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    “Membri onorari dell’allargamento”. Il Cese lancia un’iniziativa per avvicinare i Paesi candidati all’adesione Ue

    Bruxelles – Mentre le altre istituzioni comunitarie discutono in maniera abbastanza sterile della data o non-data entro cui si dovrà realizzare il processo di allargamento Ue, il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ha iniziato i lavori per mettere a terra un’iniziativa che renderà concreto l’avvicinamento all’Unione per i Paesi candidati all’adesione. Si chiama ‘Iniziativa dei Membri onorari dell’allargamento‘ e – se approvata dall’ufficio di presidenza del Cese nelle prossime settimane – rappresenterà la prima promessa rispettata dal nuovo presidente dell’organo consultivo Ue, Oliver Röpke, sul piano delle relazioni esterne dal momento del suo insediamento lo scorso 26 aprile.
    Il presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo, Oliver Röpke, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (31 agosto 2023)
    “Voglio che il nostro Comitato sostenga efficacemente la società civile nei Paesi candidati all’adesione all’Ue”, ha confermato lo stesso Röpke in un incontro con la stampa europea: “Per questo motivo desidero che partecipino gradualmente al nostro lavoro quotidiano“. Una conferma alle parole d’esordio di poco più di quattro mesi fa, quando il neo-presidente eletto aveva presentato il manifesto Stand up for democracy. Speak up for Europe per le priorità del mandato fino all’autunno del 2025. “Faremo tutto il possibile perché la nostra istituzione apra le porte a questi Paesi, non è sufficiente dare loro solo lo status di candidati“, aveva messo in chiaro allora, sottolineando che “serve un impegno attivo, sfruttando la nostra esperienza per aumentare la rapidità delle riforme” per avvicinarsi all’Unione. Il forum di discussione del Cese con Balcani Occidentali, Moldova, Ucraina e Georgia si sta intensificando, ma con la nuova iniziativa l’obiettivo è quello di fare un passo più concreto. Nei limiti dei suoi poteri e competenze, ma in modo forse anche più prolifico rispetto alle promesse di “essere pronti entro il 2030” per l’allargamento Ue fatte dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel.
    La proposta prevede di includere 3 membri onorari della società civile per ciascun Paese candidato nel processo di stesura dei pareri del Cese: dall’energia ai diritti sociali e del lavoro, dalla transizione digitale e verde alla politica industriale, fino allo sviluppo sostenibile e il Mercato unico. Al momento si tratterebbe di 24 nuovi membri – onorari – da otto Paesi candidati all’adesione Ue: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina. Non sarebbero inclusi per ora Kosovo (che ha fatto richiesta di adesione lo scorso anno) e Georgia (a cui è stata garantita la prospettiva europea ma non ancora lo status di candidato), anche se il presidente Röpke parlando con Eunews non esclude una “collaborazione più stretta” con i due Paesi, nonostante per l’iniziativa “abbiamo deciso di attenerci alle decisioni del Consiglio sullo status di candidato“. La partecipazione sarà estesa a tutto il ciclo dei pareri: gruppi di studio, riunioni di sezione e sessioni plenarie. Nelle intenzioni del Comitato c’è anche quella di organizzare una volta all’anno una sessione plenaria con i membri del Cese provenienti da ciascuno dei Paesi candidati che rappresentano gli interessi dei datori di lavoro, dei sindacati e delle organizzazioni della società civile per discutere delle questioni relative all’allargamento.
    Con la partecipazione ai lavori del Cese, le organizzazioni della società civile di questi Paesi potranno approfondire i principi e il funzionamento del dialogo civile comunitario, per poterli poi applicare a livello nazionale in vista della futura applicazione della legislazione comunitaria. A loro volta, “i nostri pareri rifletteranno anche le sfide e le priorità specifiche che i Paesi candidati devono affrontare nei settori politici per loro importanti“. In collaborazione con il Parlamento Ue – considerato un “partner naturale” da Röpke – il Cese vuole partire dalla società civile come parte integrante del processo di allargamento dell’Unione, fornendo il sostegno necessario per migliorare i sistemi socioeconomici e democratici nazionali e per soddisfare gli standard del Mercato unico, del Green Deal e del Pilastro europeo dei diritti sociali. L’iniziativa dei membri onorari dell’allargamento è “pienamente in linea” con la metodologia di adesione rafforzata della Commissione Ue, in particolare nella parte sulla “più stretta integrazione dei Paesi dell’allargamento con l’Unione Europea e un’adesione graduale alle singole politiche dell’Ue”, mette in chiaro lo stesso Comitato.
    Come funziona il Cese
    Il Comitato Economico e Sociale Europeo è un organo consultivo che rappresenta le organizzazioni dei datori di lavoro, dei lavoratori e di altri gruppi di interesse della società civile, e ha come incarico quello di formulare pareri per la Commissione, il Parlamento e il Consiglio dell’Ue. Fondato nel 1957 con i Trattati di Roma, ha la sua sede a Bruxelles e i suoi 329 membri sono nominati dai governi nazionali e designati dal Consiglio dell’Ue per un mandato quinquennale rinnovabile (la quota per ogni Paese dipende dalla sua popolazione, l’Italia attualmente ne esprime 24). Il Cese è guidato da un presidente e da due vicepresidenti, che vengono rinnovati ogni due anni e mezzo in occasione della revisione di metà mandato.
    I membri appartengono ai tre gruppi istituiti (ciascuno con un suo presidente): Datori di lavoro, Lavoratori e Organizzazioni della società civile. I tre gruppi possono esprimersi formalmente sulle proposte legislative dell’Ue, con tre compiti principali: garantire che la legislazione comunitaria sia adeguata alle condizioni economiche e sociali, promuovere e assicurare il dialogo con tutti i gruppi d’interesse della società civile e promuovere i valori dell’integrazione europea. Da un punto di vista pratico, il Cese può emettere pareri di propria iniziativa o può essere consultato da Commissione, Parlamento e Consiglio dell’Ue. I membri del Comitato lavorano indipendentemente dai rispettivi governi e adottano i propri pareri a maggioranza semplice: le nove riunioni annuali vengono preparate dalle sezioni specializzate e dalla commissione consultiva per le trasformazioni industriali (Ccmi).
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Il Comitato Economico e Sociale Europeo ha presentato una proposta (in attesa solo del via libera dall’ufficio di presidenza) che permetterebbe a 3 membri per ciascuno dei più stretti partner dell’Unione di partecipare al processo di stesura dei pareri dell’organo consultivo

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    La leader bielorussa Tsikhanouskaya esorta a distinguere tra popolo e regime: “Lukashenko alleato di Putin, noi con Kiev”

    Bruxelles – Ripartire dalla società civile per impedire alla Russia di Putin di continuare a sfruttare la Bielorussia come un sostegno e uno Stato vassallo nella guerra contro l’Ucraina. Ma anche per mettere fine a generalizzazioni e discriminazioni nei confronti del popolo bielorusso (e verrebbe da estendere il ragionamento anche a quello russo) come co-belligerante al fianco del Cremlino, anche chi lotta contro il regime di Alexander Lukashenko. Con questi messaggi rivolti a Bruxelles e ai 27 Paesi membri Ue è intervenuta oggi (22 febbraio) alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya.
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese), Christa Schweng (22 febbraio 2023)
    “Sono qui in questa Aula a nome del popolo bielorusso”, ha rivendicato Tsikhanouskaya, aprendo il suo discorso di fronte ai rappresentanti della società civile, dei lavoratori e dei datori di lavoro dell’Ue ed elogiandone l’operato: “È cruciale che l’Ue implementi le raccomandazioni del report sui media indipendenti in Bielorussia“, perché “siamo in un momento decisivo per l’Europa, il suo destino si decide sul campo di battaglia in Ucraina ma anche in tutte le capitali europee“. È qui che si inserisce la necessità di supportare la società civile bielorussa: “O difendiamo la democrazia, o lasciamo i dittatori vincere”, ha incalzato la presidente ad interim. Dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, “sono 1.500 i prigionieri politici in tutto il Paese e il numero cresce ogni giorno“, mentre nelle prigioni del regime di Lukashenko “vengono negati i diritti umani basilari”.
    Continuando il suo intervento alla plenaria del Cese, Tsikhanouskaya ha ricordato come “nel suo disperato tentativo di rimanere al potere, Lukashenko sta cercando di colpire anche chi è all’estero” con gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, che hanno introdotto la possibilità di privare della cittadinanza chi è condannato per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia” – anche in assenza dell’imputato a processo – e rendendo queste persone potenziali apolidi. A questo si aggiunge il voto favorevole di lunedì (20 febbraio) del “Parlamento fantoccio” alla possibilità di punire con la pena di morte soldati e ufficiali per tradimento: in altre parole “chi critica il regime può essere fucilato”.
    L’intervento della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (22 febbraio 2023)
    La leader delle forze di opposizione è direttamente coinvolta nella repressione del regime, anche se ormai da due anni e mezzo esule in Lituania. Lo scorso 17 gennaio è iniziato il processo in contumacia a suo carico, “una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, ha attaccato Tsikhanouskaya, ricordando come suo marito, Siarhei Tsikhanouski, stia affrontando nuove accuse penali – dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e già condannato a 18 anni di reclusione – “per spezzarlo e fare pressione su di me”. Tsikhanouskaya ha poi ricordato Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2022, che rischia dai 7 ai 12 anni di carcere per le accuse di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste. In carcere c’è anche Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020, che a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni e da allora non sono più arrivate notizie. “Non riusciranno a spezzarci, siamo più forti, e intanto la dissidenza continua in piccoli gruppi sotterranei”, ha sottolineato con forza la leader dell’opposizione.
    Tra Bielorussia e Ucraina
    La situazione interna è direttamente collegata allo scenario bellico nel Paese confinante. “Bielorussia e Ucraina stanno combattendo lo stesso demone, cioè l’imperialismo della Russia, la nostra lotta è intrecciata”, ha assicurato Tsikhanouskaya, richiamandosi a quanto già dichiarato a ottobre dello scorso anno di fronte ai membri della commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Europeo: “Dalla vittoria dell’Ucraina dipende il futuro democratico in Bielorussia e viceversa”, dal momento in cui il regime di Lukashenko “minaccia non solo il suo popolo, ma anche i nostri vicini ucraini”. È l’autoproclamato presidente bielorusso ad aver “permesso, facilitato ed essersi unito alla Russia in questa guerra in Ucraina” e, mentre il Parlamento Ue continua a chiedere un allineamento delle misure restrittive contro Minsk a quelle applicate a Mosca, la leader delle forze democratiche propone “una task force per controllare l’applicazione delle sanzioni, perché non devono essere aggirate”.
    Allo stesso tempo i Ventisette devono evitare di cadere in un errore grossolano nei confronti del popolo bielorusso (e, di nuovo, il discorso dovrebbe essere esteso anche al popolo russo). “Da quando è scoppiata la guerra, i bielorussi che vivono all’estero subiscono discriminazioni, anche chi combatte contro il tiranno Lukashenko”. Ma è una questione cruciale “distinguere tra il popolo e il regime” in Bielorussia: “Il popolo che vuole libertà e indipendenza sta con Kiev, il regime invece collabora ed è alleato di Putin, anche Lukashenko deve essere portato davanti alla giustizia internazionale”. A Bruxelles e in tutte le capitali europee “va ascoltata la voce del popolo”, che indica come “illegale” la scelta di sospendere il Partenariato orientale: “Per noi è uno strumento cruciale per aiutare il nostro popolo e per continuare la strada che ci porta nell’Ue”, ha concluso con decisione la leader bielorussa Tsikhanouskaya, appoggiata dalla presidente del Cese, Christa Schweng: “Tutti i politici autoritari hanno paura del potere del popolo, investire in Bielorussia significa investire in Europa”.

    🗣️@Tsihanouskaya at the #EESCplenary:
    “The future of Europe is being decided right now on the battlefields of Ukraine, in the Belarusian underground resistance, and in 🇪🇺 capitals.
    Are we as Europeans able to defend democratic values or will we let tyrannies take over again?” pic.twitter.com/UOmX5O42dV
    — EESC President Christa Schweng (@EESC_President) February 22, 2023

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo, la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue ha denunciato le “discriminazioni dei bielorussi all’estero da quando è scoppiata la guerra, ma stiamo combattendo lo stesso demone”

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    Oliver Röpke (CESE): Fermiamo la guerra. Tuteliamo i lavoratori. Salviamo la democrazia

    L’urgenza della situazione in Ucraina, il dramma del popolo ucraino, il fatto che tenga testa, con coraggio e successo, a un nemico molto più potente – tutto questo ha scosso fin nelle fondamenta quello che, solo pochi mesi fa, era spesso considerato l’ordine naturale delle cose in Europa.
    La guerra stessa, che si svolge alle porte dell’Unione europea, ci ha ricordato che esiste un mondo al di là dei nostri confini. Le immagini e le notizie da cui siamo bersagliati quotidianamente ci rammentano la brutalità della guerra – un conflitto che è in corso sulla soglia di casa nostra -, compresa la recente scoperta di fosse comuni e di indizi di quelli che potrebbero essere veri e propri crimini di guerra. . Le forze armate e i razzi di Putin hanno colpito Kyiv e, anche dopo il parziale ritiro delle truppe russe e il contrattacco degli ucraini, l’offensiva prosegue con immutata violenza e i civili continuano a morire. Dopo aver rinunciato a un Blitzkrieg nei primi giorni di guerra e aver subito gravi perdite, Putin sembra essere passato alla strategia di un attacco mirato e più graduale, devastando ogni metro di terreno conquistato. Sfruttando l’enorme superiorità della Russia negli equipaggiamenti convenzionali, e in particolare nelle armi pesanti, Putin continua ad avanzare, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le loro case e uccidendone molte altre. Gli indizi che siano stati effettivamente perpetrati dei crimini di guerra e l’altissimo numero di profughi suggeriscono che l’obiettivo della strategia è fare in modo che quasi nessun ucraino rimanga nelle retrovie per contestare l’annessione di fatto (anche con il rilascio di passaporti russi) dei territori ucraini occupati. Nell’UE le conseguenze economiche del conflitto stanno già colpendo duramente i più vulnerabili, e se la guerra perdura la situazione probabilmente non farà che peggiorare.
    Per fortuna la risposta, dopo un’iniziale esitazione, è stata unitaria e netta: un pacchetto di misure per sanzionare Putin e il suo regime, la solidarietà con i milioni di profughi in fuga dinanzi all’invasione russa e un chiaro sostegno al popolo ucraino. La direttiva sulla protezione temporanea è stata un elemento fondamentale di questa risposta. La priorità assoluta è assistere l’Ucraina e prestare aiuto e soccorso ai profughi ucraini e alle società che li accolgono. La società civile ha svolto e continuerà a svolgere un lavoro straordinario, dalla raccolta e l’invio di donazioni all’offerta di un tetto e di assistenza alle persone in fuga. Il gruppo Lavoratori del CESE, unitamente alla Confederazione europea dei sindacati (CES/ETUC), condanna l’aggressione russa ed esprime la sua solidarietà al popolo ucraino. Siamo in contatto permanente con i nostri omologhi ucraini per garantire che il maggior numero possibile di aiuti giunga là dove è più necessario. Ora è più importante che mai mantenere i nostri sforzi a questo stesso ritmo, evitando che la situazione si “normalizzi” e di rivolgere altrove la nostra attenzione. Un sostegno continuo con tutti i mezzi disponibili è l’unico modo per conseguire la pace, e l’Ucraina ha un gran bisogno delle risorse necessarie per fermare l’invasione: fintantoché Putin considererà probabile una vittoria militare, si siederà al tavolo dei negoziati solo per inscenare una finzione utile a serrare i ranghi del suo esercito.
    Dobbiamo inoltre ricordare che questa guerra è solo l’ultimo anello di una lunga catena, a partire dalla Cecenia fino alla Georgia e alla Crimea. Qualora ci fosse ancora bisogno che ci venisse ricordato, Putin ci fornisce continuamente la prova di come l’Ucraina sia solo un ulteriore tassello di una visione imperialista di più ampio respiro, secondo la quale intere regioni d’Europa dovrebbero piegarsi al suo regime autocratico o essere considerate degli aggressori. È da ingenui pensare che questa volta il presidente russo si potrà accontentare di quello che ha già ottenuto. Un altro aspetto di questo conflitto è la guerra che Putin sta combattendo contro il suo stesso popolo: mantenuto in stato di terrore, disinformato dalla propaganda, diviso dalla polarizzazione delle opinioni, in un paese in cui il dissenso equivale al tradimento e chi osa parlare chiaro e forte viene direttamente eliminato.
    Come è avvenuto per la pandemia di coronavirus, anche l’invasione dell’Ucraina ci ha colto impreparati: in questo caso, sono molti i paesi che non hanno provveduto a diversificare le loro forniture di energia rispetto alle importazioni di combustibili fossili dalla Russia. Questa dipendenza incauta e sconsiderata, dannosa sia per il clima che per la nostra sovranità, deve cessare. Sicuramente le conseguenze della guerra graveranno molto di più sugli ucraini, ma anche altri non ne rimarranno indenni: le sanzioni e la recessione colpiranno duramente i lavoratori più vulnerabili della Russia e dell’UE. L’impennata dei prezzi dell’energia, il tasso di inflazione galoppante, l’aumento dei costi dei prodotti di base… siamo solo all’inizio. Nel frattempo, su molti paesi che non possono più contare sulle esportazioni ucraine incombe una potenziale penuria di derrate alimentari e una crisi dovuta a carestia e fame.
    L’UE e i suoi Stati membri devono agire, salvaguardando il tenore di vita dei cittadini europei, garantendo che la speculazione sui prezzi dell’energia non spinga ancora di più le nostre famiglie verso la precarietà energetica e le nostre industrie verso il collasso, e anche sostenendo le società che accolgono milioni di profughi. Servono inoltre riforme a lungo termine in un mercato dell’energia che ha chiaramente mostrato di star funzionando male e come qualsiasi perturbazione abbia ripercussioni dirette sui lavoratori e sui cittadini in generale. Il peggioramento della situazione attuale degli europei dovrebbe anche servire loro da ammonimento, dato che i leader autocratici prosperano sul terreno delle disuguaglianze e della povertà. La democrazia è minacciata da autocrati come Putin, che considera l’Ucraina – e anche altri paesi – territorio russo, e si impadronisce delle risorse dei suoi vicini con il pretesto di voler tutelare determinate identità etniche.
    La democrazia è minacciata anche da alcuni leader politici nella stessa UE che vorrebbero costruire un modello simile e che traggono alimento dalla crescita delle disuguaglianze e della povertà. Il sostegno alla concessione all’Ucraina dello status di paese candidato è un segnale positivo forte: l’Europa non deve più essere un terreno di gioco delle superpotenze, ma deve invece formare un’Unione coesa e pacifica che si batte per la libertà e il benessere dei suoi cittadini. Tuttavia, lo status di paese candidato è solo la prima tappa di un lungo percorso, ed è anche un’opportunità per fissare standard dell’UE per il processo di ricostruzione postbellica dell’Ucraina. Tra questi standard europei figurano il rafforzamento dell’autonomia delle parti sociali e della democrazia sociale, il rispetto integrale dei diritti sociali e il recepimento nella legislazione nazionale di tutto il rimanente acquis comunitario, nonché la garanzia del pieno rispetto dello Stato di diritto.
    Sebbene all’Ucraina sia stato concesso lo status di paese candidato, va detto che l’UE non è ancora pronta per un nuovo e importante allargamento: le norme attuali non sono adeguate; è questo il chiaro messaggio emerso dalle raccomandazioni formulate durante la Conferenza sul futuro dell’Europa. L’Unione europea deve accelerare le sue riforme, semplificando e rendendo più democratici i suoi processi decisionali e modificando i suoi meccanismi affinché da un sistema concepito per pochi Stati membri si passi a un sistema in grado di tenere insieme i quasi 30 paesi che potrebbero costituire l’UE nel prossimo futuro.
    Il gruppo Lavoratori, per parte sua, continuerà a monitorare la situazione delle persone in fuga dall’Ucraina a causa della guerra, e in particolare l’assistenza che ricevono nei paesi di accoglienza e la loro integrazione nel mercato del lavoro dell’UE, per poter mettere in campo misure volte a scongiurare il lavoro precario e lo sfruttamento della manodopera. Continueremo inoltre ad essere a fianco dei sindacati nei loro sforzi per raccogliere e far pervenire gli aiuti ai lavoratori e ai sindacati ucraini.
    *Oliver Röpke, presidente del gruppo Lavoratori del Comitato economico e sociale europeo

    L’attacco ha scosso l’UE tutta intera e svelato, ancora una volta, l’autentico volto delle autocrazie. Continueremo ad essere a fianco dei sindacati nei loro sforzi per raccogliere e far pervenire gli aiuti ai lavoratori e ai sindacati ucraini

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    La società civile organizzata dell’UE “è al fianco dell’Ucraina e del suo popolo”

    Bruxelles – Nella sua risoluzione sulla guerra in Ucraina e il suo impatto economico, sociale e ambientale adottata giovedì, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) “condanna fermamente l’aggressione unilaterale in corso contro l’Ucraina ordinata dal presidente della Federazione russa”. Una nota spiega che “il CESE esorta a intensificare le azioni umanitarie a sostegno del popolo ucraino” e chiede una politica di immigrazione che assicuri che nessun Paese di accoglienza abbia un onere sproporzionato.
    Il CESE sottolinea inoltre le sfide che l’Europa deve affrontare a seguito della guerra e invita i leader dell’UE “ad agire, in particolare in materia di politica migratoria, inflazione, aumento dei prezzi dell’energia, per la creazione di un sistema alimentare sostenibile, la riduzione delle dipendenze e la costruzione dell”autonomia strategica e tecnologica dell’Europa”.
    “La guerra e ciò che ne deriva, in particolare le sanzioni alla Russia, avranno un prezzo da pagare. Se prendiamo sul serio i nostri valori europei e se vogliamo che gli altri prendano l’Europa sul serio, dobbiamo essere preparati a pagare questo prezzo”, afferma la presidente del CESE Christa Schweng. 

    “La guerra e ciò che ne deriva, in particolare le sanzioni alla Russia, avranno un prezzo da pagare. Se prendiamo sul serio i nostri valori europei e se vogliamo che gli altri prendano l’Europa sul serio, dobbiamo essere preparati a pagarlo

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    Allargamento UE, Balcani investimento geostrategico per pace e crescita economica. Già dalla Conferenza sul futuro dell’Europa

    Le raccomandazioni del Comitato economico e sociale chiedono il coinvolgimento di leader e cittadini della regione nell’appuntamento del 9 maggio. Suggerita al Consiglio l’introduzione del voto a maggioranza qualificata nelle fasi intermedie del processo di adesione all’Unione, per un “approccio rigoroso ma equo”