More stories

  • in

    L’Ue a difesa dei popoli indigeni contro minacce linguistiche, sfruttamento ambientale e omicidi di attivisti

    Bruxelles – Più di 4 mila lingue minacciate, 358 difensori dei diritti umani uccisi nel 2021, i più colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici e dal degrado ambientale causato da governi e aziende multinazionali. È questo il quadro in cui vivono le oltre 476 milioni di persone appartenenti ai popoli indigeni di tutto il mondo, dai San e i Khoekhoe del Sudafrica agli Aymara della Cordigliera delle Ande, dai Māori della Nuova Zelanda ai Saami del nord Europa, fino agli Inuit della Groenlandia.
    In occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha voluto ribadire con forza la solidarietà e l’impegno dell’Unione ai leader e agli attivisti dei diritti umani di tutto il mondo su più fronti, in linea con Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. In primis quello ambientale e climatico, dal momento in cui questi popoli abitano quasi un quarto della superficie terrestre del mondo e “sono custodi e difensori fondamentali di oltre l’80 per cento della nostra diversità biologica“, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell. Se possiedono “una profonda conoscenza della gestione sostenibile del territorio”, allo stesso tempo “sono tra i più colpiti dai gravi impatti del cambiamento climatico e del degrado ambientale“. Per questo motivo l’agenda internazionale dovrà occuparsi con urgenza di questo tema, rispettando gli impegni sottoscritti alla Cop26 di Glasgow dello scorso anno.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Strettamente legato alla questione della difesa dell’ambiente naturale c’è anche il tema della protezione dei difensori dei diritti umani. L’Ue ha “ripetutamente” lanciato l’allarme sul numero di omicidi nel 2021: almeno 358, di cui “quasi il 60 per cento era costituito da coraggiosi difensori dei diritti della terra, dell’ambiente o delle popolazioni indigene, e più di un quarto erano essi stessi indigeni”. L’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro senza mezzi termini che “ognuno di loro è uno di troppo” e Bruxelles “continuerà a far leva sulle sue politiche, sui dialoghi e sugli strumenti di finanziamento” per sostenere queste popolazioni e “porre fine all’impunità”.
    Impunità che coinvolge anche le imprese multinazionali e i processi decisionali: “L’Ue si impegna a promuovere la partecipazione dei leader e dei difensori dei diritti umani indigeni ai processi di sviluppo e ai principali forum globali”, tenendo come perno l’applicazione del “principio della consultazione in buona fede” per ottenere in ogni situazione il loro consenso “libero, preventivo e informato” nelle decisioni che li riguardano. A questo proposito Bruxelles si sta attivando per ottenere “norme più efficaci sulla condotta responsabile delle imprese“, con l’obiettivo di promuovere un comportamento aziendale “sostenibile e responsabile, anche nelle terre indigene”.
    Ultimo punto, ma non per importanza, la protezione dell’identità dei popoli indigeni, “spesso strettamente legata alle loro terre e alle loro lingue”. Entrati nel Decennio internazionale delle lingue indigene (2022-2032) – “sistemi di comunicazione complessi sviluppati nel corso di millenni” – l’Ue pone l’accento sulla necessità di proteggere le oltre 4 mila lingue a rischio di estinzione, “perché molte di esse non vengono insegnate a scuola né utilizzate nella sfera pubblica”, ha avvertito l’alto rappresentante Borrell.

    In occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, l’alto rappresentante Ue Borrell ha ribadito il sostegno dell’Unione a promuovere la partecipazione dei leader e dei difensori dei diritti umani ai processi di sviluppo e per norme più efficaci sulla condotta delle imprese

  • in

    COP26, da oltre 100 leader globali l’impegno a fermare la deforestazione entro il 2030

    Bruxelles – Da Italia, Francia, Germania e ancora Indonesia, Brasile e Turchia. Sono oltre 100 i leader globali che ieri (primo novembre) nel quadro della COP26 di Glasgow si sono impegnati a lavorare insieme per arrestare e invertire la deforestazione e il degrado del suolo entro il 2030. Il primo risultato concreto della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite che ha preso il via domenica (31 ottobre) nella città scozzese e sottoscritto nella Dichiarazione dei leader di Glasgow sulle foreste e l’uso del suolo.
    L’accordo è destinato a far parlare di sé: sia per la sua portata – le oltre 100 firme alla dichiarazione sono di Paesi, come il Brasile e l’Indonesia, che insieme rappresentano oltre l’86 per cento delle foreste mondiali – sia perché di fatto non è un impegno vincolante per nessuno dei governi, e quindi rischia di restare solo un buon proposito. Solo nel 2014, al vertice sul clima di New York, quasi 200 parti tra governi, aziende e ONG si erano impegnati a dimezzare la deforestazione entro il 2030 e azzerarla entro il 2050.
    La piattaforma di monitoraggio Global Forest Watch stima solo nel 2020 la perdita di 258mila chilometri quadrati di foreste nel mondo, sintomo che per ora quegli impegni sono caduti nel vuoto. La rilevanza delle foreste nella lotta al riscaldamento terrestre è nota: sono in grado di assorbire le emissioni di anidride carbonica dall’atmosfera e gli impediscono di riscaldare la temperatura della terra. Sono “il polmone del pianeta”, scrive su twitter il premier britannico Boris Johnson su twitter salutando questa mattina l’accordo.

    Forests are the lungs of our planet.
    Today @COP26, over 100 leaders representing 85% of the world’s forests will take landmark action to end deforestation by 2030.
    With this pledge, we have a chance to end humanity’s long history as nature’s conqueror, and become its custodian.
    — Boris Johnson (@BorisJohnson) November 2, 2021

    Dopo l’impegno di ieri, oggi sono state dettagliate le iniziative governative e private per aiutare a raggiungere questo obiettivo di deforestazione. A sostegno di questo obiettivo saranno mobilitati circa 19 miliardi di dollari (circa 16 miliardi di euro) tra finanziamenti pubblici e privati. Una nota della presidenza britannica della COP26 ne spiega nel dettaglio la composizione: 12 paesi donatori si sono impegnati a fornire 12 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici per il clima dal 2021 al 2025 attraverso la “Global Forest Finance Pledge”. L’Unione Europea – come annunciato da Ursula von der Leyen alla vigilia della partenza per il G20 di Roma – ha donato un miliardo di euro a questa causa, per l’azione nei paesi in via di sviluppo, compreso il ripristino di terreni degradati, la lotta agli incendi e la promozione dei diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali.
    Ursula von der Leyen
    “Forniremo un miliardo di euro per l’impegno globale per le foreste”, ha annunciato la presidente della Commissione Europea oggi a Glasgow. “Di questi, 250 milioni di euro saranno destinati specificamente all’impegno nel bacino del Congo”. Sono i consumatori europei a non voler acquistare prodotti “responsabili della deforestazione o del degrado forestale”, ha aggiunto.Almeno 7,2 miliardi di dollari arriveranno dal settore privato.
    Un gruppo ristretto di 28 governi – tra cui l’Unione Europea e l’Italia – hanno firmato inoltre una dichiarazione specifica su foreste, agricoltura e commercio di materie prime (FACT), dedicata a rendere il commercio sostenibile e ridurre la pressione sulle foreste dovuta ad agricoltura e catene di approvvigionamento. E’ noto che la causa principale della deforestazione è dovuta alla volontà dei governi di abbattere gli alberi per lasciare spazio a coltivazioni e aree di allevamento intensivo. Olio di palma, soia, cacao e carne bovina: l’UE stessa è uno dei principali importatori al mondo, dopo la Cina, di materie prime legate alla deforestazione tropicale e sta lavorando internamente per una nuova legislazione che riduca l’impatto sulle foreste all’estero dei prodotti che vengono poi immessi sul mercato europeo.
    Timori di attivisti e ONG verdi che anche questo impegno resti lettera morta ce ne sono. Non passa inosservato che tra i firmatari ci sia anche il Brasile del leader populista Jair Bolsonaro, al centro di molte polemiche per aver aumentato a dismisura la deforestazione della foresta amazzonica, arrivando a un picco da oltre 10 anni.

    Tra il 2021 e il 2025 oltre 16 miliardi di euro, tra finanziamenti pubblici e privati, a sostegno dell’obiettivo. Tra i firmatari oltre all’Italia e l’Unione Europea anche il Brasile di Bolsonaro, al centro di polemiche per la deforestazione della foresta amazzonica. Roma e Bruxelles si impegnano anche per ridurre la pressione agricola e commerciale sul suolo