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    Su clima e natura il nuovo Brasile di Lula rischia di deludere le aspettative Ue

    Bruxelles – Il ritorno di Lula alla guida del Brasile per il ritorno a politiche di protezione della natura, foresta amazzonica in testa, e di contrasto ai cambiamenti climatici. L’Unione europea guarda al governo del Paese sudamericano con rinnovate aspettative che rischiano però, se non di essere disattese, di essere soddisfatte solo in parte. Perché ci sono idee vecchie in un contesto cambiato, e una situazione politica che non conferisce un mandato veramente forte e tale da imprimere quella svolta verde e sostenibile che potrebbe rappresentare un prezioso alleato per il Green Deal europeo.
    Da una parte c’è l’eredità lasciata a Lula dal suo predecessore, il conservatore Jair Bolsonaro. Quando si parla di clima e impegni contro la deforestazione, anche al netto degli impegni della nuova amministrazione, “i progressi tangibili richiederanno del tempo, dati i danni causati negli ultimi quattro anni”, rileva un documento del Parlamento europeo. Luiz Inacio da Silva Lula è entrato in carica l’1 gennaio 2023. In un solo anno, tra agosto 2021 e luglio 2022, sono stati abbattuti 11.594 chilometri di alberi nell’Amazzonia legale, una regione di nove stati federali nel bacino amazzonico. “Un’area simile al territorio del Montenegro”. Certo, il tasso di deforestazione registrato rappresenta “un calo dell’11 per cento rispetto ai livelli del 2021”, ma si continua a minare la capacità del polmone verde del mondo di catturare e trattenere CO2.
    C’è poi un mutato contesto istituzionale, che incide sull’attività politica. Il Congresso “ha ridimensionato i poteri dei ministeri dell’Ambiente e del cambiamento climatico e delle Popolazioni indigene”, con ciò ne consegue per l’azione di governo, chiamato a dover far ripartire un’economia in sofferenza. Le ultime previsioni dell’Ocse prevedono la crescita del Pil nazionale dell’1,7 per cento alla fine di quest’anno e all’1,2 per cento nel 2024, livello occupazionali più bassi, elevata inflazione e condizioni di credito più severe. C’è dunque sullo sfondo la possibilità di un’azione meno decisa in tema di sostenibilità, rileva ancora il documento del Parlamento Ue.
    “Le contraddizioni nelle politiche di Lula possono derivare dalla difficoltà di conciliare la protezione dell’Amazzonia e dei diritti dei popoli indigeni con il rilancio dell’economia lenta e la riduzione della povertà”. Rispondere a questa secondo necessità potrebbe essere fatto “stimolando lo sviluppo economico in Amazzonia, che comporta grandi progetti infrastrutturali che alimentano la deforestazione”.
    Del resto questa natura ambivalente del nuovo corso di Lula è già riscontrabile nella dichiarazione congiunta Brasile-Cina dell’aprile 2023 sulla lotta al cambiamento climatico. Nonostante questo impegno formale “le importazioni non vengono vagliate per il loro potenziale collegamento con la deforestazione”, viene rilevato in Parlamento Ue. Un problema di non poco conto se si considera l’accordo commerciale che l’Unione europea vorrebbe chiudere con i Paesi Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay), e per cui ‘il fattore Lula’ agli occhio degli europei potrebbe giocare a favore dei Ventisette.
    Argentina e Brasile, però, “sono preoccupati per l’impatto del nuovo regolamento dell’Ue sui prodotti da deforestazione e loro accesso al mercato dell’Unione europea”, e qui l’Ue si aspetta garanzie da un presidente, Lula, considerato come la leva del possibile cambiamento sostenibile del Paese e del modello economico-produttivo internazionale.
    Quel che è certo, a Bruxelles, è che al momento “è troppo presto per valutare se le politiche anti-deforestazione di Lula saranno in grado di ottenere un risultato positivo simile a quello che hanno avuto in passato”. Il Brasile di Lula rischia di essere dunque molto diverso dalle aspettative a dodici stelle.

    Un’analisi del Parlamento europeo mette in luce le difficoltà per il leader sudamericano di imprimere una vera svolta dopo l’amministrazione Bolsonaro

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    La Norvegia sceglie i laburisti: Jonas Gahr Støre sarà il prossimo primo ministro

    Bruxelles – Dopo 8 anni, la sinistra torna a vincere le elezioni in Norvegia. Con il 26,4 per cento dei voti, il partito laburista AP è la compagine più votata, staccando di sei punti i conservatori della primo ministro uscente Erna Solberg. “Come partito vincitore, ci assicureremo che la Norvegia abbia un nuovo governo e un nuovo corso. Nei prossimi giorni, inviterò i leader di tutti i partiti che vogliono un cambiamento, a cominciare dai centristi di SP e dalla Sinistra Socialista”, ha dichiarato il segretario di AP Jonas Gahr Støre. Solberg gli ha telefonato per congratularsi della vittoria e ha affermato che proverà ancora a correre per le prossime elezioni, fissate per il 2025.
    Il leader laburista sarà dunque il prossimo primo ministro norvegese. 61 anni, è stato tra il 2005 e il 2012 ministro degli Esteri del governo guidato da Jens Stoltenberg, l’attuale segretario generale della NATO. Pur essendo un milionario, Gahr Støre ha incentrato la sua campagna sulla promessa di combattere l’eccessiva diseguaglianza presente nel Paese. Il buon risultato ottenuto da centristi e Sinistra Socialista (rispettivamente 13.6 e 7.5 per cento) gli consente di tentare di creare una coalizione di governo senza lo scomodo appoggio dei marxisti del Partito Rosso, che con il 4.7 per cento hanno duplicato i consensi rispetto al 2017. Non sarà necessario nemmeno l’apporto dei Verdi, che con un risultato sotto le aspettative sono scesi sotto la soglia di sbarramento del 4 per cento ed entrano in Parlamento solo per il ripescaggio dovuto al voto nelle contee.
    La formazione del prossimo governo di centro-sinistra potrebbe però non essere così semplice. In campagna elettorale il leader centrista Trygve Slagsvold Vedum aveva escluso qualsiasi accordo con la Sinistra Socialista, per via della loro intransigenza sul tema dell’esplorazione per la scoperta di idrocarburi, punto centrale e divisivo del dibattito pre-elettorale. A differenza dei laburisti però, i due partiti condividono un certo euroscetticismo e hanno promesso di rinegoziare l’adesione della Norvegia allo Spazio Economico Europeo. A Gahr Støre il compito di fare sintesi, ma per la prima volta dal 1959 il centro-sinistra sarà nello stesso momento alla guida di tutti e cinque i Paesi nordici.

    I laburisti vincono le elezioni nel Paese scandinavo. L’ex ministro degli Esteri Gahr Støre intende creare una coalizione di governo con i centristi e Sinistra Socialista, con i partiti che sono divisi su rapporti con l’UE e transizione ecologica. Sotto le aspettative il risultato dei Verdi