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    Cos’è la Grande Muraglia Verde contro i cambiamenti climatici in Africa che l’UE finanzierà con il Global Gateway

    Bruxelles – Oltre 8 mila chilometri che attraversano da ovest a est il continente africano, dal Senegal a Gibuti, passando da altri 18 Paesi delle regioni del Sahara, del Sahel e del Corno d’Africa: una Grande Muraglia Verde contro la desertificazione, gli effetti dei cambiamenti climatici e l’insicurezza alimentare. L’Unione Europea sostiene dal primo giorno l’iniziativa per affrontare le più urgenti minacce che incombono in Africa – siccità, carestie, conflitti, migrazioni – e ora, attraverso la sua strategia globale per lo sviluppo di infrastrutture e interconnesioni sostenibili, è pronta a porre “un altro mattone nel muro verde” con finanziamenti e sostegno economico.
    Il progetto approvato dalla Conferenza dei capi di Stato e di governo della Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara nel giugno del 2005 in Burkina Faso e nato ufficialmente due anni più tardi si pone l’obiettivo di attraversare per il verso della larghezza l’intero continente africano, da ovest a est, ripristinando 100 milioni di ettari di terreno degradato, sequestrando 250 milioni di tonnellate di carbonio dai terreni e creando 10 milioni di posti di lavoro verdi nelle aree rurali entro la fine del decennio. Una volta completata, la Grande Muraglia Verde sarà “la più grande struttura vivente del pianeta, tre volte più grande della Grande Barriera Corallina”, come si legge nella presentazione del progetto guidato dall’Unione Africana.
    Nel suo sforzo di combattere cambiamenti climatici e desertificazione, la Grande Muraglia Verde contribuirà direttamente anche agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) 2030 delle Nazioni Unite. A 15 anni dal via libera, è stato completato circa il 15 per cento del progetto, con risultati tangibili almeno in 11 Paesi che hanno aderito, dalla Mauritania all’Etiopia, dal Mali al Sudan, passando dalla Nigeria, il Chad, il Niger e l’Eritrea. La barriera verde svolgerà anche un ruolo cruciale nel garantire al continente africano la sicurezza alimentare messa ancora più a rischio dal blocco russo delle esportazioni di cereali dall’Ucraina, e su questo punto l’Unione Europea è toccata direttamente.
    Oltre a mobilitare 600 milioni di euro per rafforzare la produzione locale nei Paesi vulnerabili, in aggiunta al pacchetto già annunciato di 3 miliardi di euro per la sicurezza alimentare globale, la Commissione UE è pronta a mobilitare la sua strategia per le infrastrutture sostenibili Global Gateway per alzare il “baluardo contro l’insicurezza alimentare e il cambiamento climatico”. Lo ha messo in chiaro la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di apertura delle Giornate europee dello sviluppo 2022 questa mattina (21 giugno). Spiegando che Bruxelles “aiuterà a completare il progetto di milioni di ettari per un’alimentazione sostenibile nel continente”, la leader della Commissione ha sottolineato con forza che “la soluzione sul medio e lungo termine è la produzione e la resilienza in loco”. Sul breve termine, invece, l’Unione “sta lavorando duro con l’Ucraina per garantire le esportazioni di grano e con i Paesi più vulnerabili nel mondo per combattere la crisi alimentare” determinata dall’attacco del Cremlino “contro la produzione agricola e il commercio di cereali” dai porti nel Mar Nero, “che sta causando l’insicurezza alimentare soprattutto in Africa”.

    Il progetto guidato dall’Unione Africana punta a creare una barriera naturale di 8 mila chilometri contro la desertificazione e per garantire la sicurezza alimentare nella regioni del Sahara e del Sahel. L’UE metterà “un altro mattone nel muro verde” con la sua strategia globale

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    L’UE cerca una risposta coordinata alla crisi alimentare globale: “Usare fame come arma è crimine contro umanità”

    Bruxelles – “Un crimine contro l’umanità”. Non usa giri di parole l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, parlando dell’utilizzo da parte del Cremlino della “fame globale come arma” politica e bellica per vincere la guerra in Ucraina. A margine di un Consiglio Affari Esteri che ha avuto come punto centrale in agenda la questione dell’insicurezza alimentare determinata dall’aggressione militare russa contro Kiev, l’alto rappresentante Borrell ha avvertito Mosca che “sarà ritenuta responsabile” di tale crimine: “Non è immaginabile che milioni di tonnellate di grano rimangano bloccate, mentre nel resto del mondo le persone muoiono di fame”.
    Ma i Ventisette non rimangono a guardare e durante il Consiglio Affari Esteri hanno delineato una strategia in quattro azioni per contrastare l’insicurezza alimentare globale, una sfida “senza precedenti” che rappresenta una delle molteplici conseguenze “disastrose” dell’invasione militare russa dell’Ucraina: una guerra che parte dal blocco del grano nei porti del Mar Nero e arriva in tutto il mondo, in particolare nelle regioni più a rischio di carestie e crisi alimentari. La risposta coordinata a livello Team Europe partirà dal fornire “solidarietà attraverso gli aiuti di emergenza e il sostegno all’accessibilità economica” per i Paesi più vulnerabili e sarà accompagnata dalla promozione della “produzione sostenibile, la resilienza e la trasformazione del sistema alimentare” in loco. Di cruciale importanza è anche la facilitazione degli scambi commerciali, “aiutando l’Ucraina a esportare prodotti agricoli attraverso diverse rotte e sostenendo il commercio globale”, oltre al “multilateralismo efficace” a sostegno del Gruppo di risposta alle crisi delle Nazioni Unite, “per coordinare gli sforzi globali”.
    A livello UE si tenta così di percorrere una strada “reattiva, responsabile e affidabile” a sostegno dei partner colpiti dalla drastica riduzione di esportazioni di grano e cereali dall’Ucraina. La risposta della squadra europea contrasta un’insicurezza alimentare la cui responsabilità è tutta del Cremlino: “Le truppe russe bombardano e occupano i terreni coltivabili dell’Ucraina, distruggendo aziende agricole, strutture di stoccaggio e di lavorazione degli alimenti, attrezzature e infrastrutture di trasporto”, si legge nelle conclusioni del Consiglio. I 27 ministri UE hanno ricordato che “non ci sono sanzioni sulle esportazioni russe di prodotti alimentari“, dal momento in cui le misure restrittive sono state “specificamente concepite” per non colpire i prodotti alimentari e agricoli: “Non vietano l’importazione, il trasporto, il pagamento o la fornitura di sementi” da parte di Paesi terzi, “ma si limitano a colpire le persone e le entità sanzionate”, è la precisazione contenuta nel documento.
    Al netto delle preoccupazioni e degli attacchi frontali contro il Cremlino, l’alto rappresentante UE Borrell si è detto “sicuro” che “alla fine le Nazioni Unite riusciranno a trovare un accordo per sbloccare il grano in Ucraina“. Mentre ai governi dell’Unione Africana è stata inviata “una lettera per spiegare nel dettaglio cosa è permesso fare e cosa no secondo il regime di sanzioni internazionali”, il rischio di “una grande carestia nel mondo, soprattutto nel continente africano” è stato sottolineato con preoccupazione anche dalla ministra degli Esteri francese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Catherine Colonna: “Esortiamo la Russia a smettere di giocare con la fame del mondo e a cessare il blocco dei porti ucraini”, ha affermato a margine del Consiglio.

    Al Consiglio Affari Esteri i Ventisette hanno delineato una strategia in quattro azioni per contrastare il rischio di carestie nei Paesi più vulnerabili. L’alto rappresentante Borrell attacca il Cremlino: “Milioni di tonnellate di grano non rimangano bloccate, mentre le persone muoiono”

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    Dall’UE aiuti per 20 milioni di euro al Libano, colpito dalla guerra in Ucraina

    Bruxelles – La Commissione Europea ha annunciato l’invio di aiuti umanitari per un valore complessivo di 20 milioni di euro al Libano, già in crisi economico-finanziaria, politica, sociale e oggi colpito da un ulteriore aumento dei prezzi causato dalla guerra in Ucraina. Lo Stato medio-orientale importa il 96 per cento delle sue scorte di grano da Kiev e da Mosca.
    Dal default finanziario dichiarato nel marzo 2020, l’80 per cento della popolazione del Paese dei Cedri si trova sotto la soglia di povertà, pari, secondo le Nazioni Unite, a meno di 1,90 dollari al giorno (1,73 euro). Tra dicembre 2019 e ottobre 2021, il tasso di inflazione ha raggiunto in Libano il 519 per cento, con picchi del 1.874 per cento nei prezzi del cibo e delle bevande.
    Questa situazione, già difficile, si è aggravata con il COVID-19 prima e con l’esplosione al porto della capitale, Beirut, nell’agosto 2020. Tra i danni dell’esplosione al Paese, materiali e psicologici, anche la diminuzione di magazzini per lo stoccaggio del grano. I silos, distrutti dallo scoppio nel porto, potevano immagazzinare fino a 120mila tonnellate di grano, pari a tre mesi di consumi.
    Gli aiuti verranno utilizzati per contrastare l’insicurezza alimentare, ma anche per garantire l’accesso alle cure delle fasce di popolazione più a rischio. La distribuzione avverrà, come già per le risorse europee inviate nel Paese – 742 milioni di euro dal 2011 – tramite le agenzie dell’ONU, le ONG e altre organizzazioni internazionali che operano sul territorio.
    “Negli ultimi due anni, le crisi politiche, economiche e finanziarie hanno messo milioni di persone in Libano nel bisogno di assistenza”, ha dichiarato la commissaria per la Gestione delle crisi Janez Lenarčič. “Il Covid-19 e l’esplosione al porto di Beirut hanno aggravato le sofferenze sia dei libanesi più fragili, che dei rifugiati siriani”, ha continuato la commissaria. “Ora, le persone sono messe alla prova dall’impatto globale che l’invasione russa ha avuto sul cibo e i combustibili. L’UE è con il popolo libanese e le comunità di rifugiati nel momento del bisogno”.
    Secondo le stime delle Nazioni Unite, sarebbero circa 2,5 milioni le persone ad aver bisogno all’interno del Paese. Di questi, 2,2 milioni sono cittadini libanesi, 208mila rifugiati palestinesi e 78mila migranti. A questi si aggiungono 1,5 milioni di rifugiati siriani.

    Il Paese dei Cedri importa il 96 per cento delle sue scorte di grano da Kiev e da Mosca