Materie prime per costruire tecnologie chiave per la transizione e idrogeno verde per attuarla. L’Unione europea è in “missione” alla Cop27 di Sharm el-Sheikh – la 27esima edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima – per alzare le ambizioni globali sul clima e sulla riduzione delle emissioni, ma non solo. E’ iniziata la corsa dell’Unione europea ad accaparrarsi materie prime e altri materiali raffinati indispensabili per attuare la transizione verde del Green Deal, stipulando a margine dei lavori ‘ufficiali’ partnership con i Paesi in via di sviluppo sull’idrogeno e sulle tecnologie pulite.
    Nelle prime due giornate di Summit dei leader Bruxelles ha già siglato due memorandum d’intesa, prima con il Kazakistan (nella giornata di ieri) e oggi con la Namibia su materie prime, idrogeno rinnovabile e batterie, in attesa di un terzo partenariato con l’Egitto che seguirà in queste ore. Asia e Africa, che l’Unione europea ritiene continenti strategici per rafforzare la sua strategia sulle materie prime e affrancarsi dalla dipendenza dalla Russia e dalla Cina per la produzione di tecnologie pulite e idrogeno rinnovabile.“Il Sud del mondo ha risorse in abbondanza ma è necessario fare squadra, ed è per questo che l’Unione europea sta firmando nuovi partenariati per l’idrogeno con Egitto, Namibia e Kazakistan e sostiene partner come il Vietnam e il Sudafrica nella decarbonizzazione delle loro economie”, ha rivendicato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di oggi (8 novembre) al Summit dei leader della Cop27.

    The climate is changing faster than our capacity to adapt.
    Let us not take the highway to hell, but earn our clean ticket to heaven!#REPowerEU
    Let’s do this together. #GlobalGateway@antonioguterres https://t.co/KuKXslaueg
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 8, 2022

    La crisi dell’energia dettata in parte dalla dipendenza dell’Unione europea dalla Russia in termini di risorse energetiche ha aperto alla riflessione sulla necessità di non ripetere lo stesso errore anche per quanto riguarda le materie prime considerate critiche. Materie come il litio e il cobalto servono a produrre batterie e motori elettrici e le materie critiche a costruire le turbine eoliche (con magneti in terre rare) e i semiconduttori (polisilicio) su cui nel primo trimestre del 2023 presenterà una proposta legislativa. Oltre alle materie prime critiche l’Europa guarda soprattutto all’idrogeno ‘verde’ per la decarbonizzazione dei settori industriali difficili da decarbonizzare, come il siderurgico. E guarda soprattutto al Sud del mondo che “ha risorse in abbondanza, ma dobbiamo fare squadra”, ha avvertito. Il Sud del mondo ha risorse ma manca di finanziamenti, il Nord ha i finanziamenti ma non le risorse e quindi serve stabilire un patto di reciproca convenienza.
    La crisi dell’energia e dei prezzi trainata dalla guerra di Russia in Ucraina per von der Leyen deve essere “un punto di svolta” nella lotta ai cambiamenti climatici.  Fare meglio e farlo più in fretta. “La crisi globale dei combustibili fossili deve cambiare le carte in tavola”, ha avvertito la presidente della Commissione europea, raccogliendo l’appello di ieri del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a “non prendere l’autostrada per l’inferno, ma guadagnamoci un biglietto pulito per il paradiso”. Dal canto suo, l’Unione europea – che conta ‘appena’ l’8% delle emissioni su scala globale – sta già mantenendo la rotta tracciata per la neutralità climatica al 2050, attraverso l’attuazione del pacchetto legislativo ‘Fit for 55’, presentato a luglio 2021 con l’idea di abbattere le emissioni di gas serra del 55% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030, come tappa intermedia per il target ‘zero emissioni’ entro metà secolo.
    La leader tedesca ha rivendicato che l’Ue “sta mettendo in atto il quadro legislativo più ambizioso al mondo”, insistendo affinché tutti “i principali emettitori aumentino le proprie ambizioni” e facciano altrettanto. Non li cita direttamente, ma il riferimento è soprattutto alla Cina, gli Stati Uniti e l’India, che rispettivamente rappresentano il 28% delle emissioni globali di gas serra, il 14% e il 7%. Se prima della fine del secolo scorso la maggior parte delle emissioni veniva prodotta da Stati Uniti e Europa, oggi le cose stanno cambiando e si assiste a un aumento significativo delle emissioni prodotte in altre parti del mondo, come Asia e soprattutto Cina. Non c’è dubbio che questa crisi abbia rafforzato ulteriormente la determinazione dell’Unione europea a lottare contro il cambiamento climatico. “Siamo e resteremo leader dell’azione per il clima, siamo determinati ad accelerare, siamo determinati a proteggere l’ambiente”, ha sottolineato anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ribadendo che la Russia ha scelto di usare l’energia come arma di destabilizzazione di massa, “direttamente sull’Europa e sui mercati energetici mondiali, e allo stesso modo il Cremlino ha scelto di usare prodotti alimentari e fertilizzanti”.
    Per l’Europa la risposta ai cambiamenti climatici e alla dipendenza energetica dalla Russia si chiama ‘REPowerEU’, il piano da potenziali 300 miliardi di euro varato a maggio per affrancare l’Unione europea combustibili fossili importati da Mosca. Un piano per l’indipendenza energetica che dovrebbe passare anche dallo “sviluppo massiccio delle energie rinnovabili”, ha sottolineato von der Leyen. Secondo le indicazioni della presidente dell’esecutivo comunitario, la capacità rinnovabile aggiuntiva dell’UE è destinata a più che raddoppiare quest’anno, fino a 50 Gigawatt, con la prospettiva di stabilire il prossimo anno un nuovo record assoluto di oltre 100 GW, se pure a condizione di produrne di più.

    Bruxelles sigla a margine della Cop27 due memorandum di intesa con Kazakistan e Namibia su materie prime, idrogeno rinnovabile e batterie e von der Leyen rilancia la necessità di guardare al Sud del mondo ricco in risorse ma povero di finanziamenti

  • in

    I Ventisette lanciano la sfida alla Cina. “Riequilibrio dei rapporti” e indipendenza sulle materie prime critiche

    Bruxelles – Nessuna conclusione scritta, appena una riga sul documento conclusivo del Consiglio Ue, ma una conferenza stampa post-vertice dei leader Ue monopolizzata dalla questione del rapporto tra l’Unione Europea e la Cina, oggi e sul medio/lungo periodo. Nessuna sorpresa in realtà, perché già alla vigilia del Consiglio era nota la volontà dei 27 capi di Stato e di governo dell’Ue di volersi sganciare dalla formalità di un testo ufficiale per avere la maggiore libertà possibile di confronto sul ruolo che riveste Pechino come “partner, competitor e rivale”, come l’hanno definito fonti europee dopo la rielezione di Xi Jinping alla presidenza della Repubblica Popolare Cinese.
    Il punto nevralgico del confronto di oggi (venerdì 21 ottobre) tra i leader Ue sulla Cina ha riguardato il rapporto di dipendenza che al momento il continente europeo rischia di correre sul piano dello sviluppo delle tecnologie e dell’approvvigionamento delle materie prime critiche. “Dobbiamo ricordarci la lezione appresa con la dipendenza energetica dalla Russia”, ha avvertito la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, parlando con la stampa al termine del vertice e richiamandosi all’allarme già lanciato al Tallinn Digital Forum dello scorso 10 ottobre. Tutti i Paesi membri dell’Unione devono “diversificare le forniture materie prime, facendo affidamento su partner affidabili“, mentre è compito di Bruxelles sviluppare legislazioni e strategie comunitarie: “È per questo che abbiamo presentato l’European Chips Act e faremo lo stesso con l’Atto sulle materie prime critiche“, ha assicurato von der Leyen.
    Anche il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, si è richiamato alla strategia Ue che prevede il raddoppio della quota di mercato entro il 2030 e 43 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati nella catena di approvvigionamento dei semiconduttori: “Il dibattito sulla Cina si è ricollegato al tema dell’indipendenza tecnologica, l’European Chips Act servirà a proiettarci nel futuro della tecnologia“. Per Bruxelles il rischio riguarda strettamente le transizioni gemelle digitale e verde, con un impatto diretto sul Green Deal Europeo: tutte le infrastrutture per le rinnovabili hanno bisogno di materie prime critiche e terre rare, e si prevede un aumento della richiesta in Europa di cinque volte entro la fine del decennio. La Cina “domina il mercato” e per la presidente della Commissione la ricetta per “non commettere gli stessi errori energetici con la Russia” è quella di “sviluppare partenariati sugli scambi di materie prime con altri partner affidabili“, dall’Africa all’America Latina e il resto dell’Asia.
    La necessità di “riequilibrare i rapporti” con la Cina passa anche dallo sviluppo di una maggiore consapevolezza dell’Unione sulle priorità nei confronti dei partner: “Dobbiamo interfacciarci con la Cina sui temi globali, a partire dal cambiamento climatico“, ha messo in chiaro il numero uno del Consiglio Michel, chiedendo ai Ventisette di “parlare in modo chiaro, il dibattito di questa mattina è voluto andare oltre l’ingenuità, utilizzando una logica di confronto sistematico” con Pechino. All’orizzonte c’è la riunione Ue-Asean del 13 dicembre a Bruxelles, in cui si confronteranno due sistemi “oggettivamente diversi, uno Stato con partito unico che si relaziona a un sistema democratico, i cui elementi centrali sono la libertà e i diritti fondamentali”, ha voluto ribadire il presidente Michel, lanciando la sfida al partner e rivale cinese.

    Le discussioni tra i leader Ue al Consiglio Europeo (non incluse nelle conclusioni scritte) si sono concentrate sul rapporto nel breve e medio periodo con quello che viene visto come un “partner, competitor e rivale”. All’orizzonte c’è il vertice con l’Asean del 13 dicembre a Bruxelles

  • in

    L’UE punta all’Artico: transizione verde, libertà di navigazione e materie prime

    Bruxelles – La Commissione europea ha pubblicato una comunicazione congiunta per indirizzare l’azione dell’Unione nella regione dell’Artico. Il documento, dal titolo Un coinvolgimento maggiore dell’UE per un Artico pacifico, sostenibile e prospero, analizza gli interessi dei Paesi membri nel teatro polare e getta le basi per rispondere alle sfide incipienti.
    L’impegno dell’UE per un Artico verde
    La regione negli ultimi anni ha visto sia l’aumento della competizione geopolitica tra grandi potenze che gli effetti più drastici del riscaldamento globale. Come ha ricordato il Commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevičius “la regione dell’Artico si sta scaldando tre volte più velocemente del resto del pianeta”.
    Un fenomeno che influisce sull’andamento globale del clima e minaccia la corrente del Golfo, con effetti potenzialmente disastrosi per tutti i Paesi del Nord Atlantico. Gli indirizzi della Commissione muovono proprio dall’aspetto climatico. Diminuire le emissioni e porre un freno all’estrazione di gas e petrolio è una necessità impellente per la salute del Pianeta e degli abitanti della regione. Come ha ricordato sempre Sinkevičius, sono centinaia di migliaia gli Europei che vivono nelle vicinanza del Polo e di otto Stati considerati pienamente artici ben tre fanno parte dell’Unione europea (Svezia, Danimarca, Finlandia).
    A completare l’impegno ecologico dell’Unione sarà il progetto per la riduzione delle microplastiche (30 per cento entro il 2030) e il contrasto alla pesca smodata, che minaccia di intaccare i ricchi bacini ittici del Polo.
    Salvare l’approccio cooperativo nell’Artico
    Le relazioni tra potenze nell’Artico sono tradizionalmente contraddistinte da un maggiore grado di cooperazione rispetto al resto dei teatri “caldi”. La Commissione intende impegnarsi perché questa tendenza sopravviva all’inasprirsi delle condizioni del sistema internazionale. Di qui la preoccupazione per i tentativi di cinesi di installarsi nell’area e per l’intesa militarizzazione condotta dalla Federazione Russa.
    Il documento promuove la cooperazione multilaterale nell’Artico, con il potenziamento di strumenti come la Northern Dimension, l’accordo per lo sviluppo logistico e la tutela degli abitanti dei Poli tra UE, Russia, Norvegia e Islanda. I partenariati per la ricerca scientifica, numerosi da sempre trai ghiacci anche con potenze che altrove sono “ostili”, vengono individuati come vettore privilegiato della cooperazione.
    La comunicazione precisa che il partner principale per la sicurezza resta la NATO e che la cooperazione deve sempre essere orientata al rispetto della convenzione UNCLOS sul diritto del mare, dunque sul riconoscimento delle zone economiche esclusive e della sovranità degli spazi marittimi. Per aumentare il proprio coinvolgimento e monitorare la situazione la Commissione ha promesso di stabilire il suo primo ufficio in Groenlandia, presso la citta di Nuuk.
    Di particolare rilevanza geopolitica è la volontà di avviare un piano sostenibile di sfruttamento delle materie prime di cui la regione è ricca. Nello specifico la comunicazione fa riferimento alle terre rare (RE) e alla necessità di assicurare un approvvigionamento che non dipenda da “uno o pochi Paesi fornitori”, con esplicito riferimento alla Repubblica popolare cinese, da cui l’UE acquista il 98% delle RE.

    La Commissione europea ha rilasciato una comunicazione congiunta a Parlamento e Consiglio per indirizzare l’azione comunitaria nell’Artico. Insieme alla promozione di un approccio competitivo con le altre potenze, la Commissione vuole portare avanti le battaglie per la libertà di navigazione, lo scioglimento dei ghiacciai e l’inquinamento

  • in

    Carburante, cibo e costruzioni: la crisi di approvvigionamenti del Regno Unito nel dopo Brexit

    Bruxelles – La BP plc, società britannica leader del settore energetico, ha annunciato la chiusura temporanea di più di un terzo dei suoi punti di distribuzione di benzina per esaurimento delle scorte. A partire da domenica, milioni di cittadini del Regno Unito si sono recati a fare scorte di carburante in seguito all’annuncio del governo della sospensione delle leggi sulla competitività del mercato, temendo un rapido aumento dei prezzi.
    Ma il carburante non è l’unico cruccio del governo britannico. Molti supermercati rischiano di rimanere sprovvisti di prodotti caseari e carne. Anche le materie del settore edilizio scarseggiano, a partire da legname e cemento. A completare il quadro le prospettive di un Natale senza giocattoli. Una tempesta perfetta dovuta alla congiuntura di elementi nazionali e globali.
    Nel Regno Unito non è finito il carburante, ma chi lo trasporta
    Come ribadito dal primo ministro Boris Johnson, la crisi del carburante ha poco a che vedere con l’esaurimento delle riserve nazionali. Il problema è il trasporto dalle raffinerie ai siti di distribuzione. La crisi, quella vera, è quella del trasporto su gomma.
    L’entrata in vigore di Brexit, dunque l’uscita del Regno Unito dal mercato unico europeo, ha complicato enormemente (e reso più costose) le procedure doganali per i guidatori di camion. Al contempo molti dei camionisti residenti nel Paese sono stati costretti a trasferirsi in altri Paesi, o lo hanno scelto perché attratti da migliori prospettive economiche.
    A spingere i lavoratori del trasporto fuori dall’Isola britannica è stato anche il COVID. Molti di quelli con cittadinanza straniera sono tornati in patria durante i primi tempi della pandemia, spesso senza tornare. Le procedure di quarantena e l’isolamento in seguito a contatti con positivi hanno fatto il resto – problemi che si riscontrano anche in altri Stati europei. Si stima che oggi il settore sia sotto organico di almeno 100.000 lavoratori.
    Il governo Johnson ha proposto di utilizzare l’esercito per sopperire alla mancanza di mano d’opera. Al momento i militari sono in stato di allerta, ma non sono ancora stati impiegati. Contemporaneamente è stata avviata la procedura per la facilitazione dei visti di lavoro per i guidatori di camion. Specie la seconda misura è stata criticata perché sottodimensionata: Londra vuole concedere appena 5000 visti (temporanei), il cinque per cento della richiesta effettiva.
    Un Natale senza latte e carne?
    Le crisi del trasporto ha colpito anche l’approvvigionamento alimentare. Anche in questo caso i prodotti più colpiti – latticini e carne – non si stanno esaurendo, ma manca il tramite che li porti dal produttore ai luoghi di acquisto, oltre che la forza lavoro. Sia il settore caseario che dell’allevamento del Regno impiegano tradizionalmente mano d’opera immigrata.
    Le peculiarità dei prodotti in questione complicano la crisi. I derivati del latte devono essere consumati in breve tempo per evitare che vadano a male. Discorso simile, anche se meno drastico, vale per la carne. La paura di trovarsi senza cibo per le feste natalizia potrebbe dare il via ad acquisti compulsivi da parte dei consumatori, che esaurirebbero le scorte dei supermercati in ancora meno tempo.
    Nel Regno Unito non manca solo il carburante: la crisi di giocattoli, macchine e edilizia
    A pesare sugli altri prodotti che rischiano lo “shortage” è soprattutto il contraccolpo della pandemia. Il settore dei microchip soffre da inizio 2020 di scarsità cronica di materia prima, difficoltà di esportazione e tensioni geopolitiche trai principali attori del settore.
    La scarsità dei wafer di silicio, insieme alla spinta alla digitalizzazione, ha portato i produttori a investire nel settore elettronico, lasciando a secco i produttori di macchine. Il rischio è di un circolo vizioso: il mercato dell’auto si indebolisce e per i produttori di microchip diventa sempre meno conveniente fare da fornitori per l’automotive. Nel Regno Unito sono già iniziate a diminuire le nuove vetture messe in vendita, con conseguente aumento dei prezzi delle auto di seconda mano.
    Anche il comparto dei giocattoli sconta la crisi del trasporto globale. In questo caso sono le spedizioni via mare a essere determinanti per rifornire il Regno Unito dei giochi per bambini – circa il 70% della produzione proviene dalla Cina e dal sud est asiatico. Oggi in Asia mancano container e le procedure sanitarie aumentano enormemente i tempi morti delle navi prima dell’ingresso nei porti. Il risultato è che i costi di spedizione sono aumentati fino a dieci volte.
    Non si salvano i materiali dell’industria edilizia. La crisi delle catene di approvvigionamento e l’uscita dal mercato unico hanno determinato un aumento dei prezzi ancora maggiore che nel resto del Continente. I prezzi delle costruzioni sono saliti di circa il 20% e il razionamento dei materiali ha portato a ritardi sull’arrivo delle commesse nell’ordine di 5-6 mesi.

    L’uscita del Regno Unito dal mercato unico europeo ha complicato enormemente (e reso più costose) le procedure doganali per i guidatori di camion, e tanti se ne sono andati per via del COVID