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    “Multilateralismo e cooperazione”, l’UE indirizza il dibattito di Davos

    Bruxelles – Cooperazione e multilateralismo. La risposta a crisi e tensioni è lavoro di squadra, a livello internazionale. Il World Economic Forum di Davos, quest’anno tenuto quasi in sordina per via dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente che continuano con maggiore intensità e ricadute sul dibattito politico, ha visto un’Unione europea ricoprire il ruolo di ‘pacere’ e mediatore in un contesto globale quanto mai incerto.Complice anche un calendario amico, che ha visto un avvicendamento sul podio a fasi alternate, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha potuto trovarsi nella situazione di provare a dettare una linea seguita e inseguita da chi ha parlato dopo di lei. “Questo è il momento di promuovere la collaborazione globale più che mai“, l’appello e l’invito della presidente dell’esecutivo comunitario, che offre sponde: “L’Europa è in una posizione unica per promuovere questa solidarietà e cooperazione globale”.Un intervento che poteva rischiare di andare perso tra le tante sessioni di lavoro di un summit organizzato su più livelli e in più momenti, tutti diversi. Ma l’intervento di von der Leyen è rimasto sospeso solo qualche ora. Perché il giorno successivo è stata il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a rilanciare l’agenda dell’UE, avvertendo di come “le divisioni geopolitiche stanno ostacolando una risposta globale a sfide come il cambiamento climatico e l’intelligenza artificiale”, e che per tutto questo serve un “multilateralismo riformato, inclusivo e interconnesso”.In linea di principio gli appelli a un mondo globale e globalizzato che tale resti è condiviso anche dagli Stati Uniti dell’amministrazione Biden, con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, anch’egli a Davos il giorno successivo alla presenza di von der Leyen, che è stato chiaro sulla necessità di “partenariati e cooperazione globali” per risolvere le nostre sfide più grandi. E’ questa però la visione di un governo uscente, atteso alla prova elettorale di fine anno, che potrebbe ridisegnare agende ed equilibri. L’UE teme un ritorno di Donald Trump alla Casa bianca, per le conseguenze di un simile scenario. Si teme, con Trump, l’esatto contrario di quanto sottolineato e sostenuto, da più parti, a Davos: divisioni al posto di cooperazione.Alle proposte di mediazione e di inter-relazione dell’UE risponde, il quarto giorno di lavori, il vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, Demeke Mekonnen Hassen. C’è per l’Europa, e non solo per il Vecchio continente, tutto il mondo africano interessato all’agenda di cooperazione. A patto che non sia trattato in modo marginale o neo-coloniale. Al contrario, “l‘Africa deve svolgere un ruolo centrale in tutto il mondo per il multilateralismo e nell’arena internazionale sul commercio, sugli investimenti e su altre attività economiche”. Le dinamiche delle relazioni bi-laterali e regionali sarà compito della politica, ma è chiaro, ha voluto sottolineare il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), Ngozi Okonjo-Iweala, che “senza un libero flusso commerciale, non credo che potremo riprenderci” a livello economico. Avanti dunque con il libero scambio e le relazioni internazionali. Anche perché, ha messo in chiaro il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, “dobbiamo evitare una corsa ai sussidi, non possiamo permettercelo”.L’Unione europea a Davos sembra toccato e centrato un punto fondamentale. Ha sicuramente dettato il dibattito organizzato su più giorni. Ora la vera sfida è fare di questa linea dettata a Davos l’agenda politica internazionale dei prossimi mesi.Per quanto riguarda l’UE, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, non ha dubbi: l’Europa deve fare i propri compiti a casa. La responsabile dell’Eurotower è stata tra gli ultimi a intervenire, l’ultimo giorno del summit di Davos. Qui, parlando della prospettiva di un ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti, ha invitato a lavorare fin da ora. “La migliore difesa, se è così che vogliamo vederla, è l’attacco“. Quindi precisa. “Per attaccare bene bisogna essere forti in casa. Essere forti significa avere un mercato forte e profondo, avere un vero mercato unico“.Una delle risposte a un eventuale ritorno di Trump passa per l’integrazione a dodici stelle. Lindner lo ha detto chiaro e tondo. “Il nostro svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti non sono i sussidi, ma la funzione del nostro mercato dei capitali privati“.

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    Ue e Cina tentano un riavvicinamento, 7 e 8 dicembre il summit bilaterale a Pechino

    Bruxelles – Conflitto russo-ucraino, questione medio-orientale, ma soprattutto commercio. Unione europea e Cina tentano un riavvicinamento e una normalizzazione dei rapporti bilaterali attraverso il 24esimo meeting congiunto, il primo in formato fisico dal 2019. I presidenti di Consiglio e Commissione Ue, Charles Michel e Ursula von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, tentano di convincere presidente e primo ministro della Repubblica popolare ad avare un ruolo di primo piano innanzitutto sulle questioni di stretta attualità.La guerra tra Russia e Ucraina è la principale di questi temi. Gli europei, spiegano fonti Ue ben informate, vorrebbero che la Cina utilizzasse la propria influenza per fermare Vladimir Putin e le sue operazioni militari. Si nutre cauto ottimismo, alimentato dalla consapevolezza che a Pechino questa guerra non piace perché non fa comodo. Una situazione che però sin qui non ha visto una posizione decisa né una condanna.“Non abbiamo ancora una prova di sostegno militare diretto in questa guerra, e vediamo che l’export cinese di tutta una serie di beni che possono essere usati in prima linea si riduce, e questo è positivo”, il ragionamento a Bruxelles, dove però si guarda con una certa attenzione alle relazioni bilaterali Ue-Cina, in particolare in ambito commerciale.L’Ue non vuole scontri con la Cina, ma la delegazione Ue si presenta a Pechino con un’inchiesta aperta contro i sussidi statali alle auto elettriche ‘made in China‘ che può voler dire, potenzialmente, anche dazi contro i prodotti cinesi. Una decisione, quella di Bruxelles, che potrebbe anche irrigidire gli interlocutori Xi Jinping (presidente) e Li Qiang (primo ministro), ma che nell’ottica a dodici stelle serve a ribadire una posizione di determinazione. Qui il messaggio che si intende recapitare è la necessità di maggiore equilibrio.L’Ue ha una bilancia commerciale in forte squilibrio nei confronti della Cina, e una delle ragioni sono le restrizioni all’ingresso del mercato cinese poste dal partito. “Se ci sono barriere agli investimenti diventa difficile vedere investimenti diretti dell’Ue”, riassumono, in estrema sintesi, le fonti europee. Si vuole da parte cinese la fine di pratiche sleali per una concorrenza vera e basate sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ferma restando, per l’Unione europea, la necessità di ridurre quelle dipendenze da materie prime e catene di approvvigionamento che pongono questioni di stabilità, oltre che di competitività.Non sarà facile, perché “i cinesi sono un po’ nervosi sul concetto di derisking“, ossia la riduzione della dipendenza economica dalla Repubblica popolare. “Vedono che la loro presenza sul nostro mercato potrebbe ridursi”, così come la forza della loro leva geopolitica nei confronti dei Ventisette. Difficile immaginare concessioni. L’Ue comunque ci prova.Le premesse non sembrano delle migliori. Come da tradizione la Cina mostra una certa allergia a conferenze stampa, infatti non sono previste previste. Ma, a meno di cambi di rotta dell’ultimo momento, non è prevista neppure una dichiarazione congiunta. “Non ci è stato chiesto di averne una”, ammettono a Bruxelles. Gli europei non danno l’impressione di aver insistito chissà quanto, e certamente non ottengono documenti di fine lavoro sottoscritti dalla leadership cinese. “Avere questo dialogo Ue-Cina è una buona occasione per affrontarli tanti temi”, spiegano a Bruxelles. Già è tanto che Michel e von der Leyen siano accolti a Pechino.
    Xi Jinping e Li Qiang ricevono Michel e von der Leyen. E’ il primo meeting ‘di persona’ dal 2019. Sul tavolo la guerra in Russia ma soprattutto le relazioni commerciali

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    La Cop28 dell’Ue si apre con lo sforzo per il prezzo globale del carbonio: “Ridurre le emissioni, promuovendo la crescita”

    Bruxelles – Si aprono con un chiaro messaggio della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, le due settimane di Cop28 dell’Unione Europea: “C’è un modo per ridurre le emissioni, promuovendo al contempo l’innovazione e la crescita, ed è mettere un prezzo al carbonio“. Il primo intervento a margine della sessione plenaria della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (dal 30 novembre al 12 dicembre) da parte della numero uno dell’esecutivo comunitario si è concentrato su una delle principali priorità della missione Ue a Dubai, a partire dall’obiettivo-cardine della Conferenza stessa: “Se vogliamo mantenere il riscaldamento globale al di sotto del punto critico di 1,5 gradi, dobbiamo ridurre le emissioni globali”.All’evento di alto livello di questa mattina (primo dicembre) sui mercati del carbonio insieme al Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca Mondiale e Organizzazione mondiale del commercio (Omc) alla Cop28 di Dubai, la presidente von der Leyen non ha usato giri di parole per descrivere i motivi per cui bisogna spingere su un sistema di tariffazione del carbonio: “È uno strumento guidato dal mercato, il messaggio è chiaro: inquini? Devi pagare un prezzo. Vuoi evitare il pagamento? Innova e decarbonizza”. In altre parole o innovazione o “un prezzo equo a chi inquina pesantemente”, con i ricavi ottenuti che possono essere reinvestiti nella lotta al cambiamento climatico. Secondo le parole di von der Leyen si tratta di uno degli strumenti “più potenti, collaudati e affidabili”, che sono già stati messi in piedi da diversi governi in tutto il mondo: Canada, Cina, Nuova Zelanda, Kazakistan, Zambia.L’Unione Europea ha introdotto nel 2005 il suo sistema di scambio quote di emissioni – il mercato del carbonio Ets – e questi 18 anni forniscono un esempio concreto sulle possibilità e i risultati nell’obiettivo di “eliminare il carbonio”. Da quando è stato introdotto il sistema di tariffazione a livello comunitario le emissioni coperte sono diminuite di quasi il 40 per cento e contemporaneamente sono stati raccolti oltre 175 miliardi di euro di entrate (destinate “esclusivamente” ad azioni per il clima e innovazione anche nei Paesi in via di sviluppo), secondo i dati forniti dalla presidente della Commissione Ue. L’obiettivo ora è quello di “aiutare un numero sempre maggiore di Paesi a creare e completare i loro mercati nazionali del carbonio”. Aumentare la quota di Paesi allineati a un sistema di tariffazione globale permetterà “una più rapida riduzione delle emissioni, creerà condizioni di parità per il commercio internazionale e raccoglierà maggiori entrate per l’azione per il clima, anche nei Paesi in via di sviluppo”.Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dello Zambia, Hakainde Hichilema, alla Cop28 di Dubai (primo dicembre 2023)A oggi si contano 73 strumenti di tariffazione del carbonio, che però coprono “solo il 23 per cento delle emissioni globali“, ha avvertito von der Leyen, appellandosi al motivo che ha portato i leader del mondo alla Cop28: “Dobbiamo dare impulso a questo movimento globale”. Per questa ragione è necessario il supporto delle tre organizzazioni internazionali, in particolare per spingere i crediti di carbonio volontari, in modo da far affluire capitale privato: “Gli investitori hanno anche bisogno di certezze e per questo motivo servono standard comuni per i progetti che riducono le emissioni e migliorino la biodiversità”, è l’esortazione di von der Leyen.Gli altri impegni Ue alla Cop28“Questa Cop può fare la storia, la scorsa primavera l’Unione Europea ha lanciato un appello per triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030“, è il messaggio congiunto lanciato dai leader dell’Unione (insieme alla presidente von der Leyen anche il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel) a Dubai. “Più di 110 Paesi hanno già aderito” e ora si punta a “includere questi obiettivi nella decisione finale della Cop, in questo modo si invia un messaggio forte sia agli investitori che ai consumatori”. Per Bruxelles “non c’è dubbio, il futuro dell’energia sarà pulito, conveniente e di origine nazionale” e da qui parte l’impegno concreto sul Fondo per perdite e danni su cui è stata trovata l’intesa per l’operatività proprio alla Cop28: “A oggi Team Europe ha contribuito per oltre 270 milioni di dollari – 245 dai Paesi membri e 25 dal budget Ue – dobbiamo portare i fondi a disposizione velocemente“, ha annunciato von der Leyen, ricordando anche i “quasi 30 miliardi di dollari” di contributo dell’anno scorso per i finanziamenti sul clima.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla Cop28 di Dubai (primo dicembre 2023)“Questo vertice non è solo una conferenza, è un esame di coscienza, per fare il punto sulla situazione globale dopo gli accordi di Parigi”, ha aggiunto nella sua parte di intervento il presidente Michel. “Nessun continente può sfuggire alla tragedia del cambiamento climatico” e se “la scienza, la conoscenza e la ragione ci stanno portando a conoscere la diagnosi”, le soluzioni per mantenere l’obiettivo di 1,5 gradi sono compito della politica: “Dobbiamo liberarci al più presto della nostra dipendenza dai combustibili fossili, che stanno mettendo a rischio il nostro futuro comune”. Michel ha fatto riferimento al Green Deal per parlare dell’impegno dell’Unione a questo proposito, con “pacchetti di misure per trasformare radicalmente il nostro paradigma di sviluppo economico“.E infine c’è l’impegno dell’Unione sul nuovo Club del Clima. “Sta crescendo, ora siamo 36 membri provenienti da ogni angolo del pianeta, con esigenze diverse ma aspirazioni comuni”, è stato il messaggio di von der Leyen: “Costruire un futuro più pulito e prospero per i nostri cittadini e far progredire la decarbonizzazione delle nostre industrie”. L’idea del Club del Clima era nata in seno al G7, ma ora “sta diventando un centro di conoscenza unico nel suo genere”, con tutti i membri che insieme rappresentano oltre il 30 per cento delle emissioni globali: “Qualsiasi cosa decideremo insieme sarà un potente vettore di cambiamento globale“. Ecco perché ora la strada verso la decarbonizzazione passerà dal “rafforzare i nostri legami con i partner che condividono le nostre idee in tutto il mondo”, ha spiegato lo spirito del Club del Clima von der Leyen, parlando dei partenariati messi in piedi dall’Ue. Da quelli sull’idrogeno con Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, “che hanno un potenziale immenso per produrre energia pulita, trasformarla in idrogeno pulito e distribuirla al mondo”, a quelli per le materie prime critiche “da fornitori affidabili, in modo sostenibile”.
    A Dubai la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha definito le linee di collaborazione con Fondo monetario internazionale, Banca Mondiale e Organizzazione mondiale del commercio per “dare impulso” a più sistemi di tariffazione: “Strumento guidato dal mercato”

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    Il nodo dei ‘rifugiati climatici’ in aumento, un problema politico per l’Ue

    Bruxelles – Un fenomeno in aumento e che crescerà ancora. Un problema reale, naturale, sociale, economico e ancor più politico. Perché nel diritto comunitario manca ancora una definizione di ‘rifugiato climatico’, e riconoscerlo vorrebbe dire dover aprire confini e frontiere a masse di migranti crescenti. Ma i numeri parlano chiaro, e il centro studi e ricerche del Parlamento europeo li raccoglie e li aggiorna. Dal 2008 oltre 376 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare la propria abitazione a causa di inondazioni, tempeste di vento, terremoti o siccità, con un record di 32,6 milioni solo nel 2022. Non è la prima volta che il centro studi e ricerche del Parlamento europeo si sofferma sulla questione dei rifugiati climatici. L’ultimo rapporto realizzato nel 2021 censiva 318 milioni di sfollati causa eventi meteorologici estremi dal 2008. In due anni soltanto, dunque, si contano 58 milioni di sfollati ulteriori in tutto il mondo. Ma a dirla tutta “dal 2020 si è registrato un aumento annuo del numero totale di sfollati a causa di catastrofi rispetto al decennio precedente in media del 41 per cento”. Si tratta, guardando i numeri, di una “tendenza al rialzo chiara in modo allarmante”. Tanto che nello scenario peggiore si stima che “1,2 miliardi di persone potrebbero essere sfollate entro il 2050 a causa di disastri naturali e altre minacce ecologiche”. Un invito ad agire. Con la transizione sostenibile e la sua traduzione in pratica, certo. Ma pure con politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi. Perché, avvertono gli analisti di Bruxelles, “con il cambiamento climatico come catalizzatore trainante, il numero di rifugiati climatici continuerà ad aumentare”, come dimostra l’ultimo anno, quello in corso. Mettendo insieme i principali eventi di cronaca, emerge come “solo nel 2023 centinaia di migliaia di persone sono state colpite da pericoli naturali e gravi catastrofi meteorologiche in tutto il mondo”. Qualche esempio: a settembre la tempesta Daniel ha causato la morte di oltre 12mila persone in Libia e 40mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case; nel corso dell’estate le temperature nella regione del Mediterraneo e negli Stati Uniti hanno raggiunto livelli record e le inondazioni in Emilia-Romagna hanno ucciso 14 persone e provocato 50mila sfollati.“Il cambiamento climatico continuerà ad avere un effetto enorme su molte popolazioni, soprattutto quelle delle zone costiere e pianeggianti”, avverte il documento di lavoro. Uomini, donne e bambini si metteranno in marcia, ancora di più di adesso, perché il crescente impatto del cambiamento climatico sta rendendo alcune aree sempre più inabitabili, rendendo difficile il ritorno. Ma qui c’è il nodo politico della questione. Perché già adesso gli Stati membri dell’Ue litigano sulla gestione dei flussi, insistono sulla necessità di fermare le partenze per ridurre gli sbarchi. Un approccio che sembra in contrapposizione a tendenze peggiorative, dal punto di vista climatico e le sue ricadute. Oggi il diritto prevede che la protezione internazionale possa e debba essere riconosciuta da chi scappa da guerre e persecuzioni. Il clima non è contemplato, neppure dalle convenzioni Onu. L’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, spinge per un cambio di rotta e magari anche un nuovo trattato.Il Green Deal europeo riconosce che i cambiamenti climatici sono una delle cause che alimentano i fenomeni migratori, ma si limita a spostare l’accento sull’investimento in sostenibilità nei Paesi terzi. L’Europa ha già preso coscienza del fenomeno, ma non ha il coraggio, ancora, di introdurre una definizione giuridica di ‘rifugiato climatico’. Farlo vorrebbe dire aprire porti e porte dell’Ue.
    Un’analisi del centro studi e ricerca del Parlamento europeo torna su un tema noto e sempre più una sfida per i Ventisette. Nello scenario 1,2 miliardi di persone sfollate entro il 2050 a causa di minacce ecologiche

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    Su clima e natura il nuovo Brasile di Lula rischia di deludere le aspettative Ue

    Bruxelles – Il ritorno di Lula alla guida del Brasile per il ritorno a politiche di protezione della natura, foresta amazzonica in testa, e di contrasto ai cambiamenti climatici. L’Unione europea guarda al governo del Paese sudamericano con rinnovate aspettative che rischiano però, se non di essere disattese, di essere soddisfatte solo in parte. Perché ci sono idee vecchie in un contesto cambiato, e una situazione politica che non conferisce un mandato veramente forte e tale da imprimere quella svolta verde e sostenibile che potrebbe rappresentare un prezioso alleato per il Green Deal europeo.
    Da una parte c’è l’eredità lasciata a Lula dal suo predecessore, il conservatore Jair Bolsonaro. Quando si parla di clima e impegni contro la deforestazione, anche al netto degli impegni della nuova amministrazione, “i progressi tangibili richiederanno del tempo, dati i danni causati negli ultimi quattro anni”, rileva un documento del Parlamento europeo. Luiz Inacio da Silva Lula è entrato in carica l’1 gennaio 2023. In un solo anno, tra agosto 2021 e luglio 2022, sono stati abbattuti 11.594 chilometri di alberi nell’Amazzonia legale, una regione di nove stati federali nel bacino amazzonico. “Un’area simile al territorio del Montenegro”. Certo, il tasso di deforestazione registrato rappresenta “un calo dell’11 per cento rispetto ai livelli del 2021”, ma si continua a minare la capacità del polmone verde del mondo di catturare e trattenere CO2.
    C’è poi un mutato contesto istituzionale, che incide sull’attività politica. Il Congresso “ha ridimensionato i poteri dei ministeri dell’Ambiente e del cambiamento climatico e delle Popolazioni indigene”, con ciò ne consegue per l’azione di governo, chiamato a dover far ripartire un’economia in sofferenza. Le ultime previsioni dell’Ocse prevedono la crescita del Pil nazionale dell’1,7 per cento alla fine di quest’anno e all’1,2 per cento nel 2024, livello occupazionali più bassi, elevata inflazione e condizioni di credito più severe. C’è dunque sullo sfondo la possibilità di un’azione meno decisa in tema di sostenibilità, rileva ancora il documento del Parlamento Ue.
    “Le contraddizioni nelle politiche di Lula possono derivare dalla difficoltà di conciliare la protezione dell’Amazzonia e dei diritti dei popoli indigeni con il rilancio dell’economia lenta e la riduzione della povertà”. Rispondere a questa secondo necessità potrebbe essere fatto “stimolando lo sviluppo economico in Amazzonia, che comporta grandi progetti infrastrutturali che alimentano la deforestazione”.
    Del resto questa natura ambivalente del nuovo corso di Lula è già riscontrabile nella dichiarazione congiunta Brasile-Cina dell’aprile 2023 sulla lotta al cambiamento climatico. Nonostante questo impegno formale “le importazioni non vengono vagliate per il loro potenziale collegamento con la deforestazione”, viene rilevato in Parlamento Ue. Un problema di non poco conto se si considera l’accordo commerciale che l’Unione europea vorrebbe chiudere con i Paesi Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay), e per cui ‘il fattore Lula’ agli occhio degli europei potrebbe giocare a favore dei Ventisette.
    Argentina e Brasile, però, “sono preoccupati per l’impatto del nuovo regolamento dell’Ue sui prodotti da deforestazione e loro accesso al mercato dell’Unione europea”, e qui l’Ue si aspetta garanzie da un presidente, Lula, considerato come la leva del possibile cambiamento sostenibile del Paese e del modello economico-produttivo internazionale.
    Quel che è certo, a Bruxelles, è che al momento “è troppo presto per valutare se le politiche anti-deforestazione di Lula saranno in grado di ottenere un risultato positivo simile a quello che hanno avuto in passato”. Il Brasile di Lula rischia di essere dunque molto diverso dalle aspettative a dodici stelle.

    Un’analisi del Parlamento europeo mette in luce le difficoltà per il leader sudamericano di imprimere una vera svolta dopo l’amministrazione Bolsonaro

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    Approvato dal Consiglio dell’Ue l’accordo di libero scambio con la Nuova Zelanda. Entrata in vigore attesa entro il 2024

    Bruxelles – Fa passi in avanti l’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda e ora si attende solo il via libera del Parlamento Europeo per l’entrata in vigore. A dare la spinta decisiva è stata l’approvazione di oggi (27 giugno) da parte del Consiglio dell’Ue, che ha adottato la decisione di firmare l’accordo stretto nel giugno dello scorso anno dal gabinetto von der Leyen con Wellington. “L’accordo Ue-Nuova Zelanda rafforzerà il rapporto tra partner stretti e giocherà un ruolo importante nel nostro impegno nella regione dell’Indo-Pacifico“, si è congratulato il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis: “È un accordo moderno e dinamico, che promuove forti azioni a protezione del clima e dei diritti del lavoro”.
    Il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis (27 giugno 2023)
    Il via libera del Consiglio è necessario – insieme a quello ancora mancate dell’Eurocamera – per sancire la fine del processo iniziato esattamente cinque anni fa. Una volta entrato in vigore – “ci aspettiamo che questo accada all’inizio del 2024“, ha precisato Dombrovskis nel corso della conferenza stampa – l’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda porterà all’eliminazione dei dazi su tutte le esportazioni di merci e prodotti industriali e alimentari dai Paesi membri Ue verso la Nuova Zelanda, mentre l’Unione eliminerà “o ridurrà sostanzialmente” i dazi sulla maggior parte delle merci neozelandesi, si legge testo dell’intesa firmata il 30 giugno 2022 dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dall’allora premier neozelandese, Jacinda Ardern, volata a Bruxelles appositamente per presenziare all’appuntamento storico. L’entrata in vigore avverrà “il primo giorno del secondo mese successivo alla conferma” di entrambe le parti sul completamento dei requisiti e delle procedure legali.
    Cosa prevede l’accordo Ue-Nuova Zelanda
    Al centro dell’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda c’è la collaborazione per spingere una crescita stimata dell’80 per cento degli investimenti e del commercio bilaterale fino al 30 per cento: in altri termini, un potenziale aumento delle esportazioni annuali dell’Ue fino a 4,5 miliardi di euro. Di fondamentale importanza per Bruxelles è la tutela di 163 indicazioni geografiche protette (come il formaggio Asiago) e quasi duemila tra vini e alcolici (tra cui il Prosecco). Sarà illegale la vendita di imitazioni – divieto dell’uso di un termine Ig “per prodotti non genuini”, o espressioni come ‘genere’, ‘tipo’, ‘stile’, ‘imitazione’ – e l’uso “ingannevole” di simboli, bandiere o immagini che suggeriscono una falsa origine geografica. Stop anche a tutti i dazi sulle principali esportazioni alimentari dell’Ue in Nuova Zelanda, come carni suine, vino e spumante, cioccolato, dolciumi e biscotti
    Da sinistra: l’ex-prima ministra della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (30 giugno 2022)
    L’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda rappresenta un primo caso nel suo genere, considerato che nel capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile sono state incluse questioni ambientali e climatiche con una clausola inedita: nella collaborazione per la determinazione del prezzo del carbonio e la transizione verso un’economia a basse emissioni, sono previste sanzioni in caso di “violazione sostanziale” dell’Accordo di Parigi sul clima. L’obiettivo è quello di prevenire e limitare i danni ad acqua, aria e suolo, facilitando il commercio e gli investimenti in beni, servizi e tecnologie a basse emissioni di carbonio. In questo quadro rientra anche il capitolo su energia e materie prime, con l’eliminazione delle restrizioni all’esportazione di beni energetici, rinnovabili incluse: in particolare saranno promossi il commercio e gli investimenti per le energie rinnovabili e i prodotti ad alta efficienza energetica.
    Di rilievo infine il capitolo sul digitale e la proprietà intellettuale. Saranno facilitati i flussi di dati transfrontalieri, vietando i requisiti “ingiustificati” di localizzazione dei dati e mantenendo il livello di protezione dei dati personali secondo il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) dell’UE, “che contribuisce in modo significativo alla fiducia nell’ambiente digitale”. In questo modo le imprese potranno contare sulla “prevedibilità e certezza del diritto” e i cittadini comunitari e neozelandesi su “un ambiente online sicuro” nel momento in cui effettuano transazioni commerciali digitali a livello transfrontaliero. Per quanto riguarda le disposizioni in materia di proprietà intellettuale, saranno protetti il diritto d’autore, i marchi, i disegni e i modelli industriali, con un aumento degli standard accettati da Wellington: 20 anni per i diritti di autori, esecutori e produttori di registrazioni sonore e 15 anni per disegni e modelli registrati.

    A fissare la data è stato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, accogliendo il passo in avanti verso l’eliminazioni dei dazi alle esportazioni reciproche e la tutela dei prodotti agricoli europei. Intesa storica su sanzioni in caso di violazione dell’Accordo sul clima di Parigi

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    Clima, Guterres all’Ue: “Vicini al punto di non ritorno, anticipare obiettivo zero emissioni al 2040”

    Bruxelles – Lo scenario peggiore è sempre più vicino, e bisogna fare in fretta, molto in fretta per invertire la rotta. A pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu, che ha mostrato in modo un’altra volta lo stato di salute drammatico del pianeta, è stato il segretario delle Nazioni Unite in persona, Antonio Guterres, a recapitare il messaggio d’allarme a casa dei leader europei. Il vertice dei 27 di oggi e domani (23-24 marzo) a Bruxelles si è aperto con un pranzo di lavoro guidato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dal segretario Onu: sul tavolo, oltre all’emergenza climatica, il ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030, l’insicurezza alimentare alimentata dal conflitto in Ucraina e le relazioni con la Cina.
    “L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite mostra che siamo vicini al punto di non ritorno, che renderebbe impossibile perseguire l’obiettivo di rimanere sotto l’aumento di 1,5 gradi” della temperatura globale rispetto ai livelli del 1990, ha dichiarato Guterres al suo ingresso all’Europa Building. Gli esperti Onu sulla valutazione dei cambiamenti climatici hanno stimato che fino a oggi l’uomo ha provocato un aumento medio della temperatura terrestre di almeno 1,1°C: il limite posto nel 2015 con l’Accordo di Parigi è sempre più vicino e, come sottolinea il rapporto, con la tendenza attuale sarà superato già prima della metà del prossimo decennio.
    Antonio Guterres e Charles Michel, 23/03/23
    Il segretario generale ha evocato la necessità di “azioni urgenti e di un’agenda accelerata”, soprattutto da parte dei Paesi più industrializzati. In linea con quanto suggerito dal rapporto dell’Ipcc, Guterres ha chiesto ai 27 di anticipare di 10 anni i propri obiettivi stabiliti a Parigi per raggiungere la neutralità carbonica, nel 2040 invece che nel 2050. L’Onu “conta sulla leadership dell’Unione europea”, che secondo Guterres sta già “lavorando in modo positivo” verso la decarbonizzazione.
    Michel, accogliendo Guterres, ha posto l’accento sui tratti comuni tra l’Ue e l’Onu: “Crediamo in un approccio multilaterale, nella cooperazione, nella carta delle Nazioni Unite e nella legge internazionale”, ha affermato, congratulandosi “per la leadership” dimostrata “soprattutto con il Black Sea Grain“, l’iniziativa che dal luglio 2022 ha sbloccato l’export via mare di oltre 25 milioni di tonnellate di cereali ucraini, prorogata non senza difficoltà lo scorso 18 marzo. A quanto si apprende tuttavia, Guterres si sarebbe mostrato abbastanza pessimista sul proseguimento dell’accordo, che non starebbe andando in una direzione positiva perché interpretato in modo diversi dalle parti in causa.
    Pessimismo che sfiora quasi il catastrofismo quando Guterres passa in rassegna lo stato degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite per il 2030: “Più fame, più povertà, meno educazione e servizi sanitari in diverse regioni del mondo”, ha evidenziato il segretario generale dell’Onu, parlando di “una tempesta perfetta in molti Paesi in via di sviluppo”. Anche sull’Agenda per il 2030, Guterres ha fatto appello all’Ue affinché si “rimetta in carreggiata” verso il perseguimento degli obiettivi Onu. Sul gigante cinese e sul suo avvicinamento alla Russia, il segretario portoghese avrebbe lanciato un avvertimento ai 27: vista l’attitudine ancora positiva di Pechino nei confronti dell’Ue, Guterres ha suggerito di evitare qualsiasi mossa che possa isolare ulteriormente il presidente Xi Jinping. poiché in quel caso si rischierebbe di spingerlo ancora di più verso la Russia di Putin.

    Il segretario generale dell’Onu, ospite d’eccezione al vertice dei leader europei, si dice pessimista sul proseguimento dell’accordo sul grano ucraino con la Russia. “Più fame e povertà in diverse regioni del mondo”, l’allarme di Guterres sul ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile

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    Il primo summit di alto livello Ue-Asean tra Russia, energia, sicurezza e sostenibilità

    Bruxelles – Sicurezza e stabilità, a livello mondiale e regionale. Senza trascurare il commercio, la questione energetica e la transizione sostenibile. Unione europea e Asean (blocco che racchiude Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam) discutono di tutto questo nel primo summit di alto livello di sempre, a livello di capi di Stato e di governo, organizzato in occasione dei 45 anni di relazioni diplomatiche. “L’occasione di ribadire la vicinanza e la cooperazione tra i due blocchi in un momento di turbolenza”, caratterizzato dal conflitto russo-ucraino e le sue conseguenze, ma non solo, si sottolinea a Bruxelles.
    Le tensioni nel mar cinese del sud, con la rinnovata contrapposizione tra Cina e Taiwan, il colpo di Stato militare in Myanmar, membro Asean, e il cui leader non è stato invitato al summit, i cambiamenti in Afghanistan, sono tutti elementi di un’agenda ricca di sfide che i due blocchi sono decisi ad affrontare insieme. Si intende rilanciare relazioni costruite nel tempo e che i tempi moderni necessitano di aggiornare. Quello Ue-Asean è “un partenariato bilaterale strategico” che si intende rendere ancor più fondamentale, ammettono addetti ai lavori. Sul fronte comunitario le aspettative sono altre. Si guarda quanto fatto in passato e cosa fare per il futuro, incluso transizione sostenibile.
    A tal proposito la questione della cooperazione industriale ed economica intende permettere di allineare i Paesi del sud-est asiatico all’agenda verde dell’Unione. Gli Stati asiatici sono ancora fortemente dipendenti dal carbone, ma “pieni di potenziale pulito”, riconoscono a Bruxelles. Sarà fondamentale dunque investire qui, e la Commissione europea metterà sul tavolo il primo pacchetto di investimento per l’Asean da 10 miliardi di euro. Servirà per sostenere, innanzitutto con fondi pubblici, competenze, digitale, sostenibilità. Con l’obiettivo di mobilitare anche capitale privato.
    Il capitolo relativo alle relazioni economico-commerciali sarà un tema portante del summit Ue-Asean. A riprova di ciò è prevista, a margine del vertice, la firma di due partenariati con Thailandia e Malesia, nonché l’accordo comprensivo sui trasporti. Dati alla mano, l’Asean è il terzo partner commerciale dell’Ue al di fuori dell’Europa, dopo Stati Uniti e Cina. Mentre nel 2021 l’Ue è stata il secondo maggiore fornitore di investimenti diretti esteri esteri nell’area Asean. “Le relazioni commerciali sono importanti” e si intende rafforzarle. “Si promuove multilateralismo”, si sottolinea nella capitale dell’Ue. Un messaggio rivolto a chi, sullo scacchiere internazionale, preferisce protezionismi.
    Il tema più delicato è quello relativo alla Russia. La dichiarazione finale del summit prevede un passaggio sull’aggressione in Ucraina, e servirà un lavoro attento a parole e toni per trovare una formula che metta d’accordo entrambe le parti. Nulla di impossibile. A Bruxelles si dicono “certi che si troverà il linguaggio appropriato, e che mandi un messaggio chiaro e inequivocabile”.
    Nel più ampio spettro di politica estera dei Ventisette, si intende cercare quanto più possibile di attuare i principi della strategia indo-pacifica all’area del sud-est asiatico. Vuol dire lavorare assieme ai 10 Paesi dell’area per uno sviluppo sostenibile, attento al fenomeno dei cambiamenti climatici e di risposta ai disastri naturali che ne derivano. La base di partenza, qui, è il piano d’azione Ue-Asean 2023-2027, che intende sviluppare una risposta comune a queste problematica, inclusa la ripresa post-pandemica e una cooperazione nel campo della salute.
    Altro tema di quest’agenda quadriennale è la lotta allo sfruttamento del lavoro e la promozione di condizioni occupazionali rispettosi della dignità. Un aspetto, quest’ultimo, non indifferente sia per la questione dei diritti umani sia perché l’Ue tocca l’aspetto economico-commerciale. L’Ue ha deciso di non far entrare nel mercato unico prodotti frutto del lavoro forzato, e altrettanto ha deciso per tutti i ‘made in’ extra-Ue frutto del lavoro minorile. Il primo summit di alto livello Ue-Asean non è solo una passerella per i leader.

    Dopo 45 anni di relazioni diplomatiche a Bruxelles il vertice a livello di blocchi per rendere ancora più strategica un’alleanza vista come irrunciabile