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    L’indipendente Oğan appoggia Erdoğan al ballottaggio. In Turchia è sempre più probabile la rielezione del sultano

    Bruxelles – Le speranze dell’opposizione in Turchia di estromettere dal potere il presidente in carica, Recep Tayyip Erdoğan, sono appese a un filo sempre più sottile. Perché il terzo candidato sconfitto al primo turno delle presidenziali, l’indipendente Sinan Oğan, ha reso finalmente nota la propria indicazione di voto ai sostenitori in vista del ballottaggio del prossimo 28 maggio. E il sostegno non è andato a chi avrebbe avuto più bisogno di quei 5,2 punti percentuali per insidiare da vicino l’uomo forte di Ankara e riaprire la partita elettorale, ovvero lo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu. “Chiedo ai miei elettori di appoggiare Erdoğan“, ha annunciato il leader ultra-nazionalista in una conferenza stampa convocata nel tardo pomeriggio di ieri (22 maggio), in cui ha messo in chiaro che il presidente in carica è il candidato che potrà dare più stabilità al Paese.
    Il candidato indipendente sconfitto al primo turno delle elezioni presidenziali in Turchia, Sinan Oğan (credits: Adem Altan / Afp)
    In verità l’annuncio non ha sorpreso gli analisti, considerato il fatto che il partito da cui Oğan proviene, il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), farà parte della nuova maggioranza di 323 deputati che in Parlamento sosterrà l’esecutivo a trazione Akp (il Partito della Giustizia e dello Sviluppo del presidente Erdoğan). L’Alleanza Ata che ha sostenuto Oğan – formata da piccoli partiti di destra nazionalista e ultranazionalista – si è già sciolta, ma sembra verosimile che i quasi tre milioni di elettori del primo turno seguiranno le indicazioni dell’ormai ex-candidato comune. Ad accomunarli ci sono gli stessi sentimenti di odio sia nei confronti delle persone migranti arrivate dalla Siria, sia nei confronti della minoranza curda, che hanno fatto propendere la scelta del candidato sconfitto al primo turno più per Erdoğan che per Kılıçdaroğlu.
    Nei giorni successivi al voto del 14 maggio il candidato estromesso dalla corsa a due di domenica prossima ha incontrato il presidente in carica che, secondo quanto riportato in conferenza stampa, condivide la sua visione di “prendere tutte le misure per rimpatriare i migranti” nel più breve tempo possibile. Buona parte della campagna elettorale è stata giocata proprio sul tema della gestione degli oltre tre milioni di cittadini siriani rifugiati in Turchia dopo lo scoppio della guerra civile del 2011. Erdoğan ha promesso che incoraggerà il rimpatrio di almeno un milione di persone e negli ultimi giorni Kılıçdaroğlu l’ha seguito su questa strada di consenso elettorale, nella speranza di strappare voti al leader dell’Akp su questo tema, ma non è sembrato sufficientemente credibile agli occhi dei nazionalisti. Un’altra questione di non poco conto è quella delle accuse dell’ex-Alleanza Ata alla cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ – il patto tra sei partiti di opposizione per esprimere un candidato comune – di sostenere il movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), a causa del sostegno dal Partito della Sinistra Verde (Ysp), di orientamento filo-curdo.
    Il primo turno delle elezioni in Turchia
    Da sinistra: il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Al primo turno delle elezioni presidenziali in Turchia la presenza Oğan è stata decisiva per portare gli elettori di nuovo alle urne per il ballottaggio tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu. Dopo un recupero quasi clamoroso rispetto ai sondaggi elettorali, il presidente in carica è andato molto vicino a farsi eleggere già il 14 maggio, conquistando il 49,5 per cento delle preferenze, mentre lo sfidante dell’opposizione si è fermato al 44,89, ben sotto le aspettative. Il candidato dell’Alleanza Ata ha incassato un 5,17 per cento, che ha significato diventare l’ago della bilancia per il secondo turno, mentre lo 0,43 è andato al candidato del Partito della Patria Muharrem İnce, il cui nome è rimasto sulle schede nonostante il ritiro dalla corsa elettorale a due giorni dall’appuntamento elettorale.
    Da Bruxelles i leader delle istituzioni comunitarie non si sono esposti – dopo aver chiesto trasparenza e incisività alle elezioni – sottolineando più il successo della tornata elettorale in termini di affluenza (attorno al 90 per cento). “È molto importante sottolineare il processo democratico, ora dobbiamo aspettare il risultato del secondo turno”, è stato il commento post-voto del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. A fargli eco la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “La Turchia è un partner importante, abbiamo visto un’affluenza enorme a queste elezioni e questa è davvero un’ottima notizia, perché è un segno che i cittadini turchi danno valore alle istituzioni democratiche”.

    Il candidato ultra-nazionalista sconfitto al primo turno delle elezioni presidenziali ha sciolto le riserve, chiedendo ai sostenitori di votare il presidente in carica. Ridotte al minimo le possibilità dell’opposizione unita guidata da Kemal Kılıçdaroğlu di raggiungere la maggioranza assoluta

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    La Turchia andrà al ballottaggio. Erdoğan non supera il 49,3 per cento e rischia la rimonta dello sfidante Kılıçdaroğlu

    Bruxelles – L’appuntamento con la storia per la Turchia è rimandato di un altro paio di settimane. Il primo turno delle elezioni presidenziali non ha consegnato un vincitore e il prossimo 28 maggio gli elettori saranno chiamati a tornare alle urne per scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Il ballottaggio sarà tra il leader in carica, Recep Tayyip Erdoğan, e il candidato dell’opposizione unita, l’economista Kemal Kılıçdaroğlu.
    Sostenitori del presidente Recep Tayyip Erdoğan ad Ankara (credits: Adem Altan / Afp)
    Come da previsioni al primo turno di ieri (14 maggio) si è confermato lo scenario più verosimile, ovvero un testa a testa tra i due candidati più forti ma senza che nessuno dei due sia riuscito a superare la soglia del 50 per cento dei voti necessari per farsi eleggere già presidente. Erdoğan in realtà ci è andato molto vicino, fermandosi al 49,37 per cento delle preferenze, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Anadolu. Sotto le aspettative Kılıçdaroğlu, che ha visto il proprio margine di scarto sul presidente in carica erodersi nelle ultime settimane e al primo turno ha incassato il 44,99 per cento dei voti degli elettori. Il restante 5,64 per cento è andato al candidato del Partito della Patria Muharrem İnce (0,43) – il cui nome, nonostante il ritiro di venerdì scorso (11 maggio) dalla corsa elettorale, è rimasto sulle schede – e all’indipendente Sinan Oğan sostenuto dall’Alleanza Ata (5,21). Mancano però ancora i voti dei residenti all’estero, sui quali c’è molta incertezza e sui quali Erdoğan ancora riserva qualche speranza.
    Al secondo turno del 28 maggio sarà decisivo l’indirizzo dei voti di chi ha sostenuto Oğan – che si è riservato qualche giorno per prendere una decisione sul sostegno a uno dei due candidati – ma non è da escludere che il testa a testa tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu spinga gli elettori incerti a fare una scelta di campo che rispecchi un giudizio sul presidente in carica e la richiesta di rinnovamento  in Turchia: “Erdoğan non ha ottenuto il voto di fiducia del popolo, il desiderio di cambiamento nella società è superiore al 50 per cento“, ha rivendicato in un discorso pre-voto lo sfidante dell’opposizione.
    Manifesti elettorali di Recep Tayyip Erdoğan (a sinistra) e di Kemal Kılıçdaroğlu (a destra) in occasione delle elezioni presidenziali in Turchia (credits: Ozan Kose / Afp)
    Se è vero che il leader conservatore nel 2018 aveva vinto al primo turno con il 52,6 per cento dei voti, è innegabile che nelle ultime settimane abbia recuperato in modo consistente rispetto ai sondaggi che lo davano attorno al 45 per cento, staccato di 10 punti dallo sfidante. A giocare a favore del presidente della Turchia è stata la tenuta nelle roccaforti nel sud del Paese colpite dal terremoto dello scorso 6 febbraio: nonostante le previsioni di un calo dei consensi a causa della gestione quantomeno discutibile delle conseguenze del sisma e per la rete clientelare e di corruzione che ha portato al collasso di intere città, alla fine Erdoğan si è assicurato ovunque il 60 per cento (o più) dei voti.
    Parallelamente alle presidenziali in Turchia si sono svolte anche le elezioni parlamentari. I conservatori del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) di Erdoğan hanno raccolto sì il maggior numero di voti (35 per cento), ma sono molto distanti dal risultato del loro leader. Nel nuovo Parlamento perderanno 28 seggi (267 su 600) rispetto alla legislatura appena conclusasi, ma grazie all’alleanza con altri tre partiti con cui il presidente ha governato negli ultimi cinque anni si dovrebbe formare senza grossi problemi una nuova maggioranza di 323 deputati. In ogni caso quello di ieri è stato il secondo peggior risultato nella storia dell’Akp, dopo il 34,2 per cento del 2002: da allora in nessuna elezione per il rinnovo della Grande Assemblea Nazionale i conservatori erano mai scesi sotto l’asticella del 40 per cento.

    Chi è lo sfidante di Erdoğan al ballottaggio in Turchia
    Al ballottaggio del 28 maggio l’opposizione unita in Turchia si giocherà il tutto per tutto contro Erdoğan puntando sul candidato comune Kılıçdaroğlu e sulla convinzione che i sondaggi della vigilia sull’esito di un testa a testa tra i due saranno riconfermati anche alle urne. Mai come in questa tornata storica l’opposizione ha cercato di trovare una quadra per sfidare il presidente al potere da 20 anni esatti (dal 2003 al 2014 come primo ministro, dal 2014 a oggi come capo di Stato). I sei partiti di opposizione si sono uniti nella cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ e hanno nominato come proprio candidato alla presidenza della Repubblica il leader del Partito popolare repubblicano (Chp), il principale partito d’opposizione fondato nel 1923 dal primo presidente turco, Kemal Atatürk.
    l leader del Partito popolare repubblicano (Chp) e candidato presidente della Turchia, Kemal Kılıçdaroğlu (credits: Yasin Akgul / Afp)
    Per Kılıçdaroğlu, politico 73enne noto per l’onestà e la frugalità a livello comunicativo e per le vittorie del suo partito a Istanbul e Smirne alle amministrative del 2019, l’ostacolo maggiore rimane sempre l’estrema varietà della coalizione di partiti che lo supporta, che va dal centrosinistra alla destra nazionalista. Un altro fattore di rischio di fronte all’elettorato è il fatto che a tenere uniti questi partiti c’è poco se non il tentativo di mettere fuori gioco proprio il leader conservatore dell’Akp, anche se in campagna elettorale Kılıçdaroğlu ha puntato molto l’attenzione sulla piattaforma di riforme che metterà in cantiere in caso di elezione, tra cui compare l’abolizione del presidenzialismo (la figura del primo ministro è stata abolita nel 2018). Come evidenziato da alcuni analisti, una vittoria di Kılıçdaroğlu potrebbe significare anche un ritorno in Turchia a una maggiore disciplina fiscale, più trasparenza sul rispetto delle regole di mercato e riforme nel settore energetico, considerata la presenza nella coalizione di politici riformatori come il leader del leader del Partito per la democrazia e il progresso (Deva), Ali Babacan, ministro dell’Economia tra il 2002 e il 2007, degli Esteri dal 2007 al 2009 e capo negoziatore per l’adesione della Turchia all’Ue tra il 2005 e il 2009.

    Al primo turno di voto il presidente in carica non ottiene la maggioranza assoluta necessaria per la riconferma e sarà sfidato il 28 maggio dall’opposizione unita sotto il nome di Kemal Kılıçdaroğlu. Sarà decisiva la distribuzione dei voti del terzo candidato sconfitto, Sinan Oğan, ma si attende ancora los crutinio dei voti dei residenti all’estero

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    L’Ue esce allo scoperto sulle imminenti elezioni in Turchia: “Ci aspettiamo trasparenza, inclusività e standard democratici”

    Bruxelles – L’attore geopolitico più coinvolto dalle elezioni in Turchia, che non si sbilancia ma allo stesso tempo è direttamente interessato dall’esito dell’imminente tornata elettorale, finalmente esce allo scoperto. “La Turchia è un partner importante in molti campi per l’Unione Europea, seguiamo il ciclo elettorale nel Paese da molto vicino e ci aspettiamo trasparenza, inclusività e allineamento agli standard democratici“, è il commento a tre giorni dal voto per le presidenziali e parlamentari in Turchia da parte del portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano.
    Manifesti elettorali di Recep Tayyip Erdoğan (a sinistra) e di Kemal Kılıçdaroğlu (a destra), in vista delle elezioni presidenziali in Turchia (credits: Ozan Kose / Afp)
    Rispondendo alle domande della stampa di Bruxelles, il portavoce ha messo in chiaro che l’Unione attende il risultato del primo turno di domenica (14 maggio), anche se la questione più cruciale è il rispetto degli standard per elezioni libere e trasparenti: “Tutte le parti devono rispettare la legge e la volontà dei cittadini, è importante che sia garantita la pluralità e la libertà dei media, ma anche un uguale trattamento per tutti i partiti politici e i candidati“, ha puntualizzato Stano. Un messaggio che arriva alla vigilia di un momento epocale per la storia recente turca, da cui emergerà il nome del futuro presidente della Repubblica: o, ancora una volta, Recep Tayyip Erdoğan, o lo sfidante che potrebbe incarnare il rinnovamento politico, l’economista Kemal Kılıçdaroğlu. L’Ue non prevede “nessuna missione di osservazione elettorale in Turchia”, è quanto precisato dal portavoce del Seae, anche se Bruxelles accoglie “con favore” l’invito delle autorità turche all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce): “È un passo importante perché dimostra la volontà di assicurare la trasparenza del voto“.
    Gli sfidanti alle presidenziali 2023 in Turchia
    Il presidente della Turchia è eletto direttamente con il sistema del doppio turno. Se nessun candidato conquista la maggioranza semplice (più del 50 per cento dei voti) al primo turno, si svolge un ballottaggio tra i due candidati più votati. Gli aspiranti presidenti devono avere almeno 40 anni e devono aver completato l’istruzione superiore. Qualsiasi partito che abbia ottenuto il 5 per cento dei voti nelle precedenti elezioni parlamentari può presentare un candidato, si possono formare alleanze e schierare candidati comuni, mentre gli indipendenti possono candidarsi solo se raccolgono 100 mila firme.
    La presidenziali del 2023 sono considerate una sfida politica e personale tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu. Da una parte c’è il presidente e leader conservatore del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) al potere da 20 anni esatti – dal 2003 al 2014 come primo ministro, dal 2014 a oggi come capo di Stato – dall’altra lo sfidante outsider, un politico 73enne noto per la sua onestà e frugalità a livello comunicativo – ma non solo – e per le vittorie del suo Partito popolare repubblicano (Chp) a Istanbul e Smirne nel 2019.
    A sostegno di Kılıçdaroğlu si è formata la cosiddetta ‘Tavola dei Sei’, un patto tra sei partiti di opposizione per esprimere un candidato comune, che può essere al contempo l’elemento di forza e quello di debolezza per il leader del Chp. Lo sfidante di Erdoğan ha proposto una piattaforma di riforme in cui spicca l’abolizione del presidenzialismo (la figura del primo ministro è stata abolita nel 2018 proprio dal leader dell’Akp), ma allo stesso tempo la coalizione che lo sostiene spazia dal centrosinistra alla destra nazionalista e l’unico elemento che davvero sembra tenerla unita è il tentativo di estromettere Erdoğan dal potere. D’altro canto Erdoğan è indebolito da due fattori che pesano su una fetta consistente dell’elettorato. L’inflazione galoppante da mesi sta mettendo in crisi la classe media, mentre a livello di opinione pubblica il presidente turco ha faticato a difendersi dalle critiche sulla gestione del terremoto dello scorso 6 febbraio che ha causato oltre 50 mila morti: al centro delle polemiche c’è l’abusivismo edilizio nelle zone colpite dal sisma reso possibile dalla rete clientelare e di corruzione che fa capo al partito di Erdoğan, considerato uno degli elementi che ha più favorito il collasso di intere città nel sud del Paese.
    Sul piano dei sondaggi pre-elezioni questo si è tradotto in un crollo dei consensi per Erdoğan, anche se nelle ultime settimane si è evidenziato un recupero rispetto alle proiezioni che davano Kılıçdaroğlu in vantaggio con oltre il 55 per cento delle preferenze. Considerata la presenza di altri due candidati minori – Muharrem İnce del Partito della Patria e l’indipendente Sinan Oğan sostenuto dall’Alleanza Ata – alle presidenziali più decisive della storia recente della Turchia lo scenario più verosimile è una sfida al secondo turno tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu, in programma il 28 maggio. Questo solo se i due candidati più forti non si troveranno da soli a sfidarsi già domenica: İnce ha annunciato oggi il ritiro dalla corsa elettorale e non è da escludere che Oğan faccia lo stesso a stretto giro.

    Il portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna, Peter Stano, ha chiarito che Bruxelles seguirà “da molto vicino” le presidenziali che vedono la sfida tra Erdoğan e il candidato delle opposizioni unite Kılıçdaroğlu: “Tutte le parti devono rispettare la legge e la volontà dei cittadini”

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    Se il sultano cade. L’Ue osserva le presidenziali in Turchia, tra Erdoğan e il rinnovamento di Kılıçdaroğlu

    Bruxelles – Il momento è di quelli storici, forse epocali. Sia per la Turchia, sia per l’Unione Europea. Fra una settimana, sabato 14 maggio, i cittadini turchi saranno chiamati alle urne per eleggere il presidente della Repubblica per i prossimi cinque anni, in una sfida tra l’uomo forte di Ankara, Recep Tayyip Erdoğan, e lo sfidante che incarna il rinnovamento della politica nazionale secondo le opposizioni, l’economista Kemal Kılıçdaroğlu. Un testa a testa che anche per Bruxelles avrà un impatto significativo. Dal quasi scontato doppio turno di elezioni (che si concluderà il 28 maggio) emergerà l’attore politico con cui sviluppare i futuri rapporti: o un prosieguo delle relazioni tese degli ultimi anni su diversi fronti, o una speranza di riavvicinamento e distensione diplomatica.
    Il leader del Partito popolare repubblicano (Chp) e candidato presidente della Turchia, Kemal Kılıçdaroğlu (credits: Yasin Akgul / Afp)
    Per sfidare il presidente al potere da 20 anni esatti (dal 2003 al 2014 come primo ministro, dal 2014 a oggi come capo di Stato), sei partiti di opposizione si sono uniti nella cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ e hanno espresso un candidato comune. Si tratta del leader del Partito popolare repubblicano (Chp), il principale partito d’opposizione fondato nel 1923 dal primo presidente turco, Kemal Atatürk. Per Kılıçdaroğlu, politico 73enne noto per la sua onestà e frugalità a livello comunicativo e per le vittorie del suo partito a Istanbul e Smirne nel 2019, l’ostacolo maggiore potrebbe essere l’estrema varietà della coalizione di partiti che lo supporta – che va dal centrosinistra alla destra nazionalista – e dal fatto che a tenerli uniti è soprattutto il tentativo di mettere fuori gioco il leader conservatore del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp). In ogni caso va segnalata la piattaforma di riforme che lo sfidante di Erdoğan ha proposto, tra cui compare l’abolizione del presidenzialismo (la figura del primo ministro è stata abolita nel 2018).
    Dall’altra parte dello spettro politico il presidente Erdoğan è indebolito da due fattori che hanno colpito la Turchia nell’ultimo anno: l’inflazione galoppante sta mettendo in crisi la classe media da mesi, e le critiche dell’opinione pubblica nazionale allo stesso leader turco (cosa non scontata in un Paese guidato da un regime sempre più autoritario) per la gestione del terremoto dello scorso 6 febbraio che ha causato oltre 50 mila morti. La rete clientelare e di corruzione che ha permesso l’abusivismo edilizio nelle zone colpite dal sisma è stata considerata uno degli elementi di maggiore responsabilità per il collasso di intere città come Adana. Tutto questo si è tradotto in un evidente crollo dei consensi per Erdoğan – che nel 2018 aveva vinto al primo turno con il 52,6 per cento dei voti – anche se non ancora sufficiente per evitare un testa a testa al ballottaggio e un possibile recupero da parte di uno dei politici più instancabili in campagna elettorale (fino a poche settimane fa Kılıçdaroğlu guidava i sondaggi con oltre il 55 per cento delle preferenze).
    Manifesti elettorali di Recep Tayyip Erdoğan (a sinistra) e di Kemal Kılıçdaroğlu (a destra), in vista delle elezioni presidenziali in Turchia (credits: Ozan Kose / Afp)
    Il presidente della Turchia è eletto direttamente con il sistema del doppio turno: se nessun candidato conquista la maggioranza semplice (più del 50 per cento dei voti) al primo, si svolge un ballottaggio tra i due candidati più votati. Gli aspiranti presidenti devono avere almeno 40 anni e devono aver completato l’istruzione superiore, mentre qualsiasi partito che abbia ottenuto il 5 per cento dei voti nelle precedenti elezioni parlamentari può presentare un candidato (si possono formare alleanze e schierare candidati comuni, gli indipendenti possono candidarsi se raccolgono 100 mila firme). Considerata la presenza di altri due candidati minori – Muharrem İnce del Partito della Patria e l’indipendente Sinan Oğan sostenuto dall’Alleanza Ata – alle elezioni presidenziali più decisive della storia recente della Turchia lo scenario più verosimile è una sfida al secondo turno tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu, in programma il 28 maggio.
    Il controverso rapporto Ue-Turchia sotto Erdoğan
    Non solo per la Turchia, ma anche per l’intera Unione Europea si tratta di un passaggio politico che potrebbe segnare una svolta forse irripetibile per i rapporti con Ankara. Ancora non si sa quale sarà la posizione di una eventuale leadership di Kılıçdaroğlu sui dossier aperti con Bruxelles, anche e soprattutto considerate le posizioni non proprio sovrapponibili della coalizione elettorale ‘Tavola dei Sei’ che lo sostiene. Ma di certo c’è quello che potrebbe continuare a replicarsi in caso di rielezione di Erdoğan. In particolare negli ultimi anni le relazioni con l’uomo forte di Ankara – definito due anni fa dall’allora premier italiano Mario Draghi “dittatore” – sono diventate sempre più tese, anche se la posizione e l’importanza geopolitica della Turchia hanno sempre costretto o quantomeno spinto i Ventisette a non chiudere al dialogo.
    La dimostrazione più evidente è stato il congelamento dei capitoli negoziali per l’adesione della Turchia all’Unione Europea, avviati nel 2005 e da anni “a un punto morto” per i “continui gravi passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura”, aveva sottolineato ancora nel 2020 il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi. C’è poi la questione della delimitazione delle aree marittime nel Mediterraneo, con la Turchia di Erdoğan che dal 2019 continua a mettere in discussione i confini greci – e di conseguenza le frontiere esterne dell’Unione – a sud dell’isola di Creta. L’ultimo episodio di tensione risale all’ottobre dello scorso anno, quando Ankara ha siglato un nuovo accordo preliminare sull’esplorazione energetica con la Libia. Nel contesto mediterraneo si inserisce anche la controversia diplomatica più che quarantennale sulla divisione dell’isola di Cipro, dove solo la Turchia riconosce l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord e dal 2017 sono fermi i tentativi di compromesso.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio Europe, Charles Michel, e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, ad Ankara (6 aprile 2021)
    Altra questione di non poca rilevanza, che riguarda sia la politica interna sia quella estera di Erdoğan, è il tema della repressione della minoranza curda e del veto sull’adesione della Svezia alla Nato, almeno fino a quando non si adeguerà alle richieste sull’estradizione dei membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). L’intransigenza del leader turco ha indispettito non poco i leader dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (che ha sede proprio a Bruxelles) e dei Paesi membri Ue, che hanno visto sfumare l’ingresso congiunto di Svezia e Finlandia nell’Alleanza nello stesso giorno (il 4 aprile 2023). Sul tema dei diritti umani c’è poi la questione della gestione delle persone migranti dirette verso l’Europa: se nel marzo 2016 l’Ue ha stretto un accordo con la Turchia per bloccare e accogliere sul suo territorio i rifugiati siriani in fuga dalla guerra in cambio di finanziamenti comunitari, in diverse occasioni la Grecia ha lanciato dure accuse ad Ankara per violazioni dell’accordo stesso e sta implementando una politica di costruzione di barriere fisiche alla frontiera per impedire gli ingressi irregolari.
    Ultimo, ma non per importanza diplomatica, quello che è passato alle cronache politiche come ‘Sofagate’. Il 6 aprile 2021 la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, si erano recati ad Ankara in visita istituzionale per rilanciare il dialogo Ue-Turchia. Ma l’accoglienza al palazzo presidenziale per la numero uno dell’esecutivo comunitario era stata tutt’altro che piacevole e rispettosa: mentre al leader del Consiglio è stata riservata una sedia accanto a Erdoğan, von der Leyen si era dovuta accomodare – con evidente imbarazzo e disappunto – su un sofà, appunto. Uno sgarbo istituzionale arrivato a poche settimane dalla decisione del presidente di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, che ancora una volta aveva evidenziato tutta la tensione nei rapporti tra Bruxelles e Ankara. Episodi e politiche che potrebbero essere relegati nel passato della Turchia, se gli elettori sceglieranno il rinnovamento politico di Kılıçdaroğlu – anche se incerto – alla continuità di Erdoğan.

    Il 14 maggio gli elettori turchi saranno chiamati a votare al primo turno di una delle tornate più decisive degli ultimi anni. Potrebbe essere arrivato al termine il potere ventennale del presidente che ha reso tesi i rapporti tra Ankara e Bruxelles, tra migrazione, energia, Nato e ‘Sofagate’