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    Gaza, i parlamentari europei si uniscono nella condanna a Netanyahu

    Bruxelles – Israele è andato oltre, e continuare a dare man forte e pieno sostegno al governo e al suo leader, Benjamin Netanyahu, diventa difficile. L’Unione europea prende le distanze dal modo in cui lo Stato ebraico sta gestendo la risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, e di fatto inizia a scaricare la leadership israeliana. Il dibattito d’Aula del Parlamento europeo sulla situazione a Gaza registra toni duri, da parte della Commissione e da parte di molti parlamentari europei, che da ogni gruppo politico censurano una situazione considerata sempre più insostenibile.Inizia la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a condannare l’operato di Netanyahu, senza comunque mai citarlo direttamente. Però, nel denunciare pubblicamente che “la situazione sul campo è più drammatica che mai e ha raggiunto un punto critico”, von der Leyen di fatto mette sul banco degli imputati lo Stato ebraico. “Abbiamo tutti visto le segnalazioni di bambini che muoiono di fame. Non può essere“. Accusa indirettamente il governo israeliano, quando sottolinea che “tutti sanno quanto sia difficile spostare gli aiuti dentro e dentro Gaza”. Un rimprovero chiaro. Da parte Ue garantisce tutto il sostegno possibile. Annuncia l’attivazione del meccanismo di protezione civile dell’Unione europea invitando gli Stati membri dell’Ue a partecipare, conferma il pieno sostegno al corridoio umanitario marittimo annunciato lo scorso fine settimana, e in tal senso “finanzieremo e coordineremo il flusso delle merci europee attraverso il corridoio”. La situazione, continua von der Leyen, “rende ancora più importante collaborare con quelle agenzie che sono ancora presenti sul territorio. E questo è il caso dell’Unrwa“, l’agenzia della Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi che Israele vorrebbe delegittimata e isolata dopo le accuse di funzionari coinvolti negli attacchi di Hamas. Una sottolineatura che segna le distanze tra Ue e Israele.Ma è nell’Aula che si consuma lo strappo forse più grande. Voci critiche si levano da tutti i principali gruppi: popolari (Ppe), socialisti (S&D), liberali (Re), Verdi, Sinistra radicale. Esponenti di tutte queste forze spendono parole dure, non necessariamente espressione delle posizione dell’intero gruppo, ma comunque sono personalità di alto livello a parlare, a testimonianza di un malumore diffuso. La più diretta è la capogruppo dei socialisti, Iratxe Garcia Perez, che parla apertamente di “massacro di palestinesi da parte di Netanyahu“, di fronte al quale “dobbiamo mandare un chiaro segnale” ed invita “far cessare la sua impunità”. Come Ue, continua, “dobbiamo evitare che i palestinesi vengano sopraffatti dal regime di apartheid istituito da Netanyahu”.Va giù duro anche Juan Fernando Lopez Aguilar (S&D), presidente della commissione Libertà civili: “Netanyahu impedisce l’accesso via terra agli aiuti umanitari”, denuncia. “Questa brutalità commessa contro il popolo di Gaza supera il legittimo diritto di autodifesa e il diritto internazionale”. Quindi l’affondo: i responsabili “devono essere puniti”. Un chiara messa in stato d’accusa per il governo di Tel Aviv.Dalle fila del Ppe è l’irlandese Sean Kelly a chiedere “lo stop dell’uccisione di persone innocenti a Gaza da parte di Netanyahu“, e invocare “un cessate il fuoco”. Parole che si contrappongono a quelle di von der Leyen, che in Aula sostiene invece la necessità di “una pausa umanitaria”. Il dibattito dunque mostra anche visioni diverse interne al Ppe.Senza accuse così veementi anche i liberali scaricano quello che una volta era un partner incondizionato. “Abbiamo perso ogni speranza in Netanyahu e in Israele“, scandisce il greco Georgos Kyrtsos, che non considera l’attuale classe dirigente come affidabile ai fini del processo di pace e una soluzione a due Stati. Valery Hayer, presidente di Renew Europe, invoca il “cessate il fuoco per ragioni umanitari”. Anche qui, cessate il fuoco invece di pausa umanitaria, a riprova dell’insostenibilità di una situazione considerata non più sostenibile. Si aggiunge alla richiesta Jordì Sole, dei Verdi, anch’egli critico di fronte al deterioramento a Gaza.Dai banchi de laSinistra i toni si fanno ancora più duri. Joao Pimenta Lopes accusa Israele di “genocidio a Gaza”, invitando l’Ue a ritirare appoggio e sostegno allo Stato ebraico. “La situazione è imbarazzante, e dovremmo smetterla di essere complici”. Il dibattito d’Aula sembra suggerire che, a prescindere da come finirà il confronto tra Israele e Hamas, lo Stato ebraico questo conflitto l’abbia già perso in termini di sostegno dell’opinione pubblica e di appoggio politico.

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    Da Parigi l’Unrwa fa il punto della situazione a Gaza e chiede più fondi. Michel: “Rendiamo omaggio al lavoro dell’Onu”

    Bruxelles – Il Commissario generale dell’Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini, si è rivolto direttamente ai rappresentanti di oltre 50 Paesi, ai leader dell’Unione europea, a diverse Ong e istituti finanziari di sviluppo: dalla conferenza internazionale sugli aiuti umanitari a Gaza, ospitata da Emmanuel Macron a Parigi, ha lanciato l’appello per un flusso robusto e continuo di aiuti internazionali e per maggiori fondi per l’agenzia, “ultimo barlume di speranza” a Gaza.Le richieste di Lazzarini sono quattro. Prima di tutto “un cessate il fuoco umanitario, insieme al rigoroso rispetto del diritto umanitario internazionale”, perché le migliaia di bambini vittime dei bombardamenti israeliani “non possono essere un danno collaterale” e perché “limitare fortemente acqua, cibo e medicinali è una punizione collettiva”. In secondo luogo “un flusso significativo e continuo di aiuti umanitari, compreso il carburante”: il numero dei convogli che hanno finora attraversato il varco di Rafah è “palesemente inadeguato” per coprire le necessità della popolazione stremata e c’è bisogno di “ripristinare i servizi municipali come la gestione dell’acqua e dei rifiuti”, oltre che di “riaprire le linee commerciali, in modo che negozi e rivenditori possano ricostituire le proprie scorte”.Il Presidente francese Emmanuel Macron e il Commissario generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini (Photo by Ludovic MARIN / POOL / AFP)L’Unrwa stessa si trova con l’acqua alla gola: ringraziando i Paesi che hanno annunciato nuovi contributi nelle ultime settimane, Lazzarini ha ammesso che “potrebbe non avere i fondi per gli stipendi del personale fino alla fine dell’anno“. Sono 5 mila i dipendenti che continuano a gestire cliniche, distribuire pane e acqua e fornire supporto psicosociale nei rifugi delle Nazioni Unite. Tutti servizi che “corrono il rischio di essere interrotti”. Recentemente l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell, ha annunciato la mobilitazione di 10 milioni ulteriori dalle casse comunitarie all’Agenzia Onu, che si aggiungono agli 82 milioni di euro già versati a febbraio 2023.Infine il Commissario generale ha evidenziato la necessità di guardare già al “giorno dopo”, ad una reale prospettiva di uno Stato palestinese, “fondamentale per stabilizzare la regione” e “nell’interesse di tutti, compreso Israele”.Il Primo Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mohammed Shtayyeh (Photo by Ludovic MARIN / POOL / AFP)Inviti raccolti dal presidente della Repubblica francese, che ha indicato i tre pilastri che devono stare alla base della mobilitazione europea in Medio Oriente: l’impegno umanitario, la questione della sicurezza e della lotta al terrorismo, il processo politico e la pace. All’Eliseo però, Israele e Palestina non si sono incontrate: c’era il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mohammad Shtayyeh, ma nessun rappresentante di Tel Aviv. E il premier dell’Anp ha usato parole pesanti: “Israele sta chiaramente violando il diritto internazionale umanitario e commettendo crimini di guerra”, ha dichiarato, aggiungendo che “la sofferenza palestinese non è iniziata il 7 ottobre, ma va avanti da 75 anni”. Dalla Nakba del 1948, lo sfollamento imposto a milioni di palestinesi per la creazione dello Stato di Israele. Per questo “la soluzione è porre fine all’occupazione, porre fine alle colonie”, ha ribadito Shtayyeh.Hanno partecipato alla conferenza anche i due pesi massimi delle istituzioni europee, Charles Michel e Ursula von der Leyen. Il presidente del Consiglio europeo ha voluto “rendere omaggio all’impegno delle Nazioni Unite e delle sue agenzie”, ricordando che l’Unrwa conta tra le sue fila 99 vittime dei bombardamenti israeliani, il numero più alto mai registrato di lavoratori Onu morti in un conflitto. Confermato il sostegno ai partner del Medio Oriente – l’Egitto e la Giordania in prima linea- nella ricerca di una de-escalation regionale. E all’Autorità Nazionale Palestinese quale unica autorità “legittima e credibile” verso la soluzione dei due Stati. “Continueremo a sostenervi e a sostenere tutti gli sforzi per garantire che possiate essere in grado di lavorare con noi e con gli altri affinché esista effettivamente un piano di pace per la regione”, ha promesso Michel a Shtayyeh.Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, alla Conferenza internazionale umanitaria a ParigiLa presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha fatto il punto di come si sta muovendo l’esecutivo Ue per fornire aiuti alla popolazione di Gaza: “La maggior parte dei nostri carichi ha già raggiunto Gaza con i camion, attraverso il valico di frontiera di Rafah. Ma come hanno detto quasi tutti qui, i volumi rimangono troppo piccoli per far fronte agli enormi bisogni umanitari”, ha sottolineato. Dal 16 ottobre l’Ue ha inviato circa 320 tonnellate di materiale di prima necessità in Egitto, quadruplicando nel contempo i fondi umanitari destinati alla popolazione palestinese. “Anche se sosteniamo pienamente l’aumento della capacità degli aiuti forniti attraverso Rafah – e questa è la nostra prima priorità –, dobbiamo anche considerare con urgenza ulteriori rotte”, ha suggerito von der Leyen, che sta lavorando con i governi di Grecia e Cipro per la creazione di un corridoio marittimo. “Penso che ciò garantirebbe un flusso di aiuti duraturo, regolamentato e robusto”, ha concluso la leader Ue.
    L’allarme del Commissario generale Lazzarini: “Potremmo non avere i fondi per gli stipendi del personale fino alla fine dell’anno”. Alla conferenza umanitaria presente il premier dell’Autorità Palestinese, che attacca Israele: “Sta commettendo crimini di guerra, la soluzione è porre fine alle colonie”

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    Il politologo Morillas (Cidob): “L’Ue deve tenere conto della natura e della portata della risposta di Israele”

    Bruxelles – “L’Ue non può sostenere l’uso inappropriato della forza, deve tenere conto della natura e della portata della risposta di Israele”. La posizione di Pol Morillas, direttore del Barcelona Centre for International Affairs (Cidob), è chiara: sul conflitto che si è riacceso il 7 ottobre nella striscia di Gaza tra Hamas e Israele, l’Unione europea, nella sua ambiguità, ha sbagliato la risposta.Secondo Morillas, la risposta alla guerra in Medio Oriente non ha rispecchiato la posizione tradizionale dell’Ue. Il politologo si riferisce alla dichiarazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, affidata a un tweet pubblicato il giorno dopo l’attacco di Hamas, secondo la quale “Israele ha il diritto di difendersi – oggi e nei giorni a venire”. “La sua posizione non è in linea con il linguaggio concordato nelle storiche conclusioni del Consiglio europeo sul processo di pace in Medio Oriente“, afferma Morillas in uno commento pubblicato da Carnegie Europe. Il conflitto riapre un vecchio fronte di guerra, in un momento in cui l’Europa e il mondo sono già provati da due anni di guerra condotta dalla Russia in Ucraina, confine dell’Ue. “Le prospettive di una concentrazione globale per la pace e la sicurezza, sia attraverso la collaborazione tra grandi potenze sia attraverso istituzioni multilaterali, sono nulle. Questa non può essere una buona notizia per nessuno”, aggiunge Morillas.Nessuno può trarre vantaggio da una guerra che – si legge nel commento del direttore del Cidob – potrebbe potenzialmente portare a ulteriore instabilità locale, regionale e globale. Di certo non l’Unione europea, la quale “ha molto da perdere dal riaccendersi di un vecchio conflitto” in cui ha poco da dire e da fare in confronto ad altri attori, come gli Stati Uniti. Per questo, ricorda Morillas, l’ex capo della politica estera dell’Ue Javier Solana pensava che la cosa migliore che l’Unione potesse fare fosse costruire dei depositi per la pace: “In altre parole, avere azioni che l’Ue potrebbe proporre per sostenere la pace e il dialogo, pur mantenendo una posizione chiara basata sulla soluzione dei due Stati”, aggiunge il politologo.Dichiarazioni come quelle di von der Leyen portano Morillas a vedere delle ambiguità nella posizione dell’Ue, che dovrebbe stare attenta a non inviare segnali contraddittori sulla necessità di lavorare per la pace da un lato e sull’escalation dall’altro: “È necessario condannare con la massima fermezza gli attacchi terroristici“. Non solo: quello a cui bisogna stare ancora più attenti, secondo Morillas, è la posizione sugli aiuti umanitari: “L’Unione non dovrebbe inviare segnali contraddittori sulla cancellazione degli aiuti alla Palestina, perché è proprio su questo fronte che spesso si basa la sua credibilità come attore di politica estera”.
    Secondo lo studioso, le posizioni prese da von der Leyen allo scoppio della guerra “non sono in linea con le storiche conclusioni del Consiglio europeo sul processo di pace”

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    Le forniture di aiuti umanitari nel Nagorno-Karabakh sono finalmente riprese. L’Ue esorta a “regolarizzare il passaggio”

    Bruxelles – Dopo mesi di stallo e di completa chiusura dei rifornimenti umanitari, gli oltre 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh possono tornare a sperare in un flusso costante di cibo e farmaci, gas e acqua potabile. “Accogliamo con favore il passaggio simultaneo di carichi umanitari attraverso Lachin e Ağdam“, è il commento soddisfatto del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla notizia di oggi pomeriggio (18 settembre) dell’ingresso di camion del Comitato internazionale della Croce Rossa carichi di aiuti umanitari nella regione separatista a maggioranza armena sul territorio dell’Azerbaigian: “Questo passaggio deve essere regolarizzato“.
    Il primo convoglio umanitario a fare ingresso nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (a maggioranza musulmana) era arrivato martedì scorso (12 settembre) ma dal territorio azero attraverso la rotta Ağdam-Askeran. Altri convogli francesi e armeni erano rimasti invece finora bloccati, nonostante l’accordo del 9 settembre tra il governo azero e quello armeno per riaprire il corridoio di Lachin. Per questo motivo il leader del Consiglio Ue aveva chiesto “a tutte le parti interessate di dare prova di responsabilità e flessibilità” nel “facilitare la riapertura dell’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per decine di migliaia di abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Dopo la svolta di oggi – che mette forse fine a una crisi che va avanti da nove mesi – per Bruxelles “è essenziale avviare colloqui tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh sui loro diritti e la loro sicurezza“, ha messo in chiaro Michel, anticipando che “l’Ue è pronta a sostenere”.
    L’Unione Europea è diventata da un anno e mezzo il principale mediatore tra il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e si spiega così l’entusiasmo di Bruxelles nel vedere i primi segnali di distensione tra due Paesi caucasici. “Accogliamo la consegna di aiuti umanitari della Croce Rossa attraverso Lachin e Ağdam agli armeni del Nagorno-Karabakh”, ha ribadito il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. Quello che le istituzioni comunitarie ora si aspettano è “garantire forniture regolari alla popolazione”, spingere per un “dialogo significativo” tra Baku e i separatisti e soprattutto “diminuire le tensioni sulla linea di contatto e sul confine internazionale“. La crisi dura da mesi e il dispiegamento di truppe azere lungo il confine armeno ha aumentato i timori per lo scoppio di un nuovo conflitto tra Baku e Yerevan per il controllo del Nagorno-Karabakh.
    La tensione in Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    Tra i due Paesi caucasici la guerra congelata va avanti dal 1992, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Europeo è stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti per gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha accolto la notizia del passaggio di convogli attraverso il corridoio di Lachin, che collega l’Armenia alla regione separatista passando dal territorio dell’Azerbaigian: “Oa è essenziale avviare colloqui sui loro diritti e la loro sicurezza”

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    Ucraina, gli aiuti Ue salgono a 70 miliardi di euro. Finanziamenti militari per 15 miliardi

    Bruxelles – Un totale di 70 miliardi di euro di aiuti. Di questi, 10 miliardi di euro solo per sostegno militare.  La Commissione europea inizia a fare un bilancio di quanto offerto all’Ucraina per far fronte all’aggressione russa e ciò che ne deriva. Cifre che rispondono agli impegni assunti, nel rispetto dei quali l’esecutivo comunitario annuncia un nuovo pacchetto di aiuti da 1,5 miliardi di euro assistenza micro-finanziaria per il governo di Kiev. Saranno sborsati “a giugno”, e serviranno per pagare stipendi e pensioni, oltre che mantenere in funzione i servizi pubblici essenziali come ospedali, scuole e alloggi.
    E’ nell’annunciare questo nuovo contributo che l’esecutivo comunitario offre i dati complessivi. Dall’inizio della guerra il sostegno all’Ucraina e agli ucraini ammonta a circa 70 miliardi di euro. E’ ripartito in aiuti finanziari, umanitari, di emergenza e militari. La parte di assistenza finanziaria per le necessità urgenti, con questo nuovo impegno appena deciso, ammonta a 18 miliardi di euro. Quasi la metà (7,5 miliardi) sono stati resi disponibili nel 2023.
    Questi 18 miliardi sono inclusi nel più ampio programma di assistenza finanziaria e umanitaria. Un totale di 37,8 miliardi di euro, tra fondi Ue (30 miliardi) e prestiti e garanzie degli Stati membri (7,8 miliardi). E’ qui che ricadono i pacchetti umanitari diretto (685 milioni), sostegno per sfollati (330 milioni), sostegno alle riforme (305 milioni).
    Mentre la parte solo militare vale da sola un oltre settimo del totale. Così spiega l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Complessivamente, al momento, grazie allo European Peace Facility, abbiamo incentivato 10 miliardi di euro di sostegno militare all’Ucraina“, dice in occasione della riunione dei ministri delle Difesa. Anche se, alle fine, con i contributi bilaterali il sostegno militare potrebbe arrivare anche 20 miliardi di euro. Allo stato attuale il contributo militare complessivo, tra fondi Ue e dei singoli governi, si aggira a 15 miliardi di euro.
    Il resto del sostegno Ue per gli Ucraini, 17 miliardi di euro, sono il frutto di fondi di coesione non utilizzati e che servono per sostenere donne e bambini ucraini accolti negli Stati membri grazie al meccanismo della protezione temporanea. Riconosciuta subito, è stata concessa a oltre tre milioni di persone.

    Il bilancio fornito in occasione dell’annuncio del nuovo pacchetto di aiuti da 1,5 miliardi per sostegno a stipendi e pensioni, disponibile a giugno

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    Sudan, l’Ue attiva un ponte aereo umanitario

    Bruxelles – Trenta tonnellate di articoli essenziali, tra cui acqua, attrezzature igienico-sanitarie ed equipaggiamenti per i rifugi in Sudan. L’Unione europea si mobilita di fronte alla crisi del Paese, con uno speciale ponte aereo umanitario attivato per venire incontro alle necessità della popolazione afflitta dalla guerra civile e da una situazione di difficile gestione. La decisione di istituire questo corridoio è stata presa “in considerazione delle crescenti esigenze umanitarie dovute al furioso conflitto”, spiega il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarcic. 
    Dal 15 aprile sono in corso combattimenti tra l’esercito regolare e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces per il controllo del potere politico e militare, e la situazione sembra fuori controllo. Secondo gli ultimi rapporti del ministero della Salute del Sudan, al 5 maggio almeno 550 persone sono state uccise, tra cui 18 operatori sanitari e umanitari, e più di cinquemila ferite, e si teme che il bilancio complessiva possa crescere.
    “Colgo l’occasione per chiedere, ancora una volta, la fine dei combattimenti e della perdita di vite umane”, l’invito del commissario.  “Condanno fermamente i combattimenti in Sudan e invito entrambe le parti a consentire al personale medico e agli operatori umanitari di fornire assistenza salvavita“.
    Il ponte aereo umanitario è organizzato nel quadro della capacità di risposta umanitaria europea, uno strumento progettato per colmare le lacune nella risposta umanitaria ai pericoli naturali e ai disastri causati dall’uomo. Le 30 tonnellate di articoli essenziali sono state trasportate dai magazzini delle Nazioni Unite a Dubai a Port Sudan. All’arrivo, sono stati consegnati all’Unicef e al Programma Alimentare Mondiale.
    L’apertura del ponte aereo umanitario si aggiunge agli impegni già profusi dall’Unione europea. Attraverso il meccanismo di protezione civile e di aiuti umanitario l‘Ue ha già stanziato 200mila euro per i soccorsi immediati e l’assistenza di primo soccorso alle popolazioni ferite o esposte ad alto rischio nella capitale, Khartoum, e in altre zone colpite dalle violenze in corso. Garantito inoltre il sostegno alla Mezzaluna Rossa sudanese nella fornitura di primo soccorso, servizi di evacuazione e supporto psico-sociale. 

    Organizzato attraverso il meccanismo di risposta alle crisi umanitarie, per la consegna di 30 tonnellate di beni essenziali Lenarcic: “Decisione legata alle crescenti esigenze umanitarie dovute al furioso conflitto”

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    L’Ucraina nuovo membro del Meccanismo di protezione civile dell’Ue. Altri 55 milioni di euro in fondi umanitari

    Bruxelles – Dopo oltre un anno di assistenza convogliata attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue, l’Ucraina è diventata oggi (20 aprile) ufficialmente uno Stato partecipante del quadro di solidarietà europeo che aiuta i Paesi colpiti da una catastrofe. A sancire l’ingresso di Kiev come 36esimo membro del Meccanismo è stato il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, in visita nella capitale ucraina proprio per firmare l’accordo che concede all’Ucraina la piena adesione. “Lavoriamo per un obiettivo comune, aiutare le persone in difficoltà ovunque si trovino, perché insieme siamo più forti”, è stato il messaggio indirizzato dal membro del gabinetto von der Leyen al governo ucraino al momento della firma.
    Dall’inizio dell’invasione russa del Paese il 24 febbraio dello scorso anno, l’Unione ha convogliato attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue oltre 88 mila tonnellate di attrezzature salvavita, cibo e medicinali, mentre sono saliti a oltre mille i generatori di energia mobilitati dalle riserve energetiche strategiche di RescEu. In qualità di membro a pieno titolo, da oggi anche l’Ucraina potrà inviare aiuti nel momento in cui un altro Paese si trova in crisi. Parallelamente alla firma per l’adesione al Meccanismo di protezione civile dell’Ue, l’Ucraina ha ricevuto da Bruxelles altri 55 milioni di euro in fondi umanitari – facendo salire il totale a 200 milioni dall’inizio del 2023 – con l’obiettivo di iniziare la preparazione del prossimo inverno, con o senza guerra in corso nel Paese.

    Cos’è il Meccanismo di Protezione Civile dell’Ue
    Istituito nel 2001 dalla Commissione, il Meccanismo di protezione civile dell’Ue è il mezzo attraverso cui i 27 Paesi membri e altri 9 Stati partecipanti (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Islanda, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia, Turchia e Ucraina) possono rafforzare la cooperazione per la prevenzione, la preparazione e la risposta ai disastri, in particolare quelli naturali. Una o più autorità nazionali possono richiedere l’attivazione del Meccanismo quando un’emergenza supera le capacità di risposta dei singoli Paesi colpiti: la Commissione coordina la risposta di solidarietà degli altri partecipanti con un unico punto di contatto, contribuendo almeno a tre quarti dei costi operativi degli interventi di ricerca e soccorso e di lotta agli incendi. In questo modo vengono messe in comune le migliori competenze delle squadre di soccorritori e si evita la duplicazione degli sforzi. In 21 anni di attività, il Meccanismo di protezione civile dell’Ue ha risposto a oltre 600 richieste di assistenza all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione.
    Il Meccanismo comprende un pool europeo di protezione civile, formato da risorse pre-impegnate dagli Stati aderenti, che possono essere dispiegate immediatamente all’occorrenza. Il centro di coordinamento della risposta alle emergenze è il cuore operativo ed è attivo tutti i giorni 24 ore su 24. A questo si aggiunge la riserva rescEu, una flotta di aerei ed elicotteri antincendio (oltre a ospedali da campo e stock di articoli medici per le emergenze sanitarie) per potenziare le componenti della gestione del rischio di catastrofi: nel corso di quest’estate la Commissione ha finanziato anche il mantenimento di una flotta antincendio rescEu aggiuntiva in stand-by, messa a disposizione da Italia, Croazia, Francia, Grecia, Spagna e Svezia. A Bruxelles si sta sviluppando anche una riserva per rispondere a incidenti chimici, biologici, radiologici e nucleari.

    Con la firma del documento a Kiev alla presenza del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, il Paese invaso dalla Russia diventa il 36esimo Stato partecipante del sistema di gestione del rischio di catastrofi dei 27 membri dell’Unione (più altri 9 partner)

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    Ucraina, Di Maio: “Al lavoro a stretto contatto col Parlamento UE”

    Bruxelles – Rinsaldare il rapporto tra governo italiano e Parlamento europeo su tutti i principali dossier di stretta attualità, a cominciare da quello ucraino e dal suo aspetto umanitario. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, coglie l’occasione della riunione dei 27 capi diplomatici a Bruxelles per incontrare la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, e intavolare un dialogo di lavoro per l’immediato futuro. “Continueremo a lavorare insieme e a stretto contatto“, assicura il titolare della Farnesina, che vede “grande impegno” ma soprattutto “una grande sensibilità del Parlamento europeo e della presidenza del Parlamento europeo” sulla questione ucraina. Di Maio riconosce “l’importanza delle posizioni espresse anche sull’ingresso del Paese nell’UE“, e ha voluto “ringraziare a nome del governo” di Roma gli sforzi profusi in tal senso sin qui.
    Ne chiede anche qualcuno in più, consapevole della natura di Metsola, proveniente da un Paese da sempre in prima linea nella questione migratoria. Con la maltese Di Maio rilancia la necessità di un vero patto europeo sull’immigrazione, che sappia superare le regole che scaricano tutto il fardello dei richiedenti asilo agli Stati membri di primo ingresso. Chiede garanzie sul lavoro del Parlamento in tal senso, così da mettere pressione all’Europa degli Stati sempre divisi su punto. Occorre modificare e superare le logiche del regolamento di Dublino: è questo uno dei principali messaggi del titolare della Farnesina.
    Nella giornata di lavori e incontri istituzionali l’Italia si prodiga a tutto campo per gestire la questione della guerra e dei suoi sfollati. Ai ministri degli Esteri ha espresso l’invito a “prendere l’iniziativa per tregue umanitarie localizzate in Ucraina“, da avviare in attesa di un accordo di pace vero e proprio. Serve “un tavolo permanente” con Croce Rossa e Alto commissariato per i rifugiati (UNHCR) per evacuare la popolazione civile e darle sostegno.
    Serve dunque un’UE che agisca come attore di sostegno umanitario, ma non solo. C’è anche la questione energetica sul tavolo. Non a caso l’Unione dell’energia è un altro tema discusso con Metsola. Aumentare gli accordi con altri partner, e spingere sulla transizione sostenibile: tutti temi che già vedono Roma e Bruxelles vicine. Un’intesa che rende dunque possibile e auspicabile quel lavoro a stretto contatto che si intende portare avanti.

    Il ministro degli Esteri vede la presidente dell’Eurocamera. Conflitto e sua gestione il motivo di confronto e alleanza, con l’energia sul tavolo. Priorità all’aspetto umanitario. L’idea di “tregue umanitarie localizzate” nel Paese